Donatella, offerti 150mila euro
L’appello del padre: «Aiutatemi a ritrovare mia figlia».
PESCARA. All’asta del dolore, che da 13 anni tormenta una dolce coppia di Viterbo legatissima all’Abruzzo, un padre e una madre disperati ma sostenuti da una dignità grande così, alzano la posta nel tentativo di ritrovare la loro unica figlia, scomparsa nel 1996 a Francavilla senza lasciare tracce. Offrono 150mila euro e si rimettono in gioco per l’ennesima volta, dopo aver dribblato sciacalli e sedicenti medium. Determinati come sono a ottenere la “dritta” giusta che porti al ritrovamento di Donatella. Ogni anno che trascorre è una picconata alla verità, ma i coniugi Mario Grosso e Tina Melita non mollano la presa, in attesa di una svolta che renda giustizia all’angoscia che li trafigge dalla notte tra il 26 e il 27 luglio 1996, quando la ragazza scomparve dalla casa francavillese di via Monte Velino dove i genitori continuano a soggiornare ogni estate. Aveva 30 anni, Donatella.
La speranza di ritrovarla viva, i Grosso non la cullano più da tempo. Ritrovarla comunque - «per portare un fiore sulla sua tomba» - è il motore che dà loro linfa. Non sono bastati, a scalfire il muro di silenzio, i manifesti con cui Pescara e Francavilla sono state tappezzate negli ultimi anni. Non sono bastate le ricompense, da 50mila euro prima e 100mila poi. A tentare di fare luce, dopo tre archiviazioni, ci sta riprovando la procura di Pescara, che ha aperto un’inchiesta per omicidio e occultamento di cadavere, e ha indagato l’ex fidanzato. Manca il magistrato, perché il pm titolare dell’inchiesta, Pietro Mennini, è stato trasferito a Chieti e il fascicolo dovrà essere riassegnato. Il nuovo procuratore teatino ha fatto in tempo a presentare al gip la richiesta di un test del Dna sui francobolli con i quali venne affrancata l’ultima lettera spedita da Donatella, imbucata a Pescara il 27 luglio 1996, quando la giovane romana laureata in lingue alla D’Annunzio era già ufficialmente una «persona scomparsa».
La missiva arrivò tre giorni dopo a Viterbo a casa dei genitori, che pure la ragazza sapeva essere in vacanza a Campobasso. Il gip Maria Michela Di Fine ha già disposto l’esame del Dna. L’incidente probatorio, fissato lo scorso aprile, è stato rinviato per una mancata notifica all’avvocato aquilano dell’ex fidanzato. Notifica, nel frattempo, giunta a destinazione. Ma l’udienza non si terrà prima del prossimo autunno a causa del decreto sul sisma che ha congelato le inchieste che coinvolgono indagati o legali dell’Aquilano. Il gip chiederà all’indagato di sottoporsi al test, poi la procura deciderà se esercitare l’azione penale. Tutto ruota intorno a quella lettera di poche righe, anomala secondo i genitori, con su stampato il timbro di Pescara e vidimata all’ufficio postale di via Ravenna.
Chi infilò quella corrispondenza in una cassetta di corso Umberto o corso Vittorio? L’ex fidanzato ha sempre sostenuto di avere accompagnato Donatella la notte precedente alla stazione centrale, da dove un treno - aggiunse - doveva condurla «verso il Nord». Se non fu lei a imbucare quella lettera, allora l’espresso fu spedito da qualcuno che aveva interesse a “rassicurare” papà Mario e mamma Tina: ma chi e perché? «Mia figlia è stata uccisa, quella lettera l’ha scritta dopo essere stata drogata», ripete convinto il padre. La calligrafia è di Donatella, ma il messaggio è di contenuto spiccio, lei che ai genitori indirizzava sempre pagine fitte fitte di considerazioni, che infiorettava i suoi pensieri di aggettivi, che accompagnava ogni “sfogo” letterario con digressioni ricche di affetto.
