Ceci e Rigante, una lettera collega i 2 omicidi
La polizia: per ora nessun riscontro. A breve l'esito delle comparazioni sui proiettili calibro 38
PESCARA. «Sono passati tanti anni e alla fine hanno dovuto rendere il favore». Finisce così la lettera anonima arrivata al Centro ieri mattina. Diciannove righe scritte al computer con cui, senza mai citare nè Italo Ceci, il pentito della banda Battestini ucciso il 20 gennaio, nè l'ultrà Domenico Rigante ucciso il primo maggio, viene fatto un collegamento molto suggestivo, ma tutto da verificare, tra i due omicidi. Per ora, di certo, c'è solo che a Pescara in meno di quattro mesi, sempre e solo con una calibro 38, sono state ammazzate due persone, e una terza, la prostituta nigeriana gravemente ferita la notte del 25 aprile, si è salvata per miracolo. Un particolare non da poco per gli investigatori, che rimandano l'eventuale collegamento tra i due delitti e il tentato omicidio della nigeriana all'esito della comparazione tra le 4 ogive estratte dalle tre vittime.
LA COMPARAZIONE. La risposta è attesa entro un paio di settimane: proprio due giorni fa il pool della Scientifica di Ancona (nella foto) che ha setacciato la casa di via Polacchi dove è stato ucciso Rigante e l'auto con cui il commando rom è fuggito, si è portato nei laboratori del gabinetto interregionale di Ancona anche le ogive estratte dalla base del collo della nigeriana ferita, e dal fianco destro del povero Rigante per inserirle, come è già avvenuto per le due ogive estratte dal torace di Italo Ceci, nell'Ibis, il database nazionale delle armi da fuoco. L'obiettivo è quello di verificare se tutti e tre gli episodi siano o meno riconducibili alla stessa pistola calibro 38. Calibro 38 come quella che in un'intercettazione del 2008 relativa a un'inchiesta sullo spaccio di droga, Domenico Ciarelli (oggi in carcere come presunto complice dello zio Massimo Ciarelli a sua volta accusato di essere il killer di Rigante) faceva capire di avere, lamentandosi di essere in possesso solo di proiettili calibro 38 Special che non corrispondevano al foro di ingresso del tamburo dell'arma di cui lui e l'interlocutore stavano parlando.
Per ora ci vanno con i piedi di piombo gli investigatori della squadra Mobile di Pierfrancesco Muriana che per l'omicidio Rigante hanno arrestato dopo quattro giorni di latitanza Massimo Ciarelli e altri quattro Ciarelli suoi presunti complici, mentre per il tentato omicidio della nigeriana hanno portato in carcere lo scorso 22 maggio, su ordine di custodia cautelare, Pasquale Di Giovanni, stalliere dei Ciarelli e cugino indiretto di Massimo. E se lo stesso Di Giovanni, incensurato fino a prima di quest'arresto, per il tramite del difensore Luca Sarodi si è detto estraneo alla vicenda e vittima di uno scambio di persona, la ricorrenza dell'arma e il collegamento sia pure indiretto con i Ciarelli, hanno motivato ulteriormente la comparazione tra le ogive richieste dagli investigatori.
IL CORVO. È in questo contesto «mediatico» che è stata scritta la lettera anonima inviata al Centro in cui l'autore fa illazioni sul presunto collegamento tra i Ciarelli e l'omicidio Ceci. Per motivarlo, parte dall'inizio degli anni Novanta quando, scrive il sedicente Corvo, «personalità di spicco della banda Battistini allora rinchiusi in carceri di massima sicurezza furono avvicinati da esponenti di primissimo piano del clan degli Abruzzese di Cosenza (meglio conosciuti come il clan degli zingari) e facendo da tramite alle famiglie rom di Pescara chiesero loro di poter entrare nel mercato della droga senza scontri con pregiudicati del luogo che già detenevano le piazze dello spaccio a Rancitelli, Zanni e Montesilvano. Il benestare fu dato alle famiglie dei Ciarelli solo per lo spaccio dell'eroina e solo nel quartiere di Rancitelli a patto di una quota mensile da inviare direttamente in carcere. L'affare fu mantenuto per diversi anni, poi alla morte di quelli che effettivamente lo avevano stipulato non se n'è fatto più nulla e questa famiglia rom ha preso sempre più potere. Sono passati tanti anni», insinua l'autore anonimo, «e alla fine hanno dovuto rendere il favore».
GLI INVESTIGATORI. Una lettera che, dopo averla visionata, il capo della Mobile Muriana definisce «senza nessun riscontro oggettivo, in quanto troppo generica e inverosimile, a cominciare dal collegamento dei Ciarelli con i calabresi. Se di collegamento si deve parlare con le potenti famiglie del sud Italia», dice l'investigatore, «va ricercato nella zona del Casertano dove hanno stretto parentele». E poi la tempistica: perchè questa lettera proprio ora, si chiede il capo della Mobile, dopo che i giornali hanno parlato della comparazione dei proiettili dei due omicidi, e non prima, a ridosso del delitto Ceci?
