Ballone: non c'entro con il delitto Ceci
L'ex componente della banda Battestini: ho già scontato la mia pena
PESCARA. Chiede di essere lasciato in pace, di essere dimenticato Massimo Ballone, l'ex componente della banda Battestini tra i primi a essere portato in Questura la sera dell'omicidio di Italo Ceci. Attraverso il suo legale, l'avvocato Carlo Di Mascio, Ballone dice: «Ho scontato 28 anni e più di carcere, sono cinque anni che sto fuori, che sto dalla mattina alla sera dietro a prosciutti e salami. Ma da quando è iniziata questa storia nel mio negozio non entra più nessuno».
È un intervento che non vorrebbe fare Massimo Ballone, il bandito intellettuale laureato in Scienze dell'educazione che dopo sette anni di carcere duro e tre evasioni (da Pescara, da Rebibbia e da un carcere belga) fu arrestato in Venezuela dall'Interpol nel 1998. Per poi scrivere, in carcere a Sulmona, il suo libro autobiografico «Al di sotto del cuore», come al di sotto del cuore Ballone sparò, colpendolo a una gamba, al poliziotto che durante la sua evasione dal carcere di San Donato gli puntò il mitra che s'inceppò.
«Il mio nome è di nuovo sui giornali», protesta ora Ballone tramite il suo legale, «ma non si dice che, come me, in questi giorni hanno ascoltato tanti altri in questura ed è finita là. Le indagini devono fare il loro corso, ma a me», manda a dire Ballone riferendosi ai giornali, «lasciatemi in pace».
Pochissime parole sull'ex compagno Italo Ceci, («di fronte alla morte tanto di rispetto») del quale Ballone non conosce il presente, ma il passato sì. Un passato da rapinatore ma anche da pentito in cui Ceci, che ha pure scontato la sua pena, avrebbe fatto arrestare parecchie persone.Per questo gli investigatori della Mobile che dallo scorso venerdì, da quando Italo Ceci è stato ucciso con tre colpi alla schiena davanti al negozio che gestiva in piazza Martiri Pennesi, non hanno smesso di interrogare personaggi vecchi e nuovi della malavita, con decine di blitz e perquisizioni a sopresa a cui si aggiunge anche l'esame dello stub, l'esame che stabilisce se qualcuno ha sparato di recente e a cui hanno sottoposto diverse persone.
Accertamenti che Ballone non nega, mentre pretende, quello sì, come riferisce il suo legale, che non si faccia più il suo nome. «Sono cinque anni che sto fuori, mi hanno addossato la rapina alla Conad di Chieti ma ne sono stato assolto per non aver commesso il fatto, si parla della rapina milionaria al portavalori ma io non ci stavo e non mi ha mai interrogato nessuno, perchè il processo non è ancora iniziato. Invece so solo che lavoro dalla mattina alla sera e che adesso, in questi ultimi giorni, quasi nessuno entra più nel mio alimentari. Se avessi avuto i soldi me ne sarei andato via con mia moglie per qualche giorno, in qualche agriturismo, invece», conclude per conto dell'avvocato Di Mascio, «non me lo posso permettere».
Di certo è vasto il giro su cui la squadra Mobile di Pierfrancesco Muriana sta lavorando, ripercorrendo a ritroso le tante vite di Italo Ceci che a 58 anni era stato bandito, pentito e cittadino esemplare. Un uomo, in ogni caso, che dietro la gentilezza e la profonda umanità che tutti nel quartiere di piazza Martiri Pennesi hanno raccontato, continuava comunque ad avere paura. Non aveva mai smesso, e questo lo racconta chi gli era più vicino, di guardarsi intorno. «A me mi può ferma' solo una pistolata», ripeteva a chi lo esortava a non esporsi troppo con la sua generosità.
Un istinto di protezione, soprattutto verso gli altri, su cui Ceci aveva impostato anche la sua vita privata, al punto da scegliere di vivere separato dalla compagna che per lui si era trasferita a Pescara. «Lo faceva per proteggerla», racconta chi lo frequentava quotidianamente, «perchè forse se l'aspettava, chissà, anche se non l'ha mai esternato. Ripeteva che solo una pistolata poteva fermarlo, perchè non aveva paura di niente se non per gli altri. E infatti», va avanti la persona che chiede l'anonimato, «se entravi sotto la sua ala protettiva potevi andare in giro tranquillo perchè nessuno ti toccava. Perchè Italo di fronte a certe presenze sospette sapeva consigliarci senza che nessuno si mettesse a rischio».
