Bomba per vendetta il responsabile in fuga
L’ordigno in casa disinnescato dopo il rogo dell’auto dei vicini a Villanova Roberto Di Santo ricercato dai carabinieri: «Mi consegnerò entro 10 giorni»
CEPAGATTI. «Se non mi prenderete prima, al massimo dieci giorni mi consegnerò alle forze dell’ordine». E ancora: «Non dirò come disinnescare l’ordigno se non si farà giustizia». Parole di Roberto Di Santo, il 58enne di Roccamontepiano che i carabinieri cercano dalla notte dell’8 gennaio: da quando ha dato fuoco alla Golf dei vicini di casa in via Piemonte, a Villanova di Cepagatti,a quando, una volta sul posto i militari hanno trovato tra le grate del cancello della trifamiliare dove Di Santo stava facendo i lavori di ristrutturazione nella casa della sorella (lui alloggiava in un camper in giardino), il videomessaggio in cui l’uomo avvertiva che in quell’appartamento al piano terra aveva allestito un ordigno pronto per esplodere.
È lui stesso a spiegare, mentre chiede giustizia davanti alla telecamera che lo riprende con le due bombole di gpl alle spalle, come l’ha realizzato e come si innesca. Una corsa contro il tempo per i carabinieri del comando provinciale diretti dal colonnello Marcello Galanzi che oltre agli artificieri e ai vigili del fuoco hanno chiesto l’intervento del Gis, il Gruppo interventi speciali utilizzato in azioni di anti terrorismo e anti sabotaggio e solitamente impiegato in teatri di guerra e operazioni ad alto rischio. Perché, come spiegava Di Santo nel suo video, nell’appartamento in ristrutturazione non c’erano solo le due bombole di gpl collegate tra loro (risultate chiuse), ma tutto un congegno di sensori, al pavimento e alle pareti, che al minimo rumore o al più banale movimento, avrebbe attivato un uccellino meccanico che con il suo “cinguettìo” avrebbe dato il via alla fuoriuscita di gas. L’esplosione, una volta che l’ambiente sigillato si fosse saturato, l’avrebbe fatta scattare la scintilla provocata meccanicamente da una batteria, simile a quella delle macchine, attaccata anche a una serie di cavi in rame con cui Di Santo aveva collegato tra loro tutti gli infissi della stanza, anche questi in grado così di azionare il dispositivo in caso di ingresso da parte di qualcuno. Una bomba in piena regola, capace di far saltare in aria tutta la palazzina a due piani.
«Di fronte a questa situazione», spiega il colonnello Galanzi, «una volta messa in sicurezza la zona, con la temporanea chiusura della statale 602 e l’evacuazione della famiglia al piano di sopra e l’altra dell’abitazione vicina, consapevoli che il messaggio avrebbe potuto essere anche ingannevole nei confronti di chi andava ad operare, abbiamo richiesto al comando generale dell’Arma l’intervento del Gis. Oltre al videomessaggio, avevamo solo la planimetria dell’appartamento, e su questa base abbiamo deciso di creare tre varchi nel locale in modo da areare l’ambiente ed evitarne l’eventuale saturazione».
È qui che entrano in gioco i Gis, che con delle speciali cariche esplosive di piccole dimensioni posizionate su due finestre e su un muretto della casa hanno consentito ai carabinieri di entrare e di mettere in sicurezza il congegno, peraltro danneggiato dalle esplosioni stesse. Il tutto è avvenuto nella mattinata del 9 gennaio mentre le ricerche di Di Santo andavano avanti incessantemente già dall’alba di martedì, coordinate dal comandante della compagnia di Pescara, Claudio Scarponi, e dirette dal comandante del Nucleo operativo Salvatore Invidia. Secondo gli investigatori, Di Santo, per il quale il pm Silvia Santoro ha ipotizzato il reato di tentata strage, ha agito da solo, utilizzando i due mezzi che ha a disposizione: un vecchio camper Leyland Sherpa e una Toyota Starlet di colore verdino.
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