Delitto Rigante, rom e ultrà a confronto
L'accusa chiede il riconoscimento all'americana dei cinque accusati
PESCARA. Un confronto all'americana tra gli ultrà testimoni dell'aggressione di via Polacchi e i cinque Ciarelli accusati della spedizione punitiva del primo maggio finita con l'omicidio di Domenico Rigante. È l'incidente probatorio richiesto dalla Procura che intende cristallizzare quelle testimonianze per evitare che pressioni o intimidazioni possano indurre i testi a ritrattare quanto riferito, «senza ombra di dubbio», agli investigatori della Mobile. In sostanza, con la richiesta al gip Maria Michela Di Fine, il pm Salvatore Campochiaro intende blindare le prove finora acquisite a carico degli arrestati Massimo Ciarelli, presunto omicida dell'ultrà di 24 anni, e dei suoi complici, i tre cugini Luigi, Angelo e Antonio e il nipote Domenico Ciarelli, collocandoli in maniera chiara e definitiva sulla scena del delitto.
IL VETRO. Per questo ognuno di loro, compreso Massimo Ciarelli dal carcere di Vasto, nel momento in cui sarà disposta la prova, sarà portato in Tribunale, a Pescara, in una stanza adibita proprio al riconoscimento all'americana. Contemporaneamente, dietro al vetro trasparente solo per chi guarda dall'esterno, sfileranno uno alla volta i nove testimoni di quella maledetta aggressione, i sei presenti nella casa al momento dell'omicidio e i tre che, in piazza dei Grue, hanno assistito all'arrivo e alla fuga del commando rom: davanti al gip e al pm, ognuno di loro sarà chiamato a riconoscere definitivamente i componenti del commando.
RISCHIO MINACCE. All'appello, in realtà, mancano altre due persone che avrebbero partecipato all'agguato ai «gemelloni» Antonio e Domenico Rigante la sera del primo maggio, ma nel frattempo c'è la necessità, da parte dell'accusa, di cristallizzare, con l'incidente probatorio, le dichiarazioni dei testimoni in modo da farle entrare direttamente nel processo. Motiva infatti il pm nella sua richiesta: «La prova non appare rinviabile al dibattimento per particolari ragioni di urgenza atteso che il passare del tempo potrà ovviamente incidere negativamente sulla memoria dei testi chiamati alla ricognizione, produrre modificazioni, volontarie o meno, dell'aspetto e delle sembianze degli indagati sottoposti a misura cautelare per i fatti contestati, nonché esporre i predetti testi al rischio di pressioni ed intimidazioni».
Pressioni e intimidazioni che si erano manifestate la sera stessa di quell'aggressione quando, come raccontarono gli ultrà presenti nell'appartamento di via Polacchi, dopo l'agguato e lo sparo contro Rigante, un rom indicato come Luigi Ciarelli prima di fuggire si avventò contro uno dei presenti intimandogli: «Vi dovete fare i fatti vostri». Un'intimidazione che finì per rafforzare il senso di paura e impotenza generato dalle pistole, almeno due, che più di uno dei presenti, a parte il povero Domenico morto per il colpo al fianco destro, si vide puntare in faccia dentro quell'appartamento.
SILENZIO E CORAGGIO. Di qui, la reticenza dei primi momenti, quando ai poliziotti arrivati sul luogo dell'omicidio i quattro amici e il fratello di Domenico si limitarono per lo più a riferire quello che aveva detto lo stesso Domenico prima di morire, e cioè che a sparargli era stato Massimo Ciarelli. La cui presenza, peraltro, fu l'unica confermata sin dal primo momento da quasi tutti i presenti. La sua, ma non quella degli altri complici visto che i testimoni dissero di non essere in grado di riconoscerli per via del buio e della concitazione di quegli attimi. Versioni che non convinsero affatto gli investigatori. Per questo, sull'onda emotiva generata dalla morte del giovane papà di 24 anni, il giorno dopo l'arresto di Massimo Ciarelli e pochi minuti dopo l'affollata manifestazione in piazza Italia per chiedere giustizia in nome dell'ultrà ucciso, il capo della Mobile Pierfrancesco Muriana fece un appello pubblico indirizzato direttamente a chi quella sera si trovava nella casa di via Polacchi. Era la mattina del 6 maggio: due giorni dopo, la sera dell'8 maggio, la Mobile arrestò i quattro complici di Massimo Ciarelli ringraziando di nuovo pubblicamente «il coraggio e il cuore» (parole ancora del capo della Mobile) dimostrati dagli ultrà amici di Domenico. Coraggio e cuore che ora il pm Salvatore Campochiaro vuole blindare e proteggere facendoli entrare di diritto, con l'atto irripetibile del confronto all'americana, nel processo sull'omicidio di Domenico Rigante.
