Ceci, sospetti su un'arma rubata a un orefice
Presa a un grossista da 3 rapinatori: è una calibro 38 come quella usata per uccidere Italo
PESCARA. Una pistola calibro 38 come quella che ha ucciso Italo Ceci era stata rubata venti giorni prima dell'omicidio in un ingrosso di gioielli a meno di cento metri dal negozio Color Quando gestito dallo stesso Ceci. Due coincidenze, l'arma e il luogo, che allargano il ventaglio delle ipotesi della squadra Mobile: se il passato di Ceci continua a essere la pista più accreditata dagli investigatori, è anche sull'ultimo presente del pentito della banda Battestini che si cerca. Perché, e questo la famiglia lo continua a ripetere attraverso il suo legale, non è poi così scontato che mandante e movente dell'assassino di Italo siano da cercare nel suo passato.
Per questo non passa inosservata la rapina del 28 dicembre scorso alla Canci Preziosi, l'ingrosso di gioielli all'interno del palazzo all'angolo tra via Pellico (sul primo tratto di strada parco) e l'inizio di viale Bovio. Un palazzo, come si evince dalla foto a destra, perfettamente visibile dal negozio di piazza Martiri Pennesi dove Italo Ceci era solito stare sulla porta, sentinella del rione e di se stesso.
Le cronache di quel giorno raccontano di tre banditi dall'accento locale armati di pistola e coltello che intorno alle 13 aspettarono nell'androne del palazzo il titolare dell'ingrosso che rientrava dalla pausa pranzo. Coperti da passamontagna, berretto e occhiali, i tre puntarono contro il grossista una pistola a canna lunga e un coltello, lo trascinarono nell'ufficio al primo piano e, dopo avergli legato i polsi, aspettarono l'apertura della cassaforte a tempo per fuggire poi con due borse piene d'oro, 15 chili, per un valore di 500 mila euro. Senza dimenticare, nella fuga, di portarsi dietro la pistola calibro 38 che l'imprenditore custodiva in un cassetto.
Una pistola, dunque, del tutto simile a quella con cui la sera del 20 gennaio, tre settimane dopo quella rapina, Italo Ceci è stato ucciso a meno di cento metri dal luogo della rapina. Saranno le analisi balistiche sulle due ogive recuperate nel torace di Ceci durante l'autopsia a dire se i proiettili usati dall'assassino siano compatibili con la canna della pistola di proprietà del gioielliere. Ma la circostanza, se dimostrata, potrebbe rivelare anche il movente del killer: forse Ceci, sempre allerta davanti al negozio dove poi è stato ucciso, ha visto qualcosa che non doveva vedere.
È proprio su questo suo ruolo di sentinella, su cui hanno concordato residenti e commercianti della zona, che chi ha conosciuto bene Italo chiede di battere. Tanto più che a far vacillare la pista della vendetta della banda, corroborata dalle dichiarazioni fatte a un carabiniere nel 2006 da Nino Mancinelli, morto in uno scontro a fuoco l'estate scorsa e noto per le sue continue ritrattazioni, c'è il processo del 3 febbraio per l'assalto al portavalori dell'Ivri di cinque anni fa a Dragonara. Un processo in cui alcuni degli ex componenti della banda Battestini, insieme a nuovi affiliati, rischiano fino a 15 anni di carcere. Chi, tra loro, tra i primi a essere convocati in questura la notte del delitto Ceci, avrebbe avuto interesse ad alzare il polverone proprio in questo momento?
Per questo non passa inosservata la rapina del 28 dicembre scorso alla Canci Preziosi, l'ingrosso di gioielli all'interno del palazzo all'angolo tra via Pellico (sul primo tratto di strada parco) e l'inizio di viale Bovio. Un palazzo, come si evince dalla foto a destra, perfettamente visibile dal negozio di piazza Martiri Pennesi dove Italo Ceci era solito stare sulla porta, sentinella del rione e di se stesso.
Le cronache di quel giorno raccontano di tre banditi dall'accento locale armati di pistola e coltello che intorno alle 13 aspettarono nell'androne del palazzo il titolare dell'ingrosso che rientrava dalla pausa pranzo. Coperti da passamontagna, berretto e occhiali, i tre puntarono contro il grossista una pistola a canna lunga e un coltello, lo trascinarono nell'ufficio al primo piano e, dopo avergli legato i polsi, aspettarono l'apertura della cassaforte a tempo per fuggire poi con due borse piene d'oro, 15 chili, per un valore di 500 mila euro. Senza dimenticare, nella fuga, di portarsi dietro la pistola calibro 38 che l'imprenditore custodiva in un cassetto.
Una pistola, dunque, del tutto simile a quella con cui la sera del 20 gennaio, tre settimane dopo quella rapina, Italo Ceci è stato ucciso a meno di cento metri dal luogo della rapina. Saranno le analisi balistiche sulle due ogive recuperate nel torace di Ceci durante l'autopsia a dire se i proiettili usati dall'assassino siano compatibili con la canna della pistola di proprietà del gioielliere. Ma la circostanza, se dimostrata, potrebbe rivelare anche il movente del killer: forse Ceci, sempre allerta davanti al negozio dove poi è stato ucciso, ha visto qualcosa che non doveva vedere.
È proprio su questo suo ruolo di sentinella, su cui hanno concordato residenti e commercianti della zona, che chi ha conosciuto bene Italo chiede di battere. Tanto più che a far vacillare la pista della vendetta della banda, corroborata dalle dichiarazioni fatte a un carabiniere nel 2006 da Nino Mancinelli, morto in uno scontro a fuoco l'estate scorsa e noto per le sue continue ritrattazioni, c'è il processo del 3 febbraio per l'assalto al portavalori dell'Ivri di cinque anni fa a Dragonara. Un processo in cui alcuni degli ex componenti della banda Battestini, insieme a nuovi affiliati, rischiano fino a 15 anni di carcere. Chi, tra loro, tra i primi a essere convocati in questura la notte del delitto Ceci, avrebbe avuto interesse ad alzare il polverone proprio in questo momento?
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