Delitto Ceci, la famiglia: indagate sul presente

Perquisizioni a tappeto a caccia della pistola calibro 38, a giorni l'esito delle impronte

PESCARA. «C'è dell'altro, l'abbiamo detto dall'inizio». A un mese e sei giorni dall'omicidio di Italo Ceci, la famiglia del pentito della banda Battestini, ucciso la sera del 20 gennaio con tre colpi di pistola in via De Amicis, non si rassegna a credere che l'assassino arrivi dal suo passato di rapinatore e di collaboratore di giustizia.

«C'è dell'altro», ripete per conto dei famigliari l'avvocato Monica Ruscillo. Di più non dice il legale, che si affida fiduciosa al lavoro degli inquirenti ma intanto, lei che Italo lo conosceva, ribadisce: «Non si spaventava di fronte a nessuna intimidazione o minaccia». Una tesi sostenuta dai tanti residenti del rione di piazza Martiri Pennesi dove Italo, nel negozio Color Quando gestito per conto del cognato, dal 1997 aveva ricominciato la sua vita di cittadino modello, dopo aver trascorso gli anni Novanta in una località protetta del nord Italia. Quindici anni in cui «cecione» non aveva mai smesso di guardarsi intorno, sempre sospettoso, ma intanto protettivo nei confronti di chi in quella piazza abitava e lavorava come lui.

Capace di mettere in fuga un rapinatore (come fece quando toccò a Color Quando) per lui che era stato braccio destro e amico del rapinatore Rolando Battestini era facilissimo notare e anticipare qualsiasi movimento strano avvenisse davanti al suo negozio. Per questo è da qui, dal negozio dove è stato ucciso la sera di quel piovoso venerdì di gennaio, che chi frequentava Italo chiede di indagare. Lo sta facendo la squadra Mobile di Pierfrancesco Muriana che in queste cinque settimane ha battuto in lungo e in largo gli ambienti della criminalità locale. A cominciare, come è ovvio, da chi aveva avuto a che fare con la banda Battestini o con elementi ad essa legati. Personaggi che la sera stessa dell'omicidio sono stati convocati in questura per essere sottoposti al test dello Stub (il test capace di rivelare eventuali tracce di polvere da sparo) di cui gli investigatori sperano di avere il responso da Roma a breve. Ma quello che c'è da aspettarsi in questi giorni è l'esito delle cinque impronte che gli esperti della Scientifica sono riusciti a catturare sulla Fiat Punto utilizzata dall'assassino per scappare e poi ritrovata quella sera stessa in via Gioberti. Decisiva sarà la comparazione di quelle impronte con quelle della famiglia di Montesilvano a cui a novembre scorso era stata rubata la Punto, peraltro ancora sotto sequestro: il risultato, che dovrebbe arrivare da Ancona proprio questa settimana, potrebbe contribuire a restringere il cerchio e a dare le prime importanti risposte.

Nel frattempo non si fermano le perquisizioni dei poliziotti che continuano a piombare nelle abitazioni di piccoli e medi pregiudicati dell'area metropolitana. In ballo, c'è ancora l'arma. Le due ogive tirate fuori dal torace di Ceci durante l'autopsia hanno svelato che si tratta di una calibro 38, ma non solo. Attraverso i due reperti, grazie alle «impronte» (i pieni e i vuoti) lasciate dalla canna che li ha esplosi, si potrebbe individuare la pistola stessa. Ma questo dipende dall'esito che darà l'Ibis, la banca dati per le comparazioni balistiche.

Di certo, e anche su questo si sta lavorando, era calibro 38 la pistola rubata dai rapinatori che a fine dicembre assaltarono un grossista di oro a cento metri dal negozio di Ceci. Una calibro 38 che gli investigatori non smettono di cercare: dopo la Beretta 7,65 sequestrata a Fontanelle a ridosso dell'omicidio, la scorsa settimana ne è stata sequestrata un'altra. Ma era calibro 22.

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