Ceci, decisivi i filmati delle telecamere
La Scientifica sta visionando le immagini ed esaminando le impronte sull'auto del killer
PESCARA. È questa la settimana delle risposte sul delitto di Italo Ceci. Risposte di carattere tecnico che devono arrivare dalle analisi sulle impronte che la Scientifica ha isolato nell'auto rubata e utilizzata dal killer. E poi dalle immagini recuperate nelle telecamere della zona di piazza Santa Caterina e delle vie vicine. Intanto, nessuna segnalazione è giunta agli investigatori dalla diffusione dell'identikit dell'assassino del commerciante, uomo dal passato difficile.
Occorrerà più tempo per ottenere i risultati dello Stub, l'esame che serve per evidenziare microparticelle di polvere da sparo sulla pelle. Il test è stato eseguito su diverse persone, almeno una ventina, tra cui anche gli ex componenti della banda Battestini, di cui Italo Ceci aveva fatto parte, prima di pentirsi e di iniziare a parlare. Ma da tempo ormai, la vita di questo 58enne che aveva scontato la sua pena, era diversa. Un cittadino modello, benvoluto da un intero quartiere, quello in cui gestiva insieme al cognato l'attività Color Quando su piazza dei Martiri Pennesi.
Proprio in virtù di questo cambiamento radicale di vita, gli investigatori seguono anche altre piste. Non si esclude che Ceci abbia assistito a qualcosa che non avrebbe dovuto vedere. «Italo non si spaventava di fronte a nessuna intimidazione o minaccia», aveva detto l'avvocato Monica Ruscillo, legale della famiglia di Ceci, convinta che siano «tante le piste da battere, non solo quelle legate al suo passato turbolento». Anche perché, ribadiscono gli addetti ai lavori, con l'imminente processo del 3 febbraio per l'assalto al portavalori dell'Ivri, nessuno dei vecchi amici «traditi» da Ceci aveva probabilmente interesse ad accendere i riflettori proprio adesso.
Che le piste da battare siano tante lo va ripetendo dal giorno dell'omicidio, avvenuto dieci giorni fa, il capo della Mobile Pierfrancesco Muriana. Agli investigatori è apparso subito inevitabile cominciare le indagini dal passato remoto di Ceci, ma si indaga anche sulla presunta vendetta di un rapinatore respinto da Ceci nel suo negozio, e non sembra così improbabile nemmeno una terza ipotesi, basata finora su due coincidenze.
Il 28 dicembre scorso, venne rapinato l'ingrosso di oreficeria Canci Preziosi, al primo piano del palazzo all'angolo tra via Pellico e l'inizio di viale Bovio. Un palazzo ben visibile dal negozio di vernici dove Ceci era solito stare sulla porta. Tre banditi armati portarono via 15 chili d'oro e la pistola del proprietario, una calibro 38. Un'arma del tutto simile a quella con cui tre settimane dopo, Ceci è stato ucciso a qualche decina di metri dal luogo della rapina.
Il suo assassino è un uomo, descritto come uno dalla carnagione olivastra, quasi scura. Qualcuno che potrebbe aver agito fuori dal codice riconosciuto dalla malavita locale: gli ha sparato di spalle, come il codice della mala impone per gli infami, dimenticando però che in quello stesso codice l'ultima cosa che l'infame deve vedere è proprio la faccia di chi gli sta presentando il conto, da pagare con la vita.
Occorrerà più tempo per ottenere i risultati dello Stub, l'esame che serve per evidenziare microparticelle di polvere da sparo sulla pelle. Il test è stato eseguito su diverse persone, almeno una ventina, tra cui anche gli ex componenti della banda Battestini, di cui Italo Ceci aveva fatto parte, prima di pentirsi e di iniziare a parlare. Ma da tempo ormai, la vita di questo 58enne che aveva scontato la sua pena, era diversa. Un cittadino modello, benvoluto da un intero quartiere, quello in cui gestiva insieme al cognato l'attività Color Quando su piazza dei Martiri Pennesi.
Proprio in virtù di questo cambiamento radicale di vita, gli investigatori seguono anche altre piste. Non si esclude che Ceci abbia assistito a qualcosa che non avrebbe dovuto vedere. «Italo non si spaventava di fronte a nessuna intimidazione o minaccia», aveva detto l'avvocato Monica Ruscillo, legale della famiglia di Ceci, convinta che siano «tante le piste da battere, non solo quelle legate al suo passato turbolento». Anche perché, ribadiscono gli addetti ai lavori, con l'imminente processo del 3 febbraio per l'assalto al portavalori dell'Ivri, nessuno dei vecchi amici «traditi» da Ceci aveva probabilmente interesse ad accendere i riflettori proprio adesso.
Che le piste da battare siano tante lo va ripetendo dal giorno dell'omicidio, avvenuto dieci giorni fa, il capo della Mobile Pierfrancesco Muriana. Agli investigatori è apparso subito inevitabile cominciare le indagini dal passato remoto di Ceci, ma si indaga anche sulla presunta vendetta di un rapinatore respinto da Ceci nel suo negozio, e non sembra così improbabile nemmeno una terza ipotesi, basata finora su due coincidenze.
Il 28 dicembre scorso, venne rapinato l'ingrosso di oreficeria Canci Preziosi, al primo piano del palazzo all'angolo tra via Pellico e l'inizio di viale Bovio. Un palazzo ben visibile dal negozio di vernici dove Ceci era solito stare sulla porta. Tre banditi armati portarono via 15 chili d'oro e la pistola del proprietario, una calibro 38. Un'arma del tutto simile a quella con cui tre settimane dopo, Ceci è stato ucciso a qualche decina di metri dal luogo della rapina.
Il suo assassino è un uomo, descritto come uno dalla carnagione olivastra, quasi scura. Qualcuno che potrebbe aver agito fuori dal codice riconosciuto dalla malavita locale: gli ha sparato di spalle, come il codice della mala impone per gli infami, dimenticando però che in quello stesso codice l'ultima cosa che l'infame deve vedere è proprio la faccia di chi gli sta presentando il conto, da pagare con la vita.
© RIPRODUZIONE RISERVATA