Cantagallo, condanna con la firma di Colangelo
Lo scontro infinito tra l’ex sindaco Pd e l’architetto grande accusatore Dal pianoforte alle fogne, così i giudici danno credito alle testimonianze
MONTESILVANO. È uno scontro, prima faccia a faccia e poi sempre a distanza, che si trascina dal marzo 2006, 8 mesi prima che su Montesilvano incombesse il Ciclone, dal giorno di una promessa: «Ti faccio fare una camicia a righe su misura». Da una parte il grande accusatore, l’architetto Aurelio Colangelo, dall’altra l’ex sindaco Pd Enzo Cantagallo arrestato il 15 novembre 2006 e condannato a 5 anni il 28 dicembre 2012. Ma in 6 anni di ordinanze cautelari, memorie difensive, processo e sfilata di testimoni, quanto hanno pesato le accuse di Colangelo? La risposta è nelle 130 pagine delle motivazioni di una sentenza che ha disposto più assoluzioni che condanne, 13 condanne su 32 imputati.
Le dichiarazioni di Colangelo hanno inciso eccome, tanto che il presidente del collegio Carmelo De Santis e i giudici Nicola Colantonio e Paolo Di Geronimo ne riportano stralci proprio sulle carte che scrivono la prima verità giudiziaria sul presunto malaffare di Montesilvano. Sulle motivazioni, Colangelo compare la prima volta quando i giudici esaminano il caso di un pianoforte trovato a casa dell’imprenditore del verde Bruno Chiulli, per l’accusa soltanto una maschera delle tangenti pagate a Cantagallo: «Del pianoforte me ne ha parlato la prima volta Paolo Di Blasio. Mi ha raccontato di una vicenda che era accaduta a Rocco Petrucci, ex assessore di Penne. Attraverso Petrucci erano arrivati a Chiulli: a Chiulli avevano trovato delle tracce di versamenti di denaro a favore di Cantagallo. E allora mi aveva detto che si era organizzato con alcune persone per portargli nottetempo un pianoforte, perché se qualcuno poi l’avesse interrogato su questo pagamento di 7 mila euro, una cifra del genere...».
Colangelo ricompare a pagina 76, nel capitolo sui rapporti tra Cantagallo e l’imprenditore Duilio Ferretti per l’appalto delle fogne di via Adige: «Deve evidenziarsi che il teste Colangelo ha riferito al collegio di aver espresso le proprie perplessità sulla regolarità della procedura amministrativa a Cantagallo arrivando, perfino, a minacciare il sindaco di denunciare la vicenda alle forze dell’ordine. Tale circostanza induceva il sindaco a mutare atteggiamento a cercare di mascherare il proprio rapporto con Ferretti». Secondo i giudici, un’intercettazione tra Cantagallo e Ferretti in cui si parla proprio di Colangelo è decisiva: «Quello è Colangelo... dire a quello sopra... di qua e di là, se l’ha fatta sotto», dice Cantagallo. Ferretti risponde: «A Colangelo, io non gli ho manco chiesto... perché è meglio non parlare».
Sempre tra Cantagallo e Ferretti, un altro passaggio della deposizione di Colangelo risulta determinante per la sentenza che, senza più il reato di associazione per delinquere, fa restare in piedi soltanto la corruzione: «Colangelo ha raccontato al collegio di aver appreso direttamente da Ferretti il fatto che questi aveva corrisposto, per lungo tempo, uno stipendio mensile in favore del Cantagallo per ottenerne i favori». Ecco il verbale della testimonianza resa da Colangelo e ritenuta fondata dal collegio giudicante: «Lui pagava degli stipendi ogni mese, non mi ha detto mai la cifra, mi ha raccontato particolari che pagava il sabato, pagava il lunedì, ogni inizio mese si incontravano». «Uno stipendio a chi?», domanda il pm Gennaro Varone. «A Cantagallo, fin quando faceva l’assessore. C’era la formula, chiamava la segreteria del sindaco per dire “ci dobbiamo incontrare per un sopralluogo in cantiere”, poi ogni sabato o lunedì si incontravano».
Nella sentenza si parla anche di un esposto anonimo del 2006, al centro dell'ipotesi di calunnia: «Può essere che anche gli inquirenti siano divenuti strumenti del Colangelo?», così recita la denuncia scattata dopo che «cento cittadini di Montesilvano avevano avvistato in crociera il dottor Zupo (ex capo della Mobile, ndr) e consorte insieme all’architetto Colangelo e signora».
È da quella crociera che sono partiti gli sms di Colangelo, proprio a ridosso delle prime perquisizioni nell’ufficio dell’allora assessore Attilio Vallescura: «La benzina c’è già, manca solo il cerino. Appena torno lo accendo». Ma perché il reato di calunnia, contestato a Cantagallo e ad altri 5, è caduto? Non c’è prova che a scrivere l’esposto siano stati loro, dicono i giudici, e poi «la condotta di Colangelo può aver indotto gli imputati a ritenere, in buona fede, che l’azione degli agenti era scaturita dalle sollecitazioni dello stesso architetto: Colangelo si era fatto vedere con Zupo sulla nave da crociera e aveva approfittato della circostanza per millantare di poter piegare il funzionario di polizia alle proprie intenzioni vendicative nei confronti di Cantagallo e degli amministratori di Montesilvano che considerava propri nemici».
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