Antonio, giornalista ucciso perché inseguiva la verità 

Reporter di guerra freelance in Kosovo, Algeria, Burundi, Nigeria e Cecenia Nel 2000 aveva 40 anni quando le milizie di Putin lo torturarono a morte a Tbilisi

FRANCAVILLA AL MARE. Inseguiva la verità, Antonio Russo, anche quel giorno di tanti anni fa quando le milizie di Putin lo uccisero dopo averlo torturato. La notizia arrivò in redazione verso le 12, fu come un pugno nello stomaco sferrato a freddo.
Antonio era un giornalista libero. Era capace di scoprire l'invisibile, di veder l'erba dalle parti delle radici, di oltrepassare quel pericoloso confine che separa ciò che appare da ciò che è.
È il 16 ottobre del 2000, tra pochi giorni saranno passati esattamente 24 anni, quando Antonio Russo, abruzzese di Francavilla al Mare, nato il 3 giugno del 1960, viene assassinato a Tbilisi, in Georgia, in circostanze purtroppo mai chiarite. Russo era un giornalista freelance e reporter di Radio Radicale.
Non aveva paura di nulla, neppure di raccontare storie dall'Algeria, durante gli anni della repressione, dal Burundi e dal Ruanda, dov’erano in corso guerre sanguinarie.
E poi ancora dall'Ucraina, dalla Colombia e da Sarajevo. E, come inviato di Radio Radicale, dal Kosovo dove, unico giornalista occidentale presente durante i bombardamenti della Nato, svelò al mondo, nel 1999, le atrocità della pulizia etnica contro gli albanesi kosovari.
In quel periodo, Russo chiamò anche la redazione del Centro dopo essere stato protagonista di una rocambolesca fuga dai rastrellamenti serbi, unendosi a un convoglio di rifugiati kosovari diretto verso il confine con la Macedonia. Quel confine attraversato da Tir carichi di armi e profughi.
«Pronto, sono Antonio Russo, vorrei far sapere agli abruzzesi cosa sta accadendo da queste parti», disse al telefono facendoci tirare un sospiro di sollievo. Le cronache di allora raccontano che Russo raggiunse Skopje a piedi, e che di lui non si ebbero notizie per due giorni, nei quali venne dato per disperso. Ma quella telefonata ci fece capire che era vivo e che neppure quella esperienza drammatica aveva spento la sua voglia di sapere e far conoscere.
Fu ucciso un anno dopo, durante la notte tra il 15 e il 16 ottobre del 2000, in Georgia, dove era andato, sempre come inviato di Radio Radicale, per documentare la guerra in Cecenia. Il suo corpo venne ritrovato, con segni di tortura, ai bordi di una stradina di campagna a 25 chilometri da Tbilisi. Perquisita dalla polizia georgiana, la sua abitazione fu trovata a soqquadro, mentre il telefono satellitare, il computer, la videocamera e il materiale da lui raccolto sugli eccidi in Cecenia, erano misteriosamente spariti. Le indagini della procura di Roma misero subito in collegamento l'omicidio di Russo con le sue inchieste giornalistiche. L’inviato di Radio Radicale, infatti, aveva parlato durante un reportage di una videocassetta contenente torture e violenze dei reparti militari russi ai danni della popolazione cecena. E aveva raccolto prove dell'uso di armi illegali contro bambini ceceni, con pesanti accuse di responsabilità del governo di Vladimir Putin.
L'ultima immagine lo ritrae avvolto nell'abbraccio spontaneo proprio dei bambini ceceni, vittime innocenti di un conflitto non cercato e non voluto. È una foto dolce, antica, ma non rassicurante. Il volto di Antonio è afflitto. Antonio e le sue inchieste da inviato di guerra. Come l'ultimo scoop di Maria Grazia Cutuli che apparve sulla prima pagina del Corriere della Sera proprio il giorno della sua morte (il 19 novembre 2001), avvenuta sulla strada che collega Jalabad a Kabul. L'auto sulla quale viaggiava con tre colleghi fu bloccata da un gruppo di uomini armati che li fucilarono. Oppure come l'inviata del Tg3, Ilaria Alpi, uccisa a Mogadiscio insieme all'operatore Miran Hrovatin, vittime di un agguato mirato. O come il giornalista Marco Luchetta, il video operatore Alessandro Saša Ota e il tecnico Dario D'Angelo. Quel 28 gennaio 1994 i tre avevano raggiunto Mostar Est, dilaniata dai bombardamenti. Fu una granata a ucciderli, ma per loro non c'è ancora giustizia. E ancora: Marcello Palmisano, operatore della Rai, Gabriel Gruener, giornalista italiano di lingua tedesca, che aveva 35 anni quando, il 13 giugno 1999, fu colpito, a un check point al Passo di Dulje, nel Kosovo Occidentale, Vittorio Arrigoni, Andrea Rocchelli, Simone Camilli. Un’Antologia di Spoon River. Ma Antonio, figlio amato di Beatrice Russo, che non c’è più, e nipote del compianto Marcello Russo, esperto legislatore, giurista, presidente del Consiglio regionale dal 1970 al '75 e padre fondatore dello Statuto abruzzese, è stato uno dei primi,per noi il primo, a perdere la vita per scoprire la verità.
L’emblema di quella libertà di stampa che oggi, più di ieri, ci viene negata.