LA FOTO DI CLASSE
Chiavaroli: sempre al primo banco ma non ero secchiona
Il sottosegretario alla Giustizia racconta gli anni della scuola a Pescara: "Al liceo scientifico Da Vinci anni bellissimi"
PESCARA. In classe sempre al primo banco e mai uno sciopero il sottosegretario Federica Chiavaroli, uscita dal liceo scientifico Da Vinci nel 1989 con 60/60, ma capace di beccarsi anche il cancellino della lavagna in faccia. «Me lo lanciò la professoressa di matematica, stava finendo un esercizio alla lavagna, io l’avevo già fatto e chiacchieravo. Lei si girò di scatto e me lo lanciò. Ma era tutto normale, succedesse adesso...». Madre di tre figli, 46 anni e un’agenda che è lievitata con gli impegni professionali e politici fino alla nascita della recente Alternativa popolare-Centristi per l’Europa, il sottosegretario alla Giustizia racconta nell’ufficio della scuola parificata Mecenate fondata dal papà Gaetano una delle parentesi più belle della sua vita. Tanto che a fine intervista, con il telefono che ribolle, ringrazia dell’oretta passata a ricordare quei tempi.
Com’era la sua classe?
Frizzante. Ragazzi vivaci ma bravi, non ordinari. La quinta G. Una classe da cui sono usciti tanti professionisti, dirigenti, medici, una marea di avvocati. Abbiamo vissuto intensamente quegli anni, estati comprese alla Croce del Sud. E il sabato all’Honeypot. Un periodo fatto di studio ma anche di scherzi e di qualche bravata.
Chi era la sua compagna di banco?
Francesca Rondanelli. Al primo banco per tutti e cinque gli anni. In ultima fila, fissi, Luca Toro, Claudio Croce, Stefano Sasso e Andrea Orfanelli, oggi rispettivamente amministratore delegato della Safar e presidente dell’Aca; avvocato; dirigente Fater e informatore farmaceutico. Eravamo vivaci ma bravi. Penso anche a Costantina Manes, cardiologo in Svizzera, Stefania Antonioni docente universitario a Bologna, Travaglini che fa il medico, Di Fonzo ufficiale della Capitaneria di porto. Tutti, in generale, sono riusciti in quello che hanno fatto.
Torniamo a lei. Con gli scioperi come si comportava?
Mai fatto sciopero nella mia vita. Eravamo un gruppetto che entrava sempre, io, Angeloni, Rondanelli, Manes.
Gli altri come la prendevano?
Lo sapevano. Per noi se c’era qualcosa da dire andava detto nelle sedi giuste, poi io ero anche rappresentante. Il filone di primavera lo facevo, era sullo sciopero che non condividevo. E non ero una secchiona. Studiavo, ma facevo sport, ho giocato a basket in serie A, tra le più piccole della Despar di Giulia Pazienza, delle sorelle Pomilio, di Daniela Grande. Allenamento di tre ore tutti i giorni.
Ci parli dei professori.
Comincio da Teresa Benatti, professoressa di matematica che vedo ancora perché abitiamo vicino, moglie del professor Di Fermo, un altro storico prof di matematica del Da Vinci. Fu lei che mi lanciò il cancellino in faccia, ma fu sempre lei che mi spinse a iscrivermi alla facoltà di Matematica della Normale, a Pisa. Ero bravissima, finivo il libro degli esercizi da sola per passatempo, a prescindere dai compiti. La Benatti mi aveva procurato anche i moduli d’iscrizione, ma quando vidi il programma, sempre con le stesse materie, scelsi Economia e commercio, a Pescara.
Poi, chi altri ricorda?
La professoressa di Scienze Renata Savino, sempre un po’ stralunata, e la Stocchi di Storia e filosofia. Poi il top, il professor Capodiferro, di italiano e latino. Molto esigente in classe, ci faceva fare degli approfondimenti pazzeschi. Dava i votacci, ma non ha mai rimandato nessuno. Poi il professor Di Rado di disegno e storia dell’arte. Ci faceva fare delle tavole complicatissime che duravano un anno intero e infatti tanti suoi alunni hanno fatto Architettura. Senza parlare dell’ora di ginnastica, una cosa serissima. La professoressa di educazione fisica era la mamma di Raiola, il capitano di basket dell’Amatori. Poi la prof d’inglese, Vittoria Cetrullo. Il suo slogan, appena metteva piede in classe, era “time is money”, il tempo è denaro. Arzilla, vivacissima. Non mi ha mai perdonato la separazione da Berlusconi.
