Alba, l'avamposto cinese in Abruzzo
I residenti ufficiali sono 420, con 104 imprenditori, ma in realtà uno su tre è irregolare. Molti vengono da Prato e a loro la crisi non fa paura
TERAMO. Pasquetta 2013. Alba Adriatica è semideserta, qualche sparuto turista passeggia sul lungomare. E’ un giorno di festa per tutti. Ma in un seminterrato, nemmeno tanto in periferia, ferve l’attività. Da una finestra lasciata aperta si vedono tante persone al lavoro, chine su macchine da cucire o intente a tagliare pezzi di pellame. La fredda luce al neon, anche in pieno giorno, illumina quello che orginariamente doveva essere stato uno scantinato. Per i cinesi non è festa. Così come non è mai domenica.
La provincia di Teramo ormai da tempo è diventata la Prato del Centro-Sud. Tanto che è oggetto di un flusso migratorio sui generis: molti cinesi ormai da anni in Italia si spostano nel Teramano da Prato e in generale dal Nord Italia. In queste zone il modello di subcommittenza a cui le aziende cinesi sono funzionali, nel settore abbigliamento e pelletteria, è andato in crisi, mentre in Abruzzo resiste ancora.
Ed ecco che la comunità cinese diventa sempre più consistente. Attualmente in provincia di Teramo ci sono 3.285 cinesi con permesso di soggiorno (1.593 donne e 1.692 uomini), di questi 436 risultano lavoratori autonomi e 1.795 subordinati. A questi vanno aggiunti tutti gli irregolari. Tanti.
La presenza più cospicua è ad Alba Adriatica, dove risiedono 420 cinesi e 104 di questi risultano imprenditori. Comunità importanti anche a Campli, Sant’Egidio, Martinsicuro e Teramo, dove risiedono 247 cinesi (50 imprenditori).
In totale a fine 2012 gli imprenditori cinesi in provincia erano 710 (impossibile calcolare statisticamente il numero di imprese in quanto non sono fissati i parametri per definire un’azienda come “cinese”). Un numero in aumento, se si considera che a fine 2011 erano 681 e 636 a fine 2010. La presenza di imprenditori cinesi è più che raddoppiata rispetto a 10 anni prima: nel 2003 erano 296. Cambiano leggermente le proporzioni nei luoghi prescelti: nel 2003 il centro più attrattivo era Martinsicuro (70 imprenditori, seguito da Alba con 53), nel 2012 era Alba (104 seguito da Martinsicuro con 72). Per i settori, la maggioranza degli imprenditori è nel manifatturiero (500 nel 2012, 464 nel 2011, 437 nel 2010 e 218 nel 2003). Rimangono praticamente immutati i numeri di hotel e ristoranti (16 l’anno scorso, 15 nel 2011 e 2010 e 11 nel 2003) in leggero calo i negozi (131 nel 2012, 146 nel 2011, 142 nel 2010 e 56 nel 2003).
In tutte queste attività è ampio il ricorso al lavoro nero. L’idea della portata del fenomeno la danno i numeri delle due operazioni condotte nel 2012 in maniera congiunta dagli ispettori della Direzione territoriale del lavoro e del nucleo carabinieri Ispettorato del lavoro. Le hanno chiamate “Chinajeans” e “Chinajeans 2”: a marzo e a dicembre sono stati controllati 395 lavoratori cinesi, di cui 119 sono risultati in nero, fra cui 21 clandestini. Nei laboratori cinesi sono stati trovati operai a lavorare in condizioni disumane. Gli ispettori sono entrati nei garage, nei sotterranei di palazzine come tante altre. E hanno trovato laboratori simili la lager sia per il numero di lavoratori stipati, che per le condizioni igieniche. Opifici in cui le condizioni di sicurezza sono sconosciute. In cui si mangia, si dorme e si lavora tutti nello stesso locale. E se si è fortunati la camera da letto è divisa dalle macchine da cucire da un sottile muro di cartongesso. Fabrizia Sgattoni, a capo della direzione provinciale del lavoro di Teramo, ha descritto nelle conferenze stampa quanto trovato dagli ispettori: «Oltre alle postazioni attrezzate con macchine per cucire, in un laboratorio erano state ricavate anche camere da letto, utilizzando pareti di compensato e cartongesso. Strutture fatiscenti dove si lavorava, si dormiva, si allevavano bambini e si trascorreva il poco tempo libero. Autentici lager dei giorni nostri in cui decine di persone vivevano a strettissimo contatto, senza le minime garanzie igieniche e di sicurezza. A poca distanza, separati da pannelli in cartongesso, piccoli spazi dove i lavoratori dormivano nei turni di riposo. Un lavoro a ciclo continuo in locali, anche pericolosi dal punto di vista della sicurezza con impianti elettrici e igienici non a norma e coperture in eternit, pericolosissimo per la salute». Nei blitz è stata trovata anche una donna incinta di 9 mesi che lavorava utilizzando colle pericolose. E più in generale sono stati trovati cinesi a scolorire jeans, usando sostanze tossiche, in locali senza un impianto di aerazione. Così come cumuli di materie prime, ad esempio balle di tessuti, erano stoccati negli stessi locali dove si lavorava, senza precauzioni antincendio e con le uscite di sicurezza chiuse. Ecco come le aziende cinesi riescono a eseguire commesse a prezzi stracciati. E magari a produrre capi di false griffe o - è stato accertato - per conto di ditte teramane che hanno fatto ricorso agli ammortizzatori sociali per mancanza di commesse, lasciando a casa i propri lavoratori regolarmente assunti.
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