«Così salvai venti persone dalle mine dei tedeschi»
Il partigiano di Spoltore Alberto D’Anniballe, 98 anni, racconta la guerra I ricordi indelebili: «Quante bare allineate. Picchiato a sangue dai nazisti»
PESCARA. «Ho salvato la vita di una ventina di spoltoresi: gli ho urlato di non attraversare un campo minato poco prima dai tedeschi. Tante donne morirono quel giorno, ricordo con dolore le bare allineate in chiesa. Ai giovani dico: amate la libertà e cercate un lavoro senza ricorrere ai favori della politica». Esordisce con un «non ricordo niente» Alberto D’Anniballe, 98 anni. Ma non è vero: l’ex comandante della polizia municipale di Spoltore comincia a raccontare e ricorda tutto di quando era staffetta partigiana: nomi, date, episodi lontani, risalenti a quel periodo buio, tra i bombardamenti di Pescara del 31 agosto 1943, l’armistizio dell’8 settembre e la Resistenza, quando l’Italia era allo sbando dopo l’occupazione nazifascista.
«Lavoravo alla Saila, vicino al porto, cominciarono a piovere bombe quel 31 agosto a Pescara. Avevo 18 anni e tanta paura. Correvano tutti, terrorizzati. La gente razziava alla stazione e al vagone delle sigarette, dove si fiondarono tutti e ci scappò il morto. Inforcai la bici per tornare nella casa di largo San Giovanni, a Spoltore, ma vicino al ponte del Comune di Pescara che gli americani non erano riusciti ad abbattere, udii un lamento provenire da una casa diroccata. “Aiuto, aiuto” era il grido di una 13enne finita sotto le macerie. Mi feci aiutare da un passante e la portammo in ospedale, aveva il braccio sinistro staccato, grondava sangue».
In quel periodo «trentamila pescaresi sfollarono a Spoltore dormendo dove capitava, nelle stalle, nei giacigli di fortuna. Io ho ospitato 9 membri della famiglia D’Incecco, Cetteo, Pia, la bellissima Maria. Suo padre dormiva sopra il cassone del grano, di giorno andavano in cerca di cibo e dai contadini della zona si facevano dare formaggio, pane, vino, frutta. Spoltore, dice una leggenda, non fu colpita perché ogni volta che i bombardieri tentavano, vedevano all’orizzonte un colore giallo. Si diceva essere quello della Madonna che col suo manto coprì la cittadina. Un giorno, prima di andare via dopo l’annuncio della fine della guerra, i tedeschi minarono la strada verso Cappelle. Molte donne morirono, abbagliate dall’idea di essere libere correvano verso i soldati, ma era una trappola. Riuscii, comunque, a salvare 20 vite».
La fidanzatina dell’epoca, oggi sua seconda moglie, Eliana D’Ascenzo, 88 anni (nata a Lione, in Francia dove la famiglia si rifugiò per sfuggire alla spagnola) che si prende amorevolmente cura di lui nella loro casa di via Di Marzio, 48, la conobbe in maniera rocambolesca. «Eravamo vicini di casa, al Muraglione», scioglie i ricordi, «io saltavo sui tetti della sua, per non essere beccato dai tedeschi. Finché un giorno mi presero con mio fratello Andrea. Ci picchiarono così tanto, in un fabbricato isolato dove oggi ci sono le Poste, che mi fa male ancora, a ripensarci. Volevano sapere dove nascondevamo le armi, pistole, fucili, ma il bottino era lungo una strada sterrata di Chieti. Dovevamo stare attenti ad un tizio di Ortona che faceva la spia perché i tedeschi lo pagavano bene».
Alberto D’Anniballe è nato il 1° gennaio 1925 da papà Nicola e mamma Anna Domenica Di Nicola, contadini. La coppia aveva 4 figli: Andrea (morto da anni), Arturo, Alberto e Armando, che fu sindaco di Spoltore nel Dopoguerra. Successe ad Alberto Di Claudio che nel 1944 era vice sindaco di Pescara e delegato per la frazione di Spoltore, che ebbe un incidente. Quando la sua era una vita normale, lavorava alla fabbrica di liquirizia. Poi si mise a fare lo “scattista” per strada, alle dipendenze del fotografo Del Gallo, di fronte al Sacro Cuore. «Facevamo finta di scattare le foto, ma era un espediente per portare i clienti in negozio, a farsi fotografare a 30 lire a scatto. Grazie a questo lavoro partecipai ad un comizio di Mussolini, a Roma. Mettevano i bambini sugli sgabelli e scattavamo in direzione del Duce, così le famiglie avevano la foto con Mussolini».
