Boldrini: «L’Europa deve diventare la nostra casa comune»
La presidente della Camera presenta oggi a Pescasseroli con Dacia Maraini il suo libro “La comunità possibile”. «Utopia obbligata se non vogliamo sparire»
PESCARA. Il grande sogno dell’Europa, come unica comunità possibile, con richiami ad Altiero Spinelli e Benedetto Croce: «Senza quella casa comune non potremo avere influenza sul resto del mondo, nessun paese europeo da solo potrà competere coi giganti globali e saremo condannati all'irrilevanza». Una forte preoccupazione per il dramma dell'immigrazione e le relative politiche dell’Unione: un problema sul quale «l'Europa rischia di disgregarsi». La solita, grande attenzione per la parità di genere: «Un tema assolutamente centrale, che viene accantonato come se fosse superato». Laura Boldrini (oggi a Pescasseroli dove alle ore 18 presenterà con Dacia Maraini il suo libro “La comunità possibile”) non nasconde le sue preoccupazioni. E in questa intervista esclusiva al Centro passa in rassegna tutti i grandi temi proposti dall’attualità.
Presidente Boldrini, il titolo del suo libro è “La comunità possibile”. Un titolo positivo, propositivo per un’Unione democratica più giusta, solidale. Un obiettivo che oggi appare difficile se non utopistico.
«Ho scelto di dare un titolo positivo al libro perché penso che l'Europa sia davvero l'unica comunità possibile: senza quella casa comune non potremo avere influenza sul resto del mondo, nessun paese europeo da solo potrà competere coi giganti globali e saremo condannati all'irrilevanza. Se non vogliamo soccombere, siamo destinati ad essere ottimisti e positivi. È un'utopia? Certo, le utopie fanno bene alla politica perché senza utopie, senza progetti alti, la società non si evolve. Ma ci tengo a sottolineare che quella europea è un'utopia “obbligata” e possibile, se non vogliamo sparire».
Nella costruzione dell’idea di una nuova Europa c’è molto lavoro da fare anche qui in Italia, il paese di Altiero Spinelli. Il populismo e la xenofobia che caratterizzano il dibattito politico sembrano quanto di più lontano dallo spirito di Ventotene di cui parla nel libro.
«Lo spirito di Ventotene, che ancor prima è lo spirito di Benedetto Croce. Stasera parlerò a Pescasseroli, dove lui nacque, e proprio nella piazza a lui intitolata. Casualmente, sono anche i giorni in cui Croce è stato citato per aver perso la sua famiglia nel terremoto di Casamicciola. Mi lasci ricordare allora come Croce conclude nel 1932 la sua Storia d'Europa nel secolo XIX”: “Francesi e tedeschi e italiani indirizzeranno all'Europa i loro pensieri”, come in precedenza avevano fatto verso i rispettivi stati nazionali. In anticipo sugli antifascisti di Ventotene, Croce vede che quella europea è la dimensione indispensabile alla quale ambire. E nel manifesto, pochi anni dopo, verrà scritto che il nazionalismo sarà sempre più l'orizzonte dei conservatori, mentre le forze progressiste saranno proiettate verso il disegno europeista. È un imperativo che i progressisti devono sentire anche oggi, insieme al dovere di correggere le storture profonde dell'unione odierna: in particolare una politica economica miope e sbagliata, che ha generato tanta sofferenza sociale, non ci ha portato fuori dalla crisi e ha fornito purtroppo un potente alimento alle forze populiste».
Nel libro c’è l’immagine forte del giubbotto di un migrante che lei raccoglie sulla spiaggia di Lesbo. Quanto il destino dell’Europa è legato alla soluzione o, almeno, alla costruzione di una politica comune sull’immigrazione?
«Molto. La commissione Europa aveva cercato di fare dell'immigrazione la cartina di tornasole di una maggiore condivisione di sovranità, proponendo una suddivisione degli oneri dell'accoglienza attraverso la relocation. Purtroppo pochi degli stati membri hanno dato seguito ai propri impegni, e questo sta determinando una fortissima pressione su alcuni paesi, tra cui l'Italia, per cui da noi i populisti hanno gioco facile nel demonizzare l'immigrazione e l'Europa. E le forze progressiste non contrastano questa azione in modo sufficiente, con una narrazione diversa e con una visione realistica e alternativa alla paura, il cavallo di battaglia di chi è a corto di proposte e di idee. Sull'immigrazione l'Europa rischia di disgregarsi.
