Crac Naiadi, chieste tre condanne «La società era una miniera d’oro» 

Il pm Papalia: «Gestione scellerata portata avanti dal commercialista Serraiocco: 5 anni e 10 mesi» Rischiano 3 anni l’ex amministratore Di Bartolomeo e il socio Colaneri, D’Orazio verso l’assoluzione

PESCARA. Tre condanne e una assoluzione. Sono queste le richieste avanzate dal pm Andrea Papalia al termine della requisitoria sul crac da 7 milioni di euro delle Naiadi e, nello specifico, per la bancarotta fraudolenta della società Progetto Sport (che gestiva lo storico impianto pescarese) a carico dei quattro imputati coinvolti.
L’ACCUSA La pubblica accusa ha chiesto al collegio la condanna del principale imputato, il commercialista Vincenzo Serraiocco, a 5 anni e 10 mesi di reclusione; 3 anni a testa, invece, per l’ex amministratore Livio Di Bartolomeo e per il socio Paolo Colaneri; assoluzione per l’altro socio coinvolto, Daniele D’Orazio. Dura la requisitoria di Papalia che ha sottolineato come dalle risultanze del dibattimento sono emersi «con certezza i fatti di bancarotta fraudolenta».
LA RICOSTRUZIONE «Nel 2017», esordisce il pm, «inizia la presa di possesso della nuova gestione e Serraiocco accentra su di sé tutti i poteri e sarà dominus assoluto della Progetto Sport fino alla dichiarazione di fallimento. Questa concentrazione di potere serviva a Serraiocco perché la società rappresentava una miniera d’oro, soprattutto per gli introiti della società sportiva. Ma per procedere indisturbato era necessario interrompere le comunicazioni con il commissario giudiziale».
L’accusa ripercorre tutti i passaggi della vicenda e sottolinea che «nell'ottobre del 2017 si compie l’operazione madre di questo processo con la cessione della società controllata, Progetto Sport Nuoto: ceduta a lui stesso e agli altri due soci, Colaneri e D’Orazio, per 900 euro: società che era la vera cassaforte delle Naiadi e questo passaggio indica gli estremi della bancarotta. Questa situazione ha creato una distrazione che garantiva incassi per oltre un milione di euro all’anno da parte della società dilettantistica: un depauperamento della società per un arricchimento personale».
L’accusa parla di tesi difensive inconsistenti: «Non hanno portato nessun documento per confutare le contestazioni. È stata una gestione scellerata e criminale portata avanti da Serraiocco». Poi tratta la vicenda dei 750mila euro arrivati dalla Regione che sarebbero stati “nascosti” al curatore fallimentare. «E la giustificazione fornita da Serraiocco», dice Papalia, «è un'ammissione di responsabilità per la bancarotta: “dovevamo impedire le azioni dei creditori”».
«Al commissario giudiziale non venne mai consegnata la documentazione perché non si voleva permettere la ricostruzione contabile». E ancora: «Pacifica la responsabilità di Serraiocco, riscontrata anche dalle intercettazioni». Responsabilità minori, invece, a carico di Di Bartolome, considerato «uomo di fiducia di Serraiocco», e di Colaneri «che comunque non ha mai fornito chiarimenti sulla sua posizione». D'Orazio, invece, non ha avuto nessuna gestione diretta, «ha svolto solo il ruolo di socio, un estraneo rispetto alla bancarotta».
LA DIFESA La difesa di Serraiocco (assistito dagli avvocati Eleuterio Simonelli e Ugo Milia) ha tentato di smontare la tesi accusatoria, sostenendo che Serraiocco non ha mai svolto il ruolo di amministratore di fatto e nulla ha avuto a che fare con l’operazione di concordato: «Lui», ha sostenuto Simonelli, «voleva risanare la società: la struttura era obsoleta e la Regione era disinteressata per cui la Progetto Sport si è dovuta far carico di tutto». Quanto alla cessione delle quote a 900 euro, secondo la difesa quella cessione poteva essere fatta soltanto con il valore nominale delle quote, perché la società dilettantistica non poteva distribuire utili neppure in maniera indiretta. Hanno poi parlato le difese di Colaneri (Alessandro Perrucci) e di D’Orazio (Roberto Serino). L’udienza è stata quindi aggiornata al 10 luglio per le repliche dell’accusa.
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