Banditi ripresi dalle telecamere
La commessa che ha sventato la rapina: «Non so se ho fatto bene»
PESCARA. «Il giorno dopo è sempre il peggiore, ti fa riflettere». Non se la sente di raccontare nulla Oriana Di Giacomo, la dipendente della Mancini gold che ha sventato un tentativo di rapina.
L'assalto è iniziato alle 7,45 di mercoledì quando tre banditi hanno bloccato Antonio Mancini mentre entrava nel portone e lo hanno costretto a salire e farsi aprire le prime due porte dalla Di Giacomo che era già in negozio. Nonostante la pistola puntata alla tempia del suo capo la donna non ha aperto l'ultimo vetro blindato. E solo grazie alla sua reazione istintiva i rapinatori sono scappati. Ventiquattro ore dopo Oriana Di Giacomo è di nuovo al lavoro nella gioielleria di via Trieste.«Mi scusi, ma non ho nessuna voglia di parlare», dice educatamente, «il giorno dopo è sempre il peggiore. Visto come è finita è andata bene, sì, ma insomma, non lo so se ho fatto bene. Per questo il giorno dopo è il peggiore, perché ti fa riflettere», sussurra prima che la voce si rompa e, chiedendo sempre scusa con gentilezza, tagli corto. Di giorno dopo la Di Giacomo ne deve aver vissuto almeno un altro, perché c'era sempre lei 22 anni fa, quando la Mancini Gold venne svaligiata da tre falsi finanzieri che puntarono le pistole contro la dipendente e il padre dell'attuale proprietario.
Intanto la squadra Mobile coordinata da Dante Cosentino sta cercando una traccia che potrebbe portare ai rapinatori che hanno tentato il colpo da Mancini Gold. Gli investigatori stanno vagliando le telecamere di sicurezza nei dintorni della ditta. Al setaccio anche la macchina usata dai banditi per allontanarsi da via Trieste e abbandonata subito dopo, all'incrocio tra via Cesare Battisti e via Mazzini. Proprio l'auto, una Ford Focus grigia da cui alcuni testimoni hanno visto scendere tre persone poi salite su un'altra macchina, può aiutare a capire da dove vengono i rapinatori. L'auto, infatti, è stata rubata il primo giugno ad Acilia, in provincia di Roma. Un po' lontano per degli ipotetici rapinatori pescaresi che decidano di colpire nella loro città. Gli investigatori pensano quindi a un gruppo venuto da fuori. Una banda che probabilmente ha avuto una dritta da qualcuno del posto.
Che il colpo sia stato studiato e preparato da gente esperta sembra chiaro. Sia perchè ci sono tutti i segnali di una certa organizzazione - l'orario, lo studio delle abitudini di Mancini e del palazzo, la doppia auto per scappare - sia per la reazione che hanno avuto i banditi quando hanno capito che il colpo stava per fallire. Aver abbandonato il campo nel momento in cui la donna non ha aperto l'ultima porta non è stato un segno di debolezza, anzi, tutt'altro. Andando via quando si è capito che i gioielli non li avrebbero presi i rapinatori hanno dimostrato lucidità e nervi saldi. Roba da professionisti.
L'assalto è iniziato alle 7,45 di mercoledì quando tre banditi hanno bloccato Antonio Mancini mentre entrava nel portone e lo hanno costretto a salire e farsi aprire le prime due porte dalla Di Giacomo che era già in negozio. Nonostante la pistola puntata alla tempia del suo capo la donna non ha aperto l'ultimo vetro blindato. E solo grazie alla sua reazione istintiva i rapinatori sono scappati. Ventiquattro ore dopo Oriana Di Giacomo è di nuovo al lavoro nella gioielleria di via Trieste.«Mi scusi, ma non ho nessuna voglia di parlare», dice educatamente, «il giorno dopo è sempre il peggiore. Visto come è finita è andata bene, sì, ma insomma, non lo so se ho fatto bene. Per questo il giorno dopo è il peggiore, perché ti fa riflettere», sussurra prima che la voce si rompa e, chiedendo sempre scusa con gentilezza, tagli corto. Di giorno dopo la Di Giacomo ne deve aver vissuto almeno un altro, perché c'era sempre lei 22 anni fa, quando la Mancini Gold venne svaligiata da tre falsi finanzieri che puntarono le pistole contro la dipendente e il padre dell'attuale proprietario.
Intanto la squadra Mobile coordinata da Dante Cosentino sta cercando una traccia che potrebbe portare ai rapinatori che hanno tentato il colpo da Mancini Gold. Gli investigatori stanno vagliando le telecamere di sicurezza nei dintorni della ditta. Al setaccio anche la macchina usata dai banditi per allontanarsi da via Trieste e abbandonata subito dopo, all'incrocio tra via Cesare Battisti e via Mazzini. Proprio l'auto, una Ford Focus grigia da cui alcuni testimoni hanno visto scendere tre persone poi salite su un'altra macchina, può aiutare a capire da dove vengono i rapinatori. L'auto, infatti, è stata rubata il primo giugno ad Acilia, in provincia di Roma. Un po' lontano per degli ipotetici rapinatori pescaresi che decidano di colpire nella loro città. Gli investigatori pensano quindi a un gruppo venuto da fuori. Una banda che probabilmente ha avuto una dritta da qualcuno del posto.
Che il colpo sia stato studiato e preparato da gente esperta sembra chiaro. Sia perchè ci sono tutti i segnali di una certa organizzazione - l'orario, lo studio delle abitudini di Mancini e del palazzo, la doppia auto per scappare - sia per la reazione che hanno avuto i banditi quando hanno capito che il colpo stava per fallire. Aver abbandonato il campo nel momento in cui la donna non ha aperto l'ultima porta non è stato un segno di debolezza, anzi, tutt'altro. Andando via quando si è capito che i gioielli non li avrebbero presi i rapinatori hanno dimostrato lucidità e nervi saldi. Roba da professionisti.
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