De Falco al premio Borsellino: quella notte ho fatto solo il mio dovere
A Giulianova il capitano che strigliò Schettino per il naufragio della Concordia «Sono diventato un simbolo dell'Italia che lavora con senso di responsabilità»
GIULIANOVA. «Sono un uomo normale, sparisco al confronto con questi giganti». Gregorio De Falco è tutto in queste parole. Il capitano di fregata De Falco, il militare che nella tragica notte del naufragio della Costa Concordia ordinò a Schettino di risalire a bordo della nave, ha gli occhi lucidi mentre stringe al petto la targa con i volti sorridenti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Ieri, nel teatro Kursaal di Giulianova, con lui c'erano magistrati, giornalisti, scrittori e attori, tutti ritenuti meritevoli di ricevere il premio intitolato al giudice Borsellino. Un'occasione per l'Abruzzo e per quanti hanno avuto l'opportunità di assistere a questa carovana itinerante di voci fuori dal coro, ospitata ancora una volta dalle città di Giulianova, Roseto e Pineto. Un'opportunità persa per chi non ha degnato di attenzione questi «10 giorni per la legalità», in cui una fresca ventata di libertà e giustizia è entrata nelle scuole, nelle sale e nei circoli dei paesi del teramano.
Ad accogliere De Falco, come pure i magistrati Scarpinato e Teresi, e tanti altri, non c'era nessun rappresentante della Regione. Eppure sulle gambe di questi uomini e di queste donne, camminano le idee di Borsellino.
E' a lui che De Falco pensa salendo i gradini del palco, in divisa, fiero e discreto. Poche parole, quelle di un uomo che crede in ciò che fa, e agisce con scrupolo e perizia. A guardarlo orgoglioso, oltre al fratello, ci sono le sue donne: la moglie, le due figlie e la madre. Sanno che è un giorno importante, che anche un premio può essere molto di più se porta il nome di un uomo che, per dirla con le parole di Scarpinato, «non si sacrificò per un astratto e militaresco senso dello Stato, ma per la straordinaria generosità dell'uomo e per l'amore per il prossimo».
Applausi per De Falco, diventato il simbolo di un'Italia forte, capace e onesta. «Essere accostato a rappresentanti dello Stato di livello assoluto come loro, mi fa sentire inadeguato», dice con pacatezza, «la lezione di Scarpinato è stata enorme, è un onore avervi assistito». In De Falco riconosci subito la semplicità e il garbo di chi è fatto di sostanza e non si perde in banalità. Il sorriso discreto pronto ad aprirsi nei confronti di chi gli porge la mano. E nessuna enfasi nel raccontare la notte che lo ha reso famoso in tutto il mondo.
«Nell'occasione tragica del naufragio della Concordia, ho fatto il mio dovere», dice, «e se questo mi ha trasformato in un simbolo dell'Italia che lavora con senso di responsabilità, e che si attiva quando è necessario, allora ne sono felice, perché questa Italia esiste: ognuno di noi ha delle responsabilità e portandole a termine costruisce un pezzetto di società». E De Falco conosce bene ciò di cui parla. Nella notte del naufragio, con un'azione di «soccorso preventivo», ha salvato vite umane. La decisione e le frasi colorite con cui ha impartito ordini al comandante che aveva lasciato la nave, sono rimaste impresse nella memoria collettiva. «Quando ci vuole, ci vuole», dice il capitano, «quella notte abbiamo lavorato per nove ore consecutive, come se fossimo stati in battaglia, e i miei ragazzi della sala operativa hanno dato prova di straordinaria prontezza: dalle parole ingannevoli sono riusciti a cogliere il momento difficile». E poi, con la voce fiera: «Le decisioni che ho preso quella notte sono state sudate, ma rifarei tutto come ho fatto. Era necessario, anche per la coscienza».
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