La salma della 39enne portata fuori di casa in via Lago di Bolsena a luglio di tre anni fa

IL GIALLO DI VIA LAGO DI BOLSENA

Bancaria morta, non fu suicidio: indagato noto professionista 

La donna morì per un mix di cocaina e alcol nella sua casa, dove il 48enne aveva passato la notte. Ma secondo l’accusa lui non chiamò subito i soccorsi, facendola trovare impiccata a un termosifone

PESCARA. Si parte da un apparente suicidio, che ben presto risulterà simulato, e si arriva a un delitto, con un retroscena degno di un classico giallo. È l’epilogo inatteso di una delicata inchiesta condotta dal sostituto procuratore Andrea Papalia, che si inserisce in un contesto sociale piuttosto alto, diciamo nella sfera della Pescara bene, con festini a base di cocaina, sesso e alcol.
Un’inchiesta appena conclusa, che vede un solo imputato coinvolto nella morte della sua fidanzata, un noto professionista di Pescara, L.O., 48 anni, che ora rischia il processo con pesanti accuse: cessione di droga, omissione di soccorso di persona incapace di provvedere a se stessa in quel momento, collegato all'articolo 575 che è omicidio; simulazione dell’impiccamento suicidario.
QUELLA NOTTE. La vittima è una giovane donna che all’epoca dei fatti (nel 2017) aveva 39 anni, una bancaria che lavorava in un istituto di credito al centro di Pescara e viveva sola in via Lago di Bolsena. Il decesso si verifica nell’appartamento della donna dove l’uomo si era recato quella sera per cenare e passare la notte con lei. Il mattino seguente, questa almeno la versione fornita dall’indagato agli investigatori, al suo risveglio, intorno alle 10, scopre il corpo della fidanzata in bagno, impiccata con una cintura ancorata al termosifone. Non chiama subito il 118, ma prima il padre e poi la polizia. E questo fu un aspetto insolito, valutato dagli inquirenti.
L’AUTOPSIA. La questione si complica quando l'anatomopatologo Ildo Polidoro deposita la sua consulenza dalla quale appare evidente che non ci fu nessun suicidio. La donna aveva dei tagli ai polsi e segni evidenti sul collo, ma la cintura usata per l’impiccagione non era deformata come sarebbe accaduto per il peso del corpo, ma soprattutto i segni rinvenuti sul cadavere sarebbero stati provocati dopo la morte. La donna morì nella notte del 7 luglio 2017, ufficialmente per un mix di cocaina e alcol, ma poteva essere salvata se solo fosse stato prontamente chiamato il 118. Ma i colpi di scena non finiscono qui.
IL FESTINO. Nel corso dell'incidente probatorio, il gip Antonella Di Carlo dispone che sul corpo della donna vengano eseguiti altri esami per conoscere eventuali rapporti sessuali. E qui si apre un altro inquietante scenario. Da quegli esami, eseguiti da un genetista di Milano, si scopre che quella stessa notte la vittima ebbe un rapporto sessuale con un uomo, diverso dal suo fidanzato, e con una donna, rimasti ancora ignoti. Fatto che lascia supporre che quella sera ci fu una sorta di festino in quella casa. Questo nuovo elemento poteva giocare a favore dell’indagato, ma così non fu.

L'avvocato Sabatino Ciprietti
LA DIFESA E IL BIGLIETTO. Gli sforzi profusi dal difensore del professionista, l’avvocato Sabatino Ciprietti, che presentò numerose memorie difensive per confutare soprattutto le consulenze tecniche, non sortirono l’effetto sperato e si è quindi giunti ad oggi, alla richiesta di processo da parte del magistrato (l'inchiesta venne avviata a suo tempo dal pm Gennaro Varone). Vennero peraltro esperite diverse consulenze oltre a quelle mediche: in materia biologica dal professo Liborio Stuppia, una perizia informatica e una consulenza di un grafologo sul biglietto rinvenuto vicino al corpo, nel quale c'era scritto «non posso più vivere così»: biglietto al quale però non si è riusciti a dare un riferimento temporale, come se potesse essere stato scritto anche in un’altra occasione.
AMMISSIONI E TABULATI. L’indagato viene ascoltato e soltanto dopo l’incidente probatorio ammette di aver consumato droga, senza aggiungere altro, e negando il suo consenso ad esami tossicologici.
Ma gli inquirenti trovano anche un altro elemento che contrasta con la sua originaria versione dei fatti. L’uomo affermò di essersi addormentato intorno alla mezzanotte e di essersi svegliato alle 10 del giorno dopo. Ma dai tabulati del suo telefono risultano delle chiamate fatte intorno alle quattro del mattino, orario che corrisponderebbe all’arco di tempo in cui si verificò il decesso della donna: tra le 3 e le 4 del mattino, appunto.
L’ACCUSA. Nel capo di imputazione si legge che l’uomo sarebbe venuto meno «al dovere di immediato soccorso della donna, scegliendo, deliberatamente, di non intervenire nel processo patologico causale - intossicazione acuta da cocaina ed alcol, che affliggeva con evidenza la donna e che dava inequivocabili manifestazioni cliniche; non ne impediva, e dunque, ne cagionava la morte». E poi ancora «perché simulava l'impiccamento suicidario di (...), sospendendone il cadavere mediante una cintura che le serrava intorno alla gola; quindi le praticava alcune profonde incisioni sul polso sinistro, con la lama di un coltello da cucina, accentuando le assai più modeste lesioni, al medesimo polso, che la donna, nel corso di un litigio, si era provocatoriamente auto-inferte, in tal modo deturpando il cadavere, con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di procurarsi l’impunità dai reati contestati».
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