È un intervento che non vorrebbe fare Massimo Ballone, il bandito intellettuale laureato in Scienze dell'educazione che dopo sette anni di carcere duro e tre evasioni (da Pescara, da Rebibbia e da un carcere belga) fu arrestato in Venezuela dall'Interpol nel 1998. Per poi scrivere, in carcere a Sulmona, il suo libro autobiografico «Al di sotto del cuore», come al di sotto del cuore Ballone sparò, colpendolo a una gamba, al poliziotto che durante la sua evasione dal carcere di San Donato gli puntò il mitra che s'inceppò.
«Il mio nome è di nuovo sui giornali», protesta ora Ballone tramite il suo legale, «ma non si dice che, come me, in questi giorni hanno ascoltato tanti altri in questura ed è finita là. Le indagini devono fare il loro corso, ma a me», manda a dire Ballone riferendosi ai giornali, «lasciatemi in pace».
Pochissime parole sull'ex compagno Italo Ceci, («di fronte alla morte tanto di rispetto») del quale Ballone non conosce il presente, ma il passato sì. Un passato da rapinatore ma anche da pentito in cui Ceci, che ha pure scontato la sua pena, avrebbe fatto arrestare parecchie persone.Per questo gli investigatori della Mobile che dallo scorso venerdì, da quando Italo Ceci è stato ucciso con tre colpi alla schiena davanti al negozio che gestiva in piazza Martiri Pennesi, non hanno smesso di interrogare personaggi vecchi e nuovi della malavita, con decine di blitz e perquisizioni a sopresa a cui si aggiunge anche l'esame dello stub, l'esame che stabilisce se qualcuno ha sparato di recente e a cui hanno sottoposto diverse persone.
Accertamenti che Ballone non nega, mentre pretende, quello sì, come riferisce il suo legale, che non si faccia più il suo nome. «Sono cinque anni che sto fuori, mi hanno addossato la rapina alla Conad di Chieti ma ne sono stato assolto per non aver commesso il fatto, si parla della rapina milionaria al portavalori ma io non ci stavo e non mi ha mai interrogato nessuno, perchè il processo non è ancora iniziato. Invece so solo che lavoro dalla mattina alla sera e che adesso, in questi ultimi giorni, quasi nessuno entra più nel mio alimentari. Se avessi avuto i soldi me ne sarei andato via con mia moglie per qualche giorno, in qualche agriturismo, invece», conclude per conto dell'avvocato Di Mascio, «non me lo posso permettere».
Di certo è vasto il giro su cui la squadra Mobile di Pierfrancesco Muriana sta lavorando, ripercorrendo a ritroso le tante vite di Italo Ceci che a 58 anni era stato bandito, pentito e cittadino esemplare. Un uomo, in ogni caso, che dietro la gentilezza e la profonda umanità che tutti nel quartiere di piazza Martiri Pennesi hanno raccontato, continuava comunque ad avere paura. Non aveva mai smesso, e questo lo racconta chi gli era più vicino, di guardarsi intorno. «A me mi può ferma' solo una pistolata», ripeteva a chi lo esortava a non esporsi troppo con la sua generosità.
Un istinto di protezione, soprattutto verso gli altri, su cui Ceci aveva impostato anche la sua vita privata, al punto da scegliere di vivere separato dalla compagna che per lui si era trasferita a Pescara. «Lo faceva per proteggerla», racconta chi lo frequentava quotidianamente, «perchè forse se l'aspettava, chissà, anche se non l'ha mai esternato. Ripeteva che solo una pistolata poteva fermarlo, perchè non aveva paura di niente se non per gli altri. E infatti», va avanti la persona che chiede l'anonimato, «se entravi sotto la sua ala protettiva potevi andare in giro tranquillo perchè nessuno ti toccava. Perchè Italo di fronte a certe presenze sospette sapeva consigliarci senza che nessuno si mettesse a rischio».
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