Di Febo, l’ira dopo il blitz «Enzo, vieni qui subito»
L’inchiesta per falsa testimonianza al processo Ciclone, l’ex assessore sbaglia numero e fa scoprire alla polizia un incontro riservato con Cantagallo
MONTESILVANO. Un faccia a faccia, in un parcheggio di via Raffaello a Pescara, tra l’ex sindaco Pd Enzo Cantagallo e l’ex assessore Guglielmo Di Febo per parlare di una perquisizione. È un altro risvolto dell’inchiesta per falsa testimonianza al processo Ciclone. Tre gli indagati: Cantagallo, Di Febo e Andrea Ferrante, per 8 anni braccio destro dell’imprenditore Bruno Chiulli che ha denunciato di aver pagato tangenti proprio a Cantagallo e a Di Febo. L’indagine ruota intorno all’accusa ritrattata da Ferrante in aula: il 29 giugno dell’anno scorso, Ferrante ha rinnegato le dichiarazioni rese il 20 dicembre 2006 alla polizia e cioè di aver visto Chiulli lasciare una busta, forse con dentro dei soldi, nel bagno della piscina di Cantagallo.
Il giorno dopo una perquisizione in casa, 21 ottobre 2011, Ferrante raggiunge Di Febo in un’autoscuola di Pescara dove l’ex assessore lavora come collaboratore: la polizia lo scopre seguendo le tracce del cellulare di Ferrante. Poi è Di Febo a commettere un «errore» e a fare un regalo alla polizia: «Non appena riceveva la notizia da Ferrante», recita un rapporto della Mobile alla procura, «Di Febo, evidentemente e comprensibilmente colto da un vero e proprio stato di agitazione, nel tentativo di contattare dal telefono fisso l’utenza di Cantagallo, chiamava la propria utenza mobile». Uno sbaglio di un numero, 5 al posto di 3: «L’errore», dice la polizia, «scaturiva dal fatto che l’utenza di Di Febo differiva da quella dell’ex sindaco solo nell’ultimo numero». Le poche parole registrate mentre ilcellulare di Di Febo squilla per sbaglio danno la «conferma» alla polizia che il tema della discussione è «la perquisizione del giorno prima»: «Sono venuti per quello, qual è il motivo? L’avvocato ha detto...».
Poi l’ex assessore compone il numero di Cantagallo. Stavolta, senza sbagliare.
Di Febo: «Appena ti è possibile oggi, passa un attimo qua all’autoscuola».
Cantagallo: «Che è successo?».
Di Febo: «Eh, passa un attimo dopo te lo spiego».
Il faccia a faccia si consuma sotto gli occhi della polizia che fotografa Cantagallo arrivare con la sua Fiat 500.
Perquisita anche casa Di Febo: l’ex assessore ne parla così in una telefonata con l’ex sindaco Pd Renzo Gallerati.
Di Febo: «Perché ho ricevuto una visita della questura io a casa, sono stato perquisito».
Gallerati : «Addirittura...».
Di Febo racconta: «Mi accusa il pm di aver istigato Ferrante Andrea, pensa, a fare... non so che cosa, una fattura, un preventivo a Cantagallo non so di che si tratta, non so nemmeno di che si tratta, perché tu immagina se io ho rapporti di fattura, di cose, con Cantagallo, capito?».
L’ex assessore dice di aver subìto una «perquisizione esagerata proprio, eh, i vestiti... le cose... sotto il materasso... una cosa». Gallerati gli fa: «Vabbè ma tanto, uno se non ha nulla da nascondere, per carità». «Io non ho niente da nascondere», ribadisce Di Febo.
Il dettaglio è che nel suo computer spuntano le foto di casa del sostituto commissario Giancarlo Pavone. Ma Gallerati non può saperlo ed ecco perché, quando Di Febo esclama che «quessi... non ci rimettono niente, ti rimettono in galera... gli ho detto a mia moglie... preparati... può darsi pure che mi rimettono in galera», dice: «Eh, Madonna, addirittura».
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