ciclone»i retroscena della sentenza/2

MONTESILVANO. Per la squadra mobile e la procura di Pescara era il simbolo del sistema Montesilvano: 20 mila metri di cubatura contesi tra gli imprenditori e con le regole cambiate alla vigilia dell’a...

MONTESILVANO. Per la squadra mobile e la procura di Pescara era il simbolo del sistema Montesilvano: 20 mila metri di cubatura contesi tra gli imprenditori e con le regole cambiate alla vigilia dell’apertura delle buste soltanto per avvantaggiare il consigliere-imprenditore dell’edilizia. Un’accusa costata l’onta dell’arresto a Vladimiro Lotorio, imprenditore e capogruppo della Margherita tra il 2004 e 2006: Lotorio è stato uno degli imprenditori arrestati il 14 luglio del 2007. Ha aspettato quasi 6 anni, Lotorio, per un’assoluzione perché «il fatto non sussiste» e, adesso, le motivazioni della sentenza del processo Ciclone gli ricordano che il bando per Villa Delfico non è stato truccato. Una rivincita amara: Lotorio e l’ex dirigente Ronaldo Canale sono stati assolti dall’accusa di turbativa d’asta (Canale è stato, però, condannato a 4 anni per altri reati). E per dimostrarlo, il collegio di giudici guidato dal presidente Carmelo De Santis e composto da Nicola Colantonio e Paolo Di Geronimo fa leva sulla stessa arma dell’accusa: le intercettazioni. Se per l’accusa dalle intercettazioni trasuda un patto di malaffare, è tutto il contrario per i giudici: «Il tenore della conversazione intercettata sembra escludere qualsivoglia accordo».

Ma archiviata l’inchiesta e passata la festa per l’assoluzione arrivata il 28 dicembre dell’anno scorso, Villa Delfico resta la stessa di sempre: un rudere dimenticato, tra corso Umberto e la strada parco. Il progetto per ridargli vita c’è, ha fatto già il giro delle mostre ricavando applausi e premi ma, dopo il milione di euro speso dall’amministrazione Cordoma per l’acquisto, non ci sono più i soldi per il restauro. Oggi, il degrado resta.

Per cancellare quel mostro in mezzo alla città, nel 2006, la giunta dell’ex sindaco Pd Enzo Cantagallo ha partorito un bando prevedendo la possibilità di costruire appartamenti in un’area di 10 mila metri quadrati con vista su una zona verde in cambio dell’acquisto di Villa Delfico da restaurare e regalare poi al Comune.

Oltre alle intercettazioni, su Villa Delfico i sospetti dell’accusa ruotavano intorno anche alle proteste di Aurelio Colangelo, architetto che ha partecipato al bando contestato. «Come posso godermi le ferie sapendo che la commissione composta da Canale, De Martiis e Americioni ha giudicato meglio il lavoro di Lotorio che è il capogruppo della Margherita?», così, il 3 settembre 2006, ha scritto Colangelo a Massimiliano Pavone, ex presidente del consiglio e oggi capogruppo Pd. È di 3 giorni dopo uno sfogo, intercettato, di Colangelo con Cantagallo: «Caro Enzo, l’errore che hai fatto quando sei diventato sindaco è che volevi fare tutte le cose tu. Alla fine, però, non ci hai capito un cazzo».

Nelle motivazioni, i giudici non accennano al ruolo di Colangelo. I giudici prendono in esame soltanto il bando e dicono che non è stato cambiato all’ultimo momento come invece sosteneva l’accusa: «Può subito affermarsi che l’ente aveva esplicitato la preferenza verso l’uso di materiali di bioarchitettura come criterio cardine per la valutazione dei progetti privati nella vicenda Villa Delfico già in sede di formazione dell’avviso pubblico tra le imprese». E il voto massimo assegnato al progetto di Lotorio? «La commissione», spiegano i giudici, «nel riconoscere il punteggio di 10 al criterio della bioarchitettura si era adeguata a quelle che erano le esigenze generali della collettività e al Prg. Tale riflessione evidenzia come la scelta collegiale della commissione non si fosse connotata di aspetti di imprevedibilità e stravaganza rispetto alla posizione dei soggetti interessati alla gara pubblica: la valutazione della commissione non era di certo idonea, in astratto, a privilegiare gli interessi particolari di qualche partecipante a discapito di altri». E poi, dicono i giudici, non è stato soltanto Canale a decidere: «La volontà del Canale non poteva essere, da sola, idonea a determinare il punteggio per il criterio di valutazione ma doveva trovare riscontro nelle valutazioni degli altri componenti della commissione. Infine, preme evidenziare che la società di Lotorio sarebbe risultata vincitrice della gara anche senza il punteggio aggiuntivo della bioarchitettura».

Se per polizia e pm Gennaro Varone, le intercettazioni dimostravano un accordo tra Lotorio e Canale, per i giudici è vero il contrario: «Il tenore della conversazione intercettata in ambientale tra Lotorio e tale Maria Pia sembra escludere la sussistenza di qualsivoglia accordo. Lotorio si lamentava del fatto che altri volevano chiedere l’annullamento al Tar del bando strumentalizzando tra le altre cose “il fatto che Canale conoscendo il progetto in pratica ha fatto dei criteri dove era chiaro che io sarei stato privilegiato”. In sostanza, Lotorio, dopo che l’interlocutrice evidenziava la correttezza del comportamento (“invece tu hai fatto le cose alla luce del sole”) non ammetteva di essere stato favorito ma, piuttosto, si doleva di presunte accuse proditorie che altri andavano facendo nei propri confronti per ottenere l’annullamento della gara».

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