Per questo è importante anche stabilizzare i paesi africani nostri vicini: se non ci sarà un piano economico mirato a loro, un piano ambizioso capace di fare di quel continente un luogo in cui la ricchezza si ridistribuisce e non rimane nelle mani di ristrette élite, in cui lo sviluppo umano viene messo al centro dell'azione politica, saremo noi a subirne le conseguenze nel medio termine. Così come se non rilanceremo con più impegno i negoziati di pace per tanti conflitti rimasti sospesi, le persone continueranno a fuggire e a cercare sicurezza altrove, anche in Europa».
Ritiene che la questione della parità di genere sia un problema ancora centrale nel nostro paese e che si colleghi in qualche modo al cammino di costruzione di una nuova Europa?
«È un tema assolutamente centrale, che viene accantonato come se fosse superato. E invece non è affatto così. Negli anni della crisi abbiamo visto come le donne siano state più penalizzate nel mondo del lavoro, in termini di difficoltà di accesso e di gap salariale, con ricadute negative anche nell'ambito domestico.
La commissione Jo Cox, che ho voluto istituire alla Camera sui fenomeni di odio, ha rilevato che le forme di discriminazione contro le donne quasi non vengono più registrate, come se le donne si fossero rassegnate a subirle. Nel web il livello di violenza che si esprime contro le donne è quello di una misoginia senza limiti. E ancora: dall'utilizzo del loro corpo nella pubblicità, alla loro rappresentazione in tv, si continuano a riproporre modelli anomali rispetto al resto d'Europa, così come è anomalo il nostro tasso di occupazione femminile, tanto più basso della media Ue. Allo stesso tempo si fa fatica a declinare al femminile professioni oggi svolte anche da donne - avvocata, ingegnera - o ruoli di vertice un tempo appannaggio di soli uomini come ministra, amministratrice delegata, sindaca ecc. La questione di genere è un grande problema politico e sociale, e l'ho messo al centro della mia presidenza per reagire al suo oscuramento. Stiamo parlando del 50 per cento della popolazione, non si può ignorarlo».
Accennava al tasso di violenza sul web soprattutto contro le donne. Lei si sta battendo molto per un web libero e sicuro. Perché secondo lei assistiamo a questa deriva etica all’interno del dibattito pubblico? E’ solo volgarità e cattiva educazione o è il segno di qualcosa di più grave?
«È un segno grave, che chiama in causa anche la politica. Perché se alcuni suoi esponenti danno l'esempio di usare sistemi volgari e aggressivi, è chiaro che poi le persone comuni si sentiranno libere di fare altrettanto. Attaccare l'avversario con la menzogna, la delegittimazione, le fake news aizzando i propri seguaci è una responsabilità grave della politica. C'è chi usa questi metodi sporchi non avendo capacità di argomentare e di prevalere con il ragionamento. Ma a questo degrado non si può soggiacere: bisogna reagire alla violenza, non ci si può convivere. Al di là del mio impegno per l'educazione ad un uso consapevole del web, penso che in uno stato di diritto sia giusto che chi è offeso e aggredito possa adire le vie legali. La campagna #adessobasta l'ho lanciata anche in nome e per conto dei tanti che non hanno gli strumenti per potersi difendere».
In questi giorni si torna a parlare molto di terremoto. Ammiriamo tutti la straordinaria macchina dei soccorsi e la professionalità e lo spirito di sacrificio dei soccorritori. Ma sembra che questo paese sia sempre all’anno zero per quanto riguarda la prevenzione.
«Il nostro è un territorio sismico. Abbiamo celebrato il primo anniversario del terremoto nel centro Italia mentre a Ischia si contavano vittime e danni di altri crolli. Non si può più prescindere dalla messa in sicurezza degli edifici. Servono investimenti e incentivi ai privati perché adeguino le costruzioni ai criteri antisismici. Questo deve essere un obiettivo condiviso da tutti, e la politica deve saperlo affrontare - se vuole fare il bene del paese - uscendo dall'illusione che possano esserci risultati immediati. I grandi temi non vanno affrontati facendo credere ai cittadini che siano possibili soluzioni istantanee: che si parli di salvaguardia del territorio, o di ambiente, o di immigrazione, bisogna avere la responsabilità di guardare a dieci-vent'anni».
Lei sarà a Pescasseroli per la presentazione del suo libro. Conosce l’Abruzzo? Ha ricordi di questa terra anche non legati agli impegni della sua carica istituzionale?
