Delitto ultrà, il 20 febbraio processo in Corte d’Assise

Il gip accoglie la richiesta della procura di giudizio immediato per i 5 Ciarelli ma ora la difesa potrà scegliere il rito abbreviato davanti al gup

PESCARA. Il giudice per le indagini preliminari Maria Michela Di Fine ha accolto la richiesta di giudizio immediato per Massimo Ciarelli, il rom di 29 anni accusato di aver ucciso l’ultrà del Pescara di 24 anni Domenico Rigante, e ha fissato al 20 febbraio la data del processo in Corte d’Assise. Il gip ha quindi condiviso la richiesta del pm Salvatore Campochiaro sia per Massimo, il rom che avrebbe materialmente sparato con una pistola calibro 38 mai trovata, e per gli altri quattro presunti complici tutti appartenenti al suo nucleo: il nipote Domenico e i cugini Luigi, Antonio e Angelo Ciarelli che quella notte del 1° maggio fecero irruzione nella casa in via Polacchi dove si trovava il giovane tifoso. Per la procura quelle prove attorno al delitto di Rigante sono considerate evidenti così come per il gip che ha fissato al 20 febbraio la data iniziale del processo a carico dei cinque che si svolgerà in Corte d’Assise a Chieti, l’organo deputato a giudicare i reati più gravi come quelli di cui devono rispondere i Ciarelli: l’omicidio volontario premeditato unito al porto abusivo d’armi. Da questo momento, toccherà alle difese dei rom e in particolare a quella di Massimo Ciarelli, assistito dal pugliese Franco Metta insieme all’aquilano Antonio Valentini, decidere come incanalare il procedimento: se scegliere il rito abbreviato che aprirebbe alla possibilità di non superare i 24 anni grazie allo sconto previsto dal rito alternativo oppure essere giudicati a Chieti con il rischio di un ergastolo. Gli avvocati, dal momento della notifica, avranno quindici giorni di tempo per decidere la strategia difensiva in cui si cercherà di far scivolare l’accusa dall’omicidio volontario a quello preterintenzionale puntando sulle conclusione dell’autopsia che, secondo la difesa, offrirebbe un margine per dimostrare che Ciarelli non voleva uccidere. Di contro, le indagini condotte dalla squadra Mobile di Pierfrancesco Muriana che arrestò prima Massimo Ciarelli e, a distanza di una settimana gli altri parenti, rinforzerebbero il delitto con le minacce di morte rivolte il giorno precedente durante una lite ad Antonio Rigante, fratello gemello della vittima e vero bersaglio dell’agguato; con la confidenza di Ciarelli alla fidanzata di essere stato oggetto di una “grave offesa” la sera prima dell’omicidio e con l’uso di un’arma potente come la calibro 38. L’accusa aggiunge, poi, i colpi sparati in piazza dei Grue prima dell’irruzione nella casa popolare, il guanto di lattice calzato per fare fuoco e la distanza dalla quale è stato esploso il proiettile mortale.

Un omicidio che ormai risale a sei mesi fa, alle 21.45 del 1° maggio. Quella sera Antonio Rigante è a casa di amici, in via Polacchi, a vedere la partita del Napoli insieme al gemello Domenico. Il telefono di Antonio squilla: è un amico che gli dice di stare attento perché Massimo Ciarelli lo sta cercando. Antonio esce in strada, va in piazza Grue per incontrare l’amico che gli ha telefonato. Ma in piazza piombano un’auto e uno scooterone con cinque rom. Antonio scappa verso casa e i rom entrano nell’abitazione in via Polacchi: è qui che Massimo avrebbe sparato a morte all’ultrà che, prima di morire, dice ai soccorritori il nome del suo assassino.

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