Casa dello studente quattro condannati
All’Aquila sentenza del processo per il crollo dell’edificio in via XX Settembre nel quale morirono 8 giovani: quattro anni ai tecnici del restauro del 2000
L’AQUILA. Francesco Maria Esposito non era un universitario ma era rimasto nella Casa dello studente insieme alla sua fidanzata, Angela Cruciano, studentessa di ingegneria, decidendo di dormire con lei dopo le prime scosse di quella notte tra il 5 e il 6 aprile 2009. Entrambi morirono nel crollo dell’edificio.
Ieri, Francesco avrebbe compiuto 28 anni, proprio nel giorno in cui i suoi cari hanno avuto dal tribunale dell’Aquila una prima risposta alle loro richieste di giustizia per le otto giovani vittime della tragedia. Il primo atto dell’udienza simbolo della maxi inchiesta del post terremoto all’Aquila (220 i fascicoli inizialmente aperti) si chiude con tre condanne a quattro anni e una a due anni e sei mesi. Questa la sentenza pronunciata dal giudice Giuseppe Grieco alle 18,05 in punto. Parole accolte con rabbia e commozione da familiari e conoscenti delle vittime, tra cui tanti amici di Angela e Francesco Maria. Oltre a loro, sotto le macerie dell'edificio, morirono: Luca Lunari, Marco Alviani, Luciana Capuano, Davide Centofanti, Hussein "Michelone" Hamade e Alessio Di Simone.
LE CONDANNE. A quattro anni di reclusione sono stati condannati Bernardino Pace, Pietro Centofanti e Tancredi Rossicone, tecnici autori dei lavori di restauro del 2000 che, secondo l'accusa, avrebbero ulteriormente indebolito il palazzo, che già presentava vizi costruttivi all'epoca della sua edificazione negli anni '60. Circostanza confermata dal perito del tribunale, Maria Giovanna Mulas, in una relazione di 1.300 pagine. I tre tecnici sono stati anche interdetti dai pubblici uffici per 5 anni. A trenta mesi stato condannato Pietro Sebastiani, tecnico dell'azienda per il diritto agli studi universitari. A loro toccherà, inoltre, pagare provvisionali ai parenti delle giovani vittime: il giudice, infatti, ha disposto il pagamento di 100mila euro a ciascun genitore e di 50mila euro a ogni fratello o sorella. Un importo complessivo che si aggira sui 2 milioni di euro. Numerose le parti civili a cui è stato riconosciuto un risarcimento. Tra queste il Codacons, Cittadinanza attiva e il Comune dell'Aquila, a cui sono stati riconosciuti 5mila euro ciascuno.
LE ASSOLUZIONI. «Per non aver commesso il fatto» assolti Luca D'Innocenzoe Luca Valente, all’epoca – rispettivamente – direttore e presidente Adsu, Massimiliano Andreassi e Carlo Giovani, tecnici autori di interventi minori. Il non luogo a procedere è stato disposto per Giorgio Gaudiano, che negli anni '80 ha acquisito la struttura da un privato per conto dell'ateneo aquilano, e Walter Navarra, che ha svolto lavori minori. Per loro, che avevano scelto il giudizio ordinario, il processo era nella fase dell'udienza preliminare. Non luogo a procedere anche per le quattro persone morte durante il processo. La sentenza accoglie così tutte le richieste della Procura.
IN AULA. Botta e risposta in mattinata tra l’avvocato Mercurio Galasso che difende Pace, Centofanti e Rossicone, e il pm Picuti. Il primo, durante l’arringa, aveva chiesto l’assoluzione con formula piena dei suoi assistiti. «Io difendo delle persone», aveva detto, «per le quali sono stati chiesti 4 anni di reclusione. Abbiamo sempre rispettato il dolore ma non vogliamo essere capri espiatori di nessuno». Rivolto al pm, in un altro passaggio dell’arringa, ha detto anche: «Quando è stata costruita la Casa dello studente, lui aveva i pantaloncini corti, ma io ero già avvocato a Napoli». Secca la replica di Picuti. «Nelle mie richieste ho interpretato bene la legge. Centofanti, Rossicone e Pace avrebbero dovuto procedere all'adeguamento sismico del fabbricato. Bastava che i tre imputati avessero preso visione del progetto dell'edificio e si sarebbero accorti che era un castello di carte»; la consulente Mulas ha anche evidenziato come i ragazzi deceduti nell'immane tragedia si trovassero in quelle stanze sulle quali insistevano le pareti tagliafuoco, sistemate dai tre imputati. «Si parla dunque di reato ommissivo».
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