Nel 1954 sposa Rosetta Scurti che morirà quando i figli Clorinda e Nicola erano adolescenti. Nel 1961 trova lavoro come vigile urbano e negli anni successivi sarà a capo del comando fino al 1986, anno della pensione. Nel 1975 a Santa Teresa convola a nozze con Eliana, da cui ebbe Andrea (sposato con Ilaria, genitori di Giulia). «Eravamo 4 vigili e 6mila abitanti, ai giovani dico: amate la libertà ogni giorno e non solo il 25 Aprile e trovate lavoro senza l’aiuto della politica», conclude il partigiano Alberto.
«Lavoravo alla Saila, vicino al porto, cominciarono a piovere bombe quel 31 agosto a Pescara. Avevo 18 anni e tanta paura. Correvano tutti, terrorizzati. La gente razziava alla stazione e al vagone delle sigarette, dove si fiondarono tutti e ci scappò il morto. Inforcai la bici per tornare nella casa di largo San Giovanni, a Spoltore, ma vicino al ponte del Comune di Pescara che gli americani non erano riusciti ad abbattere, udii un lamento provenire da una casa diroccata. “Aiuto, aiuto” era il grido di una 13enne finita sotto le macerie. Mi feci aiutare da un passante e la portammo in ospedale, aveva il braccio sinistro staccato, grondava sangue».
In quel periodo «trentamila pescaresi sfollarono a Spoltore dormendo dove capitava, nelle stalle, nei giacigli di fortuna. Io ho ospitato 9 membri della famiglia D’Incecco, Cetteo, Pia, la bellissima Maria. Suo padre dormiva sopra il cassone del grano, di giorno andavano in cerca di cibo e dai contadini della zona si facevano dare formaggio, pane, vino, frutta. Spoltore, dice una leggenda, non fu colpita perché ogni volta che i bombardieri tentavano, vedevano all’orizzonte un colore giallo. Si diceva essere quello della Madonna che col suo manto coprì la cittadina. Un giorno, prima di andare via dopo l’annuncio della fine della guerra, i tedeschi minarono la strada verso Cappelle. Molte donne morirono, abbagliate dall’idea di essere libere correvano verso i soldati, ma era una trappola. Riuscii, comunque, a salvare 20 vite».
La fidanzatina dell’epoca, oggi sua seconda moglie, Eliana D’Ascenzo, 88 anni (nata a Lione, in Francia dove la famiglia si rifugiò per sfuggire alla spagnola) che si prende amorevolmente cura di lui nella loro casa di via Di Marzio, 48, la conobbe in maniera rocambolesca. «Eravamo vicini di casa, al Muraglione», scioglie i ricordi, «io saltavo sui tetti della sua, per non essere beccato dai tedeschi. Finché un giorno mi presero con mio fratello Andrea. Ci picchiarono così tanto, in un fabbricato isolato dove oggi ci sono le Poste, che mi fa male ancora, a ripensarci. Volevano sapere dove nascondevamo le armi, pistole, fucili, ma il bottino era lungo una strada sterrata di Chieti. Dovevamo stare attenti ad un tizio di Ortona che faceva la spia perché i tedeschi lo pagavano bene».
Alberto D’Anniballe è nato il 1° gennaio 1925 da papà Nicola e mamma Anna Domenica Di Nicola, contadini. La coppia aveva 4 figli: Andrea (morto da anni), Arturo, Alberto e Armando, che fu sindaco di Spoltore nel Dopoguerra. Successe ad Alberto Di Claudio che nel 1944 era vice sindaco di Pescara e delegato per la frazione di Spoltore, che ebbe un incidente. Quando la sua era una vita normale, lavorava alla fabbrica di liquirizia. Poi si mise a fare lo “scattista” per strada, alle dipendenze del fotografo Del Gallo, di fronte al Sacro Cuore. «Facevamo finta di scattare le foto, ma era un espediente per portare i clienti in negozio, a farsi fotografare a 30 lire a scatto. Grazie a questo lavoro partecipai ad un comizio di Mussolini, a Roma. Mettevano i bambini sugli sgabelli e scattavamo in direzione del Duce, così le famiglie avevano la foto con Mussolini».
Nel 1954 sposa Rosetta Scurti che morirà quando i figli Clorinda e Nicola erano adolescenti. Nel 1961 trova lavoro come vigile urbano e negli anni successivi sarà a capo del comando fino al 1986, anno della pensione. Nel 1975 a Santa Teresa convola a nozze con Eliana, da cui ebbe Andrea (sposato con Ilaria, genitori di Giulia). «Eravamo 4 vigili e 6mila abitanti, ai giovani dico: amate la libertà ogni giorno e non solo il 25 Aprile e trovate lavoro senza l’aiuto della politica», conclude il partigiano Alberto.