E’ invece, quella del 27 luglio 1996, una comunicazione da telegramma, come redatta da una mano frettolosa che non ha tempo per dilungarsi. In essa, Donatella “rettifica” quanto annunciato nell’ultima telefonata con i genitori il 26 luglio («Andrò da un amico a Popoli»), e puntualizza che la sua destinazione sarà invece oltralpe, in Francia. Chi è in grado di fornire un aiuto, può telefonare al padre della ragazza (338. 7484506) o allo studio legale (085.4503595) dell’avvocato Vincenzo Di Girolamo che da anni assiste la famiglia.
La speranza di ritrovarla viva, i Grosso non la cullano più da tempo. Ritrovarla comunque - «per portare un fiore sulla sua tomba» - è il motore che dà loro linfa. Non sono bastati, a scalfire il muro di silenzio, i manifesti con cui Pescara e Francavilla sono state tappezzate negli ultimi anni. Non sono bastate le ricompense, da 50mila euro prima e 100mila poi. A tentare di fare luce, dopo tre archiviazioni, ci sta riprovando la procura di Pescara, che ha aperto un’inchiesta per omicidio e occultamento di cadavere, e ha indagato l’ex fidanzato. Manca il magistrato, perché il pm titolare dell’inchiesta, Pietro Mennini, è stato trasferito a Chieti e il fascicolo dovrà essere riassegnato. Il nuovo procuratore teatino ha fatto in tempo a presentare al gip la richiesta di un test del Dna sui francobolli con i quali venne affrancata l’ultima lettera spedita da Donatella, imbucata a Pescara il 27 luglio 1996, quando la giovane romana laureata in lingue alla D’Annunzio era già ufficialmente una «persona scomparsa».
La missiva arrivò tre giorni dopo a Viterbo a casa dei genitori, che pure la ragazza sapeva essere in vacanza a Campobasso. Il gip Maria Michela Di Fine ha già disposto l’esame del Dna. L’incidente probatorio, fissato lo scorso aprile, è stato rinviato per una mancata notifica all’avvocato aquilano dell’ex fidanzato. Notifica, nel frattempo, giunta a destinazione. Ma l’udienza non si terrà prima del prossimo autunno a causa del decreto sul sisma che ha congelato le inchieste che coinvolgono indagati o legali dell’Aquilano. Il gip chiederà all’indagato di sottoporsi al test, poi la procura deciderà se esercitare l’azione penale. Tutto ruota intorno a quella lettera di poche righe, anomala secondo i genitori, con su stampato il timbro di Pescara e vidimata all’ufficio postale di via Ravenna.
Chi infilò quella corrispondenza in una cassetta di corso Umberto o corso Vittorio? L’ex fidanzato ha sempre sostenuto di avere accompagnato Donatella la notte precedente alla stazione centrale, da dove un treno - aggiunse - doveva condurla «verso il Nord». Se non fu lei a imbucare quella lettera, allora l’espresso fu spedito da qualcuno che aveva interesse a “rassicurare” papà Mario e mamma Tina: ma chi e perché? «Mia figlia è stata uccisa, quella lettera l’ha scritta dopo essere stata drogata», ripete convinto il padre. La calligrafia è di Donatella, ma il messaggio è di contenuto spiccio, lei che ai genitori indirizzava sempre pagine fitte fitte di considerazioni, che infiorettava i suoi pensieri di aggettivi, che accompagnava ogni “sfogo” letterario con digressioni ricche di affetto.
E’ invece, quella del 27 luglio 1996, una comunicazione da telegramma, come redatta da una mano frettolosa che non ha tempo per dilungarsi. In essa, Donatella “rettifica” quanto annunciato nell’ultima telefonata con i genitori il 26 luglio («Andrò da un amico a Popoli»), e puntualizza che la sua destinazione sarà invece oltralpe, in Francia. Chi è in grado di fornire un aiuto, può telefonare al padre della ragazza (338. 7484506) o allo studio legale (085.4503595) dell’avvocato Vincenzo Di Girolamo che da anni assiste la famiglia.