LA VERITÀ. È dall'esito degli accertamenti tecnici avviati proprio in questi giorni che potrebbero arrivare le risposte più importanti dopo questi quattro mesi scanditi da due delitti e un tentato omicidio. La lettera, per quello che può valere una lettera anonima, sintetizza però uno spaccato realmente esistito, a cominciare dal primato dei Ciarelli che tra gli zingari furono i primi a vendere la droga a Pescara a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. Chi li segue da allora, però, esclude che per fare questo abbiano chiesto «il permesso» alla malavita che faceva capo alla banda Battestini, pur ritenendo verosimile che nelle carceri di massima sicurezza dove «le personalità di spicco» di quella banda hanno passato diversi anni e incontrato malavitosi di ogni genere, abbiano potuto incontrare anche il clan calabrese degli zingari.
LA COMPARAZIONE. La risposta è attesa entro un paio di settimane: proprio due giorni fa il pool della Scientifica di Ancona (nella foto) che ha setacciato la casa di via Polacchi dove è stato ucciso Rigante e l'auto con cui il commando rom è fuggito, si è portato nei laboratori del gabinetto interregionale di Ancona anche le ogive estratte dalla base del collo della nigeriana ferita, e dal fianco destro del povero Rigante per inserirle, come è già avvenuto per le due ogive estratte dal torace di Italo Ceci, nell'Ibis, il database nazionale delle armi da fuoco. L'obiettivo è quello di verificare se tutti e tre gli episodi siano o meno riconducibili alla stessa pistola calibro 38. Calibro 38 come quella che in un'intercettazione del 2008 relativa a un'inchiesta sullo spaccio di droga, Domenico Ciarelli (oggi in carcere come presunto complice dello zio Massimo Ciarelli a sua volta accusato di essere il killer di Rigante) faceva capire di avere, lamentandosi di essere in possesso solo di proiettili calibro 38 Special che non corrispondevano al foro di ingresso del tamburo dell'arma di cui lui e l'interlocutore stavano parlando.
Per ora ci vanno con i piedi di piombo gli investigatori della squadra Mobile di Pierfrancesco Muriana che per l'omicidio Rigante hanno arrestato dopo quattro giorni di latitanza Massimo Ciarelli e altri quattro Ciarelli suoi presunti complici, mentre per il tentato omicidio della nigeriana hanno portato in carcere lo scorso 22 maggio, su ordine di custodia cautelare, Pasquale Di Giovanni, stalliere dei Ciarelli e cugino indiretto di Massimo. E se lo stesso Di Giovanni, incensurato fino a prima di quest'arresto, per il tramite del difensore Luca Sarodi si è detto estraneo alla vicenda e vittima di uno scambio di persona, la ricorrenza dell'arma e il collegamento sia pure indiretto con i Ciarelli, hanno motivato ulteriormente la comparazione tra le ogive richieste dagli investigatori.
IL CORVO. È in questo contesto «mediatico» che è stata scritta la lettera anonima inviata al Centro in cui l'autore fa illazioni sul presunto collegamento tra i Ciarelli e l'omicidio Ceci. Per motivarlo, parte dall'inizio degli anni Novanta quando, scrive il sedicente Corvo, «personalità di spicco della banda Battistini allora rinchiusi in carceri di massima sicurezza furono avvicinati da esponenti di primissimo piano del clan degli Abruzzese di Cosenza (meglio conosciuti come il clan degli zingari) e facendo da tramite alle famiglie rom di Pescara chiesero loro di poter entrare nel mercato della droga senza scontri con pregiudicati del luogo che già detenevano le piazze dello spaccio a Rancitelli, Zanni e Montesilvano. Il benestare fu dato alle famiglie dei Ciarelli solo per lo spaccio dell'eroina e solo nel quartiere di Rancitelli a patto di una quota mensile da inviare direttamente in carcere. L'affare fu mantenuto per diversi anni, poi alla morte di quelli che effettivamente lo avevano stipulato non se n'è fatto più nulla e questa famiglia rom ha preso sempre più potere. Sono passati tanti anni», insinua l'autore anonimo, «e alla fine hanno dovuto rendere il favore».
GLI INVESTIGATORI. Una lettera che, dopo averla visionata, il capo della Mobile Muriana definisce «senza nessun riscontro oggettivo, in quanto troppo generica e inverosimile, a cominciare dal collegamento dei Ciarelli con i calabresi. Se di collegamento si deve parlare con le potenti famiglie del sud Italia», dice l'investigatore, «va ricercato nella zona del Casertano dove hanno stretto parentele». E poi la tempistica: perchè questa lettera proprio ora, si chiede il capo della Mobile, dopo che i giornali hanno parlato della comparazione dei proiettili dei due omicidi, e non prima, a ridosso del delitto Ceci?
LA VERITÀ. È dall'esito degli accertamenti tecnici avviati proprio in questi giorni che potrebbero arrivare le risposte più importanti dopo questi quattro mesi scanditi da due delitti e un tentato omicidio. La lettera, per quello che può valere una lettera anonima, sintetizza però uno spaccato realmente esistito, a cominciare dal primato dei Ciarelli che tra gli zingari furono i primi a vendere la droga a Pescara a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. Chi li segue da allora, però, esclude che per fare questo abbiano chiesto «il permesso» alla malavita che faceva capo alla banda Battestini, pur ritenendo verosimile che nelle carceri di massima sicurezza dove «le personalità di spicco» di quella banda hanno passato diversi anni e incontrato malavitosi di ogni genere, abbiano potuto incontrare anche il clan calabrese degli zingari.
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