E poi il mitico preside Del Villano. Che ricordo ha?
Severo. Io poi sono stata rappresentante di classe, fino al quarto. E avrei continuato se non mi avessero fermato con uno scherzo.
Ci racconti.
Il giorno delle elezioni ero malata, era l’ultimo anno, avrei voluto continuare e invece i miei compagni si misero d’accordo ed elessero Luca, il più discolo. Ma mica perché voleva farlo. Lo fecero per farmi uno scherzo e lo portarono fino all’ultimo. Beccandosi pure le urla del professor Capodiferro quando lo scoprì. Ma se ne facevano tanti di scherzi.
Tipo?
Avevo il Vespone bianco, un giorno andammo a casa di Claudio Croce, parcheggiai e quando uscii non lo ritrovai. Cercammo dappertutto per una settimana. Poi, un giorno, mi portarono in un parcheggio nella zona di Zanni. Vedo il Vespone da lontano e da lì escono tutti. Mi avevano fatto lo scherzo, ma per una settimana mi avevano aiutato a cercarlo. Oppure i ceppetti. Un’estate, credo dopo il quinto perché c’era già chi aveva la patente, venivano tutte le sere a fare il ceppo a casa, con uno stecchino tenevano premuto il tasto del citofono costringendo mio padre a svegliarsi, a scendere e a liberarlo. Ma una notte papà non mise la macchina in garage, si appostò e appena scapparono con la Panda gli andò dietro e li superò mentre arrancavano in cinque in salita. Papà si mise davanti, li fece scendere uno a uno e gli disse adesso basta, lo scherzo lo state facendo a me.
Litigavate in classe?
Liti ce ne sono state, ma non ricordo nessuna amicizia interrotta. Era un gruppo bellissimo, affiatato. D’estate dicevamo ai genitori che andavamo a casa di qualcuno e invece ce ne andavamo a Riccione, a Milano Marittima, roba che se lo leggono i miei figli... Ma perché comunque eravamo bravi ragazzi. Ricordo quello che accadde a cento giorni dall’esame di Stato. Prime patenti, andammo con le macchine in un paese della zona vestina e una delle macchine finì in una scarpata. L’auto fiammante, nuova di zecca del padre di Luca. Facemmo la colletta per farla tirare fuori dal carroattrezzi. Ma prima delle macchine giravamo in motorino, con i Sì, fino a Campo di Giove, a Collecorvino, ai vivai Renzetti.
Com’è cambiata la scuola?
Per noi la scuola era una cosa seria e il professore era una persona da rispettare, da ascoltare. Anche se si aveva confidenza, il professore aveva sempre ragione. Si è perso il valore istituzionale della scuola e di tutto. Io non credo che i nostri genitori siano mai andati a lamentarsi con i professori. Mi ricordo solo che dovevo dare il massimo. Ho avuto il motorino dopo il primo liceo perché mio padre mi disse che lo avrei ottenuto se avessi avuto almeno 8 in ogni materia. Io presi tutti 8 e qualche 9.
E dopo la scuola?
Mi sono iscritta a Economia, laurea in tre anni e poi un master a Roma all’istituto Tagliacarne, iniziai a lavorare in Reconta, ci sono stata un paio d’anni, guadagnavo un milione e 300mila lire. Nell’estate del ’96 mio padre mi fece la proposta, se vieni a lavorare a scuola ti pago due milioni e mezzo. Capii che mi stava chiedendo di tornare e a settembre tornai. Papà morì a dicembre, ebbi appena il tempo di capire come funzionava.
Oggi è sottosegretario, se dovesse diventare ministro dell’Istruzione, qual è la prima cosa che farebbe?
La scuola si sta lasciando andare, sono tutti uguali. E io invece vorrei una scuola nella quale si premi il merito, e dove ci sia chi si prende la responsabilità di giudicare. Questo farei, premiare i meritevoli.
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