IL VETRO. Per questo ognuno di loro, compreso Massimo Ciarelli dal carcere di Vasto, nel momento in cui sarà disposta la prova, sarà portato in Tribunale, a Pescara, in una stanza adibita proprio al riconoscimento all'americana. Contemporaneamente, dietro al vetro trasparente solo per chi guarda dall'esterno, sfileranno uno alla volta i nove testimoni di quella maledetta aggressione, i sei presenti nella casa al momento dell'omicidio e i tre che, in piazza dei Grue, hanno assistito all'arrivo e alla fuga del commando rom: davanti al gip e al pm, ognuno di loro sarà chiamato a riconoscere definitivamente i componenti del commando.
RISCHIO MINACCE. All'appello, in realtà, mancano altre due persone che avrebbero partecipato all'agguato ai «gemelloni» Antonio e Domenico Rigante la sera del primo maggio, ma nel frattempo c'è la necessità, da parte dell'accusa, di cristallizzare, con l'incidente probatorio, le dichiarazioni dei testimoni in modo da farle entrare direttamente nel processo. Motiva infatti il pm nella sua richiesta: «La prova non appare rinviabile al dibattimento per particolari ragioni di urgenza atteso che il passare del tempo potrà ovviamente incidere negativamente sulla memoria dei testi chiamati alla ricognizione, produrre modificazioni, volontarie o meno, dell'aspetto e delle sembianze degli indagati sottoposti a misura cautelare per i fatti contestati, nonché esporre i predetti testi al rischio di pressioni ed intimidazioni».
Pressioni e intimidazioni che si erano manifestate la sera stessa di quell'aggressione quando, come raccontarono gli ultrà presenti nell'appartamento di via Polacchi, dopo l'agguato e lo sparo contro Rigante, un rom indicato come Luigi Ciarelli prima di fuggire si avventò contro uno dei presenti intimandogli: «Vi dovete fare i fatti vostri». Un'intimidazione che finì per rafforzare il senso di paura e impotenza generato dalle pistole, almeno due, che più di uno dei presenti, a parte il povero Domenico morto per il colpo al fianco destro, si vide puntare in faccia dentro quell'appartamento.
SILENZIO E CORAGGIO. Di qui, la reticenza dei primi momenti, quando ai poliziotti arrivati sul luogo dell'omicidio i quattro amici e il fratello di Domenico si limitarono per lo più a riferire quello che aveva detto lo stesso Domenico prima di morire, e cioè che a sparargli era stato Massimo Ciarelli. La cui presenza, peraltro, fu l'unica confermata sin dal primo momento da quasi tutti i presenti. La sua, ma non quella degli altri complici visto che i testimoni dissero di non essere in grado di riconoscerli per via del buio e della concitazione di quegli attimi. Versioni che non convinsero affatto gli investigatori. Per questo, sull'onda emotiva generata dalla morte del giovane papà di 24 anni, il giorno dopo l'arresto di Massimo Ciarelli e pochi minuti dopo l'affollata manifestazione in piazza Italia per chiedere giustizia in nome dell'ultrà ucciso, il capo della Mobile Pierfrancesco Muriana fece un appello pubblico indirizzato direttamente a chi quella sera si trovava nella casa di via Polacchi. Era la mattina del 6 maggio: due giorni dopo, la sera dell'8 maggio, la Mobile arrestò i quattro complici di Massimo Ciarelli ringraziando di nuovo pubblicamente «il coraggio e il cuore» (parole ancora del capo della Mobile) dimostrati dagli ultrà amici di Domenico. Coraggio e cuore che ora il pm Salvatore Campochiaro vuole blindare e proteggere facendoli entrare di diritto, con l'atto irripetibile del confronto all'americana, nel processo sull'omicidio di Domenico Rigante.
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