Atessa, monsignor Forte ai cancelli della Honeywell: «Immorale delocalizzare»
L’arcivescovo di Chieti-Vasto incontra i dipendenti in sciopero da 40 giorni. E promette di scrivere ai dirigenti della multinazionale per indurli a cambiare idea
ATESSA. «Delocalizzare un’azienda è immorale, perché si segue soltanto il profitto, umiliando e mortificando i lavoratori e le loro famiglie». L'arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte, è consapevole di usare parole dure come macigni, ma non vuole sottrarsi alla realtà delle cose e allo scenario di una fabbrica che lotta per la sopravvivenza e che impiega 420 dipendenti, un piccolo paese nel più grande polmone produttivo della regione.
Il suo abbraccio ai lavoratori della Honeywell, in sciopero da 40 giorni e in presidio permanente davanti ai cancelli della fabbrica dei turbo in Val di Sangro, è stato ieri mattina commosso e partecipe. «Se tutto questo viene fatto per delocalizzare», ha detto Forte «è immorale due volte: perché si priva un territorio della sua eccellenza e perché si umilia il lavoratore».
Sembra quasi di ascoltare le parole di Papa Francesco che, in un recente videomessaggio ha affermato che «la precarietà uccide. Uccide la dignità, uccide la salute, uccide la famiglia, uccide la società».
Anche l'arcivescovo Forte ha parlato di una situazione «drammatica e ingiusta». «Spostare una fabbrica altrove», ha detto, «è anche controproducente per l'azienda stessa perché la qualità e la produttività di questa gente e di questa terra non si inventano e non si possono ritrovare altrove semplicemente trasferendo le attività. Si rischia di andare incontro ad un'altra delocalizzazione e un'altra ancora, impoverendo le famiglie e interi territori, fino alla morte del lavoro e alla morte dell'economia».
Il presule ha manifestato la sua piena solidarietà agli operai e dipendenti Honeywell: «Io sono un uomo di speranza: prego e chiedo ai lavoratori di essere tenaci nel mantenere la speranza e nel cercare di stimolare in tutti i modi il dialogo», e ha promesso di scrivere all'azienda chiedendo ai massimi dirigenti della multinazionale dei turbo di tornare sui propri passi. «La mia», ha aggiunto, «è sempre una voce che si aggiunge alle altre per stare con i lavoratori».
Intanto sul fronte del presidio regnano paura e angoscia. Quaranta giorni di sciopero stanno minando nel profondo forze e coscienze. Ieri nel pomeriggio i rappresentanti sindacali hanno incontrato il Prefetto di Chieti Antonio Corona. Un confronto interlocutorio, l'ennesimo, per fare il punto della situazione, in attesa di notizie dalla Regione e dal ministero dello Sviluppo economico che ieri ha sentito l’azienda nel corso di una “call” rispetto ai cui esiti il presidente della Regione Luciano D’Alfonso ieri sera si è detto «fiducioso».
Entrambe le istituzioni sono impegnate nella difficile ed estenuante vertenza che vede da un lato un territorio che muore, e dall'altro un'azienda ferma sulle proprie posizioni e nel proprio mutismo.
Sebbene la questione Honeywell abbia assunto rilevanza nazionale, a dettare tempi e modi di dialogo, finora, è sempre stata l'azienda. Intanto i lavoratori sono allo stremo. «Stiamo ricevendo buste paga con 200-300 euro», denuncia la rsu Fim-Cisl, Donato Di Camillo, «l'azienda ha anticipato di un mese le giornate di sciopero, attaccandoci sul piano economico, vuole affamarci per piegarci: tutto questo è vergognoso e illecito dal punto di vista sindacale».
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Il suo abbraccio ai lavoratori della Honeywell, in sciopero da 40 giorni e in presidio permanente davanti ai cancelli della fabbrica dei turbo in Val di Sangro, è stato ieri mattina commosso e partecipe. «Se tutto questo viene fatto per delocalizzare», ha detto Forte «è immorale due volte: perché si priva un territorio della sua eccellenza e perché si umilia il lavoratore».
Sembra quasi di ascoltare le parole di Papa Francesco che, in un recente videomessaggio ha affermato che «la precarietà uccide. Uccide la dignità, uccide la salute, uccide la famiglia, uccide la società».
Anche l'arcivescovo Forte ha parlato di una situazione «drammatica e ingiusta». «Spostare una fabbrica altrove», ha detto, «è anche controproducente per l'azienda stessa perché la qualità e la produttività di questa gente e di questa terra non si inventano e non si possono ritrovare altrove semplicemente trasferendo le attività. Si rischia di andare incontro ad un'altra delocalizzazione e un'altra ancora, impoverendo le famiglie e interi territori, fino alla morte del lavoro e alla morte dell'economia».
Il presule ha manifestato la sua piena solidarietà agli operai e dipendenti Honeywell: «Io sono un uomo di speranza: prego e chiedo ai lavoratori di essere tenaci nel mantenere la speranza e nel cercare di stimolare in tutti i modi il dialogo», e ha promesso di scrivere all'azienda chiedendo ai massimi dirigenti della multinazionale dei turbo di tornare sui propri passi. «La mia», ha aggiunto, «è sempre una voce che si aggiunge alle altre per stare con i lavoratori».
Intanto sul fronte del presidio regnano paura e angoscia. Quaranta giorni di sciopero stanno minando nel profondo forze e coscienze. Ieri nel pomeriggio i rappresentanti sindacali hanno incontrato il Prefetto di Chieti Antonio Corona. Un confronto interlocutorio, l'ennesimo, per fare il punto della situazione, in attesa di notizie dalla Regione e dal ministero dello Sviluppo economico che ieri ha sentito l’azienda nel corso di una “call” rispetto ai cui esiti il presidente della Regione Luciano D’Alfonso ieri sera si è detto «fiducioso».
Entrambe le istituzioni sono impegnate nella difficile ed estenuante vertenza che vede da un lato un territorio che muore, e dall'altro un'azienda ferma sulle proprie posizioni e nel proprio mutismo.
Sebbene la questione Honeywell abbia assunto rilevanza nazionale, a dettare tempi e modi di dialogo, finora, è sempre stata l'azienda. Intanto i lavoratori sono allo stremo. «Stiamo ricevendo buste paga con 200-300 euro», denuncia la rsu Fim-Cisl, Donato Di Camillo, «l'azienda ha anticipato di un mese le giornate di sciopero, attaccandoci sul piano economico, vuole affamarci per piegarci: tutto questo è vergognoso e illecito dal punto di vista sindacale».
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