Dal carretto alla crisi i cinquant’anni del mercato centrale
Serrande chiuse dove un tempo c’erano galline e conigli ora la speranza dei commercianti è la ristrutturazione
PESCARA. «Sembrava un paradiso quando siamo arrivati qua dentro. Io avevo 19 anni, e dopo mesi passati sotto acqua e sotto vento, d’estate con le bancarelle in viale dei Pini e d’inverno in via Cesare Battisti, non mi sembrava vero lavorare al riparo». Liliana Ciampoli ha 69 anni e ancora la gratitudine per «questo mercato che mi ha cambiato la vita». Nel suo box tappezzato di pecorino e pasta in offerta, Liliana racconta di un tempo che non c’è più, quando al mercato di largo Scurti si compravano galline e conigli vivi, e i contadini arrivavano dai paesi con il carretto trascinato dalle biciclette.
Mezzo secolo di storia che quest’edificio ormai in decadenza festeggerà il 27 giugno, mentre gli operai sono al lavoro per restituirgli dignità e splendore secondo tempi e gusti nuovi. Una trasformazione vissuta come un miraggio per chi ha conosciuto i fasti e il declino di un edificio dove le saracinesche abbassate dicono più di tante parole.
Alfredo Mela è uno di quelli che ne conosce le storie mentre dal suo bancone di frutta e verdura indica l’alimentari chiuso ormai da dieci anni e quello che è durato solo tre mesi, l’elettricista che se n’è andato un anno e mezzo fa e il box della frutta chiuso, da chi l’ha ereditato, in cambio di un lavoro più sicuro. «Non c’è ricambio generazionale, la crisi è quella che è», spiega, «resistere è dura». Accanto a lui il figlio Nicola, che invece la sua scommessa l’ha fatta e spera ancora di vincerla: «Ce lo vengono a dire tutti i giorni, che con questi lavori cambierà tutto, si riempirà il piano di sopra, ci sarà un ristorante, gli artigiani, l’intrattenimento, mi auguro che sia davvero così, e che facciano davvero i parcheggi che aspettiamo».
Un’occasione per rilanciare il primo centro commerciale ante litteram che il sindaco Mariani andò a inaugurare pochi giorni prima di quel 27 giugno del 1962, quando a battergli le mani c’era anche Ernesta Chiesa, arrivata nel 1956 a Pescara da Bozzolo, in provincia di Mantova, per seguire il marito che vendeva formaggi. «Era bello, il mercato era pienissimo: sotto si vendeva l’alimentari e l’ortofrutta, con un settore riservato alla carne e al pesce e sopra trovavi di tutto, dai casalinghi all’abbigliamento, ma anche stoffe, tessuti, scarpe e giocattoli. E quanti bambini c’erano: me li vedo ancora con le biciclettine a scorrazzare mentre le mamme e le nonne facevano la spesa».
«Ora invece non si vede più nessuno», interviene il figlio Enrico Soncini, che oggi smercia le uova come in un tempo non troppo lontano maneggiava le palline da ping pong di cui è stato campione, «perché qui intorno ci sono troppi supermercati e mancano i parcheggi. Neanche più le strade ci sono per arrivare». Ed ecco Maria De Cesaris, il suo banco di Gusti antichi abruzzesi l’ha passato alla figlia Felicia Di Natale, «ma non so se resisterà. Io avevo 30 anni quando sono entrata qui dentro e mi ricordo ancora le liti con i fornitori perché si presentavano alle sette quando davanti al bancone c’era già la fila. Ma erano tempi in cui dieci cassette di mozzarelle se ne andavano in una mattinata, e di ricotte se ne vendevano di tutti i tipi. Ma il Comune ha distrutto tutto, ci hanno riempito di supermercati, e non ci sono i parcheggi, a malapena ci si esce con le spese». E pensare, come racconta Franco Sersante dal bar che con il fratello Antonio ha ereditato dal padre Aldo, che c’è stato un tempo in cui, c’era la corsa al posto: «Non appena il custode Alfredo Di Renzo apriva le porte, c’era la lotta dei contadini ad accaparrarsi il posto migliore».
E come non citare “la bananara”, un soprannome che non piace a Giuliana Camplone, ma che in questi cinquant’anni ne ha fatto un’istituzione del mercato di largo Scurti: «Ho iniziato a fare il mercato vendendo la pasta con mio padre e ho continuato perché al mercato ho conosciuto mio marito Giuseppe che nel bancone di fronte vendeva la frutta esotica. Lui e i suoi fratelli furono i primi a Pescara, con il padre arrivato da Foggia nel 1945, a vendere ananas e banane ai pescaresi». Un’intuizione che, associata a sacrifici e lavoro, come l’extra di vendere i cocomeri in via Battisti dal primo luglio al 15 agosto, ha consentito a Giuliana, come racconta lei stessa, «di farmi due appartamenti e di sistemare mio genero e mio figlio. Sono rimasta vedova a 40 anni, non so come avrei fatto.Perché prima ci venivano da tutte le parti, mentre ora è diventato un mercato rionale. La verità è che non c’erano i supermercati e la gente si accontentava. Le banane mature che oggi nessuno vuole più si vendevano tagliate a metà. Roba di cinque, sei chili alla volta, non come ora, che se comprano due banane è pure troppo. Perchè andava più la seconda che la prima scelta: è cambiato tutto, come la notte e il giorno. Perché poi», racconta Giuliana con il figlio Paolo Viggiani al fianco, «ci si conosceva tutti: Cocciasecca, Popò che vendeva i cocomeri. E poi», conclude, «i fagioli e i piselli si vendevano a tonnellate, perché non c’erano le scatolette, e si facevano ancora le scorte».
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