D’Alfonso, il 20 marzo via al processo bis
Tangenti in Comune, fissato l’appello per 17 imputati tutti assolti in primo grado due anni fa
PESCARA. Arriva in appello il processo “Housework” per presunte tangenti in Comune terminato in primo grado, l’11 febbraio 2013, con la maxi assoluzione dell’ex sindaco di Pescara Luciano D’Alfonso, oggi presidente della Regione, del suo ex braccio destro Guido Dezio, degli imprenditori Carlo e Alfonso Toto e altri 19 tra imprenditori e politici. Il secondo tempo inizierà all’Aquila il 20 marzo e probabilmente la sentenza arriverà il giorno stesso oppure nel giro di poche udienze.
A ricorrere in appello è stato il pm Gennaro Varone, titolare dell’inchiesta che nel dicembre 2008 portò all’arresto dell’allora sindaco e che due anni fa è stata spazzata via dalla sentenza in primo grado. Il pm ha impugnato le assoluzioni di D’Alfonso e di altri 17: Dezio, Massimo De Cesaris, Angelo De Cesaris, Pierpaolo Pescara, Fabrizio Paolini, Rosario Cardinale, Giacomo Costantini, Nicola Di Mascio, Pietro Colanzi, Alberto La Rocca, i due Toto, Giampiero Leombroni, Marco Mariani, Francesco Ferragina, Antonio Dandolo e Vincenzo Cirone. Associazione per delinquere, corruzione, concussione e tentata concussione, abuso, peculato, truffa e falso: sono questi i reati di cui, a vario titolo, devono rispondere gli imputati del processo che per due anni ha tenuto banco al tribunale di Pescara parlando attraverso la villa di Lettomanoppello, la famiglia chioccia di D’Alfonso, il rapporto tra il politico e gli imprenditori. Reati che sono stati spazzati dall’assoluzione di massa di due anni fa e che all’Aquila arriveranno falcidiati dal tempo, dalla prescrizione. Sono una ventina i capi d’imputazione che i tempi lenti della giustizia ha già fatto cadere in prescrizione mentre restano in piedi i peculati e l’associazione per delinquere, il reato che aveva descritto D’Alfonso come il «capo e promotore» di un’associazione con lo scopo «di commettere una serie di delitti contro la pubblica amministrazione volti al reperimento di risorse per l'arricchimento personale e per il finanziamento dell'attività politica». Se lo scorrere del tempo ha già quindi asciugato i capi d’imputazione, il codice concede comunque all’imputato la formula più favorevole, e dunque l’assoluzione con formula piena, laddove la Corte dovesse ritenere infondate le accuse. (p.au.)
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