Ivana, 59 anni, di Montesilvano, con il personale dell’ospedale di Pescara che le ha salvato la vita

MONTESILVANO / STORIA A LIETO FINE

Coronavirus: guarita dopo 38 giorni in Rianimazione 

Ivana, 59 anni, racconta il suo calvario, dal ricovero al coma farmacologico: «Gratitudine immensa per chi mi ha assistito»

MONTESILVANO. «Mi sembra di essere in paradiso». Tocca il cielo con un dito Ivana D., 59 anni di Montesilvano, dipendente della Asl di Pescara. Perché ce l'ha fatta, ha sconfitto il Covid e ora è a casa, anche se non è ancora completamente autonoma e ci vorrà ancora un po' prima di riprendersi completamente. Ma dopo aver visto la morte in faccia, parla della sua guarigione come di «un miracolo». E di questo «ringrazia il Signore, per chi ci crede», oltre a rivolgere un pensiero pieno di gratitudine e ammirazione per il personale dell'ospedale che l'ha curata e anche accudita, visto che l'assistenza non è stata solo medica e infermieristica ma anche di più. E si emoziona sempre a parlarne, ammette lei stessa. Con un filo di voce ripercorre gli ultimi due mesi, dai primi sintomi al ricovero fino al coma farmacologico e al risveglio, con il ritorno alla vita. La febbre è comparsa all'inizio di marzo, il 9, ed era «alta».
Poi, il 16 marzo la situazione «si è aggravata e sono stata trasportata in ospedale dal 118. Per due giorni sono stata ricoverata nel reparto Infettivi», dove è stata sottoposta alla ventilazione meccanica non invasiva, ma «non riuscivo a respirare, sentivo che stavo male. Quando mi hanno annunciato che avrebbero dovuto intubarmi, non ho avuto esitazioni però ricordo di aver detto che non volevo accorgermene, e così è stato perché mi hanno addormentata. Quando mi sono svegliata ero tracheostomizzata e attaccata al respiratore. Per me era come se fosse passato un solo minuto dal momento in cui mi ero addormentata, essendo stata in coma farmacologico. Ricordavo solo l'ultima cosa che mi avevano detto: “La dobbiamo intubare"».
Ricorda i momenti in cui è tornata cosciente. «Ho capito di trovarmi in ospedale, in Rianimazione, ma non parlavo, non mi muovevo. Però vedevo che cosa accadeva. Era il 3 aprile. Sono rimasta in quel reparto altri venti giorni, la maggior parte dei quali sempre intubata. Poi mi hanno spostata agli Infettivi per alcuni giorni, fino alle dimissioni». Tutto è finito il 29 aprile, quando è rientrata a casa, a Montesilvano. E in quelle settimane, fuori dall'ospedale, la famiglia ha vissuto un dramma.
«Al mio compagno, ai miei figli, dicevano che ero grave, non davano segnali di ottimismo. E quando mi sono svegliata, per loro è finito un incubo». Ovviamente «sono stati messi in quarantena e stanno tutti bene: sono risultati negativi». Guardandosi indietro Ivana D. pensa a quei «38 giorni in Rianimazione» e anche se non ha ancora ripreso a camminare si sente «miracolata» perché è viva, a casa (la procedura seguita è quella della dimissione protetta, in Adi), e «mangio da sola. Il buco alla trachea si sta chiudendo». Se ha deciso di raccontare la sua storia recente, oggi, è per ringraziare chi l'ha assistita in ospedale.
«Ci sono delle persone meravigliose, coscienziose, che hanno dimostrato una grande dedizione e anche amore per i pazienti. Erano sempre presenti, bastava alzare gli occhi - e d'altronde non si poteva fare altrimenti - e loro erano già lì, pronti. La mia gratitudine nei confronti di tutto il reparto di Rianimazione Covid, guidato da Antonella Frattari, è immensa, e sono sicura che sono salva grazie a loro, che non mi hanno mai abbandonata e mi hanno sostenuta quando mi vedevano sconfortata, in preda alle crisi di pianto che pure ho avuto. Non ho mai visto il volto di molti di loro, ne so solo il nome, considerate le protezioni che indossano, con 3-4 paia di guanti, senza mangiare né bere o andare in bagno». E' a quegli angeli che pensa adesso, mentre si gode le coccole della sua famiglia: «Qui a casa sono strafelici, mi stanno vicini e mi dimostrano un grande amore. Lo sapevo, certo che lo sapevo di essere tanto amata. Ma si danno per scontate delle cose che invece non lo sono».
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