«Da vostra vicina, visto che sono marchigiana, l'Abruzzo lo conosco fin da ragazza: lunghe passeggiate con gli amici in paesaggi che ho sempre sentito familiari, e che quando ho potuto ho frequentato spesso anche da adulta. E ora, da presidente della Camera, l'Abruzzo è stata meta di numerose visite istituzionali: Pescara, L'Aquila, Bussi, Lettomanoppello in memoria delle vittime di Marcinelle. E la Brigata Majella ospite di Montecitorio per le celebrazioni della Liberazione».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Presidente Boldrini, il titolo del suo libro è “La comunità possibile”. Un titolo positivo, propositivo per un’Unione democratica più giusta, solidale. Un obiettivo che oggi appare difficile se non utopistico.
«Ho scelto di dare un titolo positivo al libro perché penso che l'Europa sia davvero l'unica comunità possibile: senza quella casa comune non potremo avere influenza sul resto del mondo, nessun paese europeo da solo potrà competere coi giganti globali e saremo condannati all'irrilevanza. Se non vogliamo soccombere, siamo destinati ad essere ottimisti e positivi. È un'utopia? Certo, le utopie fanno bene alla politica perché senza utopie, senza progetti alti, la società non si evolve. Ma ci tengo a sottolineare che quella europea è un'utopia “obbligata” e possibile, se non vogliamo sparire».
Nella costruzione dell’idea di una nuova Europa c’è molto lavoro da fare anche qui in Italia, il paese di Altiero Spinelli. Il populismo e la xenofobia che caratterizzano il dibattito politico sembrano quanto di più lontano dallo spirito di Ventotene di cui parla nel libro.
«Lo spirito di Ventotene, che ancor prima è lo spirito di Benedetto Croce. Stasera parlerò a Pescasseroli, dove lui nacque, e proprio nella piazza a lui intitolata. Casualmente, sono anche i giorni in cui Croce è stato citato per aver perso la sua famiglia nel terremoto di Casamicciola. Mi lasci ricordare allora come Croce conclude nel 1932 la sua Storia d'Europa nel secolo XIX”: “Francesi e tedeschi e italiani indirizzeranno all'Europa i loro pensieri”, come in precedenza avevano fatto verso i rispettivi stati nazionali. In anticipo sugli antifascisti di Ventotene, Croce vede che quella europea è la dimensione indispensabile alla quale ambire. E nel manifesto, pochi anni dopo, verrà scritto che il nazionalismo sarà sempre più l'orizzonte dei conservatori, mentre le forze progressiste saranno proiettate verso il disegno europeista. È un imperativo che i progressisti devono sentire anche oggi, insieme al dovere di correggere le storture profonde dell'unione odierna: in particolare una politica economica miope e sbagliata, che ha generato tanta sofferenza sociale, non ci ha portato fuori dalla crisi e ha fornito purtroppo un potente alimento alle forze populiste».
Nel libro c’è l’immagine forte del giubbotto di un migrante che lei raccoglie sulla spiaggia di Lesbo. Quanto il destino dell’Europa è legato alla soluzione o, almeno, alla costruzione di una politica comune sull’immigrazione?
«Molto. La commissione Europa aveva cercato di fare dell'immigrazione la cartina di tornasole di una maggiore condivisione di sovranità, proponendo una suddivisione degli oneri dell'accoglienza attraverso la relocation. Purtroppo pochi degli stati membri hanno dato seguito ai propri impegni, e questo sta determinando una fortissima pressione su alcuni paesi, tra cui l'Italia, per cui da noi i populisti hanno gioco facile nel demonizzare l'immigrazione e l'Europa. E le forze progressiste non contrastano questa azione in modo sufficiente, con una narrazione diversa e con una visione realistica e alternativa alla paura, il cavallo di battaglia di chi è a corto di proposte e di idee. Sull'immigrazione l'Europa rischia di disgregarsi.
Per questo è importante anche stabilizzare i paesi africani nostri vicini: se non ci sarà un piano economico mirato a loro, un piano ambizioso capace di fare di quel continente un luogo in cui la ricchezza si ridistribuisce e non rimane nelle mani di ristrette élite, in cui lo sviluppo umano viene messo al centro dell'azione politica, saremo noi a subirne le conseguenze nel medio termine. Così come se non rilanceremo con più impegno i negoziati di pace per tanti conflitti rimasti sospesi, le persone continueranno a fuggire e a cercare sicurezza altrove, anche in Europa».
Ritiene che la questione della parità di genere sia un problema ancora centrale nel nostro paese e che si colleghi in qualche modo al cammino di costruzione di una nuova Europa?
«È un tema assolutamente centrale, che viene accantonato come se fosse superato. E invece non è affatto così. Negli anni della crisi abbiamo visto come le donne siano state più penalizzate nel mondo del lavoro, in termini di difficoltà di accesso e di gap salariale, con ricadute negative anche nell'ambito domestico.
La commissione Jo Cox, che ho voluto istituire alla Camera sui fenomeni di odio, ha rilevato che le forme di discriminazione contro le donne quasi non vengono più registrate, come se le donne si fossero rassegnate a subirle. Nel web il livello di violenza che si esprime contro le donne è quello di una misoginia senza limiti. E ancora: dall'utilizzo del loro corpo nella pubblicità, alla loro rappresentazione in tv, si continuano a riproporre modelli anomali rispetto al resto d'Europa, così come è anomalo il nostro tasso di occupazione femminile, tanto più basso della media Ue. Allo stesso tempo si fa fatica a declinare al femminile professioni oggi svolte anche da donne - avvocata, ingegnera - o ruoli di vertice un tempo appannaggio di soli uomini come ministra, amministratrice delegata, sindaca ecc. La questione di genere è un grande problema politico e sociale, e l'ho messo al centro della mia presidenza per reagire al suo oscuramento. Stiamo parlando del 50 per cento della popolazione, non si può ignorarlo».
Accennava al tasso di violenza sul web soprattutto contro le donne. Lei si sta battendo molto per un web libero e sicuro. Perché secondo lei assistiamo a questa deriva etica all’interno del dibattito pubblico? E’ solo volgarità e cattiva educazione o è il segno di qualcosa di più grave?
«È un segno grave, che chiama in causa anche la politica. Perché se alcuni suoi esponenti danno l'esempio di usare sistemi volgari e aggressivi, è chiaro che poi le persone comuni si sentiranno libere di fare altrettanto. Attaccare l'avversario con la menzogna, la delegittimazione, le fake news aizzando i propri seguaci è una responsabilità grave della politica. C'è chi usa questi metodi sporchi non avendo capacità di argomentare e di prevalere con il ragionamento. Ma a questo degrado non si può soggiacere: bisogna reagire alla violenza, non ci si può convivere. Al di là del mio impegno per l'educazione ad un uso consapevole del web, penso che in uno stato di diritto sia giusto che chi è offeso e aggredito possa adire le vie legali. La campagna #adessobasta l'ho lanciata anche in nome e per conto dei tanti che non hanno gli strumenti per potersi difendere».
In questi giorni si torna a parlare molto di terremoto. Ammiriamo tutti la straordinaria macchina dei soccorsi e la professionalità e lo spirito di sacrificio dei soccorritori. Ma sembra che questo paese sia sempre all’anno zero per quanto riguarda la prevenzione.
«Il nostro è un territorio sismico. Abbiamo celebrato il primo anniversario del terremoto nel centro Italia mentre a Ischia si contavano vittime e danni di altri crolli. Non si può più prescindere dalla messa in sicurezza degli edifici. Servono investimenti e incentivi ai privati perché adeguino le costruzioni ai criteri antisismici. Questo deve essere un obiettivo condiviso da tutti, e la politica deve saperlo affrontare - se vuole fare il bene del paese - uscendo dall'illusione che possano esserci risultati immediati. I grandi temi non vanno affrontati facendo credere ai cittadini che siano possibili soluzioni istantanee: che si parli di salvaguardia del territorio, o di ambiente, o di immigrazione, bisogna avere la responsabilità di guardare a dieci-vent'anni».
Lei sarà a Pescasseroli per la presentazione del suo libro. Conosce l’Abruzzo? Ha ricordi di questa terra anche non legati agli impegni della sua carica istituzionale?
«Da vostra vicina, visto che sono marchigiana, l'Abruzzo lo conosco fin da ragazza: lunghe passeggiate con gli amici in paesaggi che ho sempre sentito familiari, e che quando ho potuto ho frequentato spesso anche da adulta. E ora, da presidente della Camera, l'Abruzzo è stata meta di numerose visite istituzionali: Pescara, L'Aquila, Bussi, Lettomanoppello in memoria delle vittime di Marcinelle. E la Brigata Majella ospite di Montecitorio per le celebrazioni della Liberazione».
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