Droga dall’Albania: 312 anni di carcere 

A sentenza il maxi processo nato dalle rivelazioni di quattro pentiti: condannati 45 imputati, 20 assolti. A Martelli 25 anni  

PESCARA. Condanne per 312 anni complessivi di carcere per 45 imputati, 20 assoluzioni e un non luogo a procedere per prescrizione. Questa la conclusione di un corposo processo per un traffico internazionale di droga, "Operazione Ellenika", conclusosi nel tardo pomeriggio di ieri dopo oltre quattro anni di udienze. Il presidente del collegio, Maria Michela Di Fine, ha impiegato ben 40 minuti per leggere il dispositivo della sentenza. Un lungo e laborioso lavoro svolto da più procure italiane, da Trieste in giù, che aveva portato la pubblica accusa, rappresentata dal pm della Distrettuale dell'Aquila, Stefano Gallo, a concludere la sua requisitoria, consegnando al collegio addirittura un cd che conteneva le 2500 pagine di accuse, finalizzate a chiedere 660 anni complessivi di condanna per quasi tutti i 66 imputati del processo. Una ricostruzione puntuale di un lavoro investigativo di spessore, portato avanti dai carabinieri del Ros (che hanno utilizzato anche un infiltrato) che hanno trovato il fil rouge che avrebbe poi permesso di legare fatti disparati e diverse attività d'indagine.
I PENTITI Gli investigatori, grazie anche alla collaborazione di quattro "pentiti", sono riusciti a provare che vi era una «matrice criminale che ha disposto un numero impressionante di rifornimenti di eroina verso l'Italia, attraverso una profonda e minuziosa opera di analisi, provando i rapporti tra i vari personaggi implicati in un vasto traffico di sostanze stupefacenti sull'asse Albania-Kosovo-Bosnia Erzegovina-Croazia-Slovenia-Italia», come ha sottolineato nel suo intervento l'accusa.
Si trattava di un’organizzazione molto complessa che ha portato a individuare tre associazioni per delinquere: il gruppo degli albanesi, dedito all'importazione e alla vendita all'ingrosso di ingenti quantitativi di droga; il gruppo dei corrieri, dedito al trasporto internazionale di eroina, avente base in Bosnia e operante su tutta la rotta Balcanica fino all'Italia; il gruppo Gargivolo, operante a Pescara e comuni limitrofi. E proprio il pescarese Luca Gargivolo sarebbe stato uno dei pentiti cardini dell'accusa, perfettamente inserito nell'organizzazione, della quale conosceva ogni particolare. E riscontri in tal senso gli inquirenti li hanno trovati anche da parte di Michele Greco, il primo a vuotare il sacco con i magistrati di Trieste, Sebastiano Di Gioia e Besnik Gostivari, referente dei bosniaci in Italia, le cui dichiarazioni hanno permesso di tracciare il percorso della droga fino al nostro Paese.
MECCANISMO RODATO Era una organizzazione talmente rodata che tutti gli uomini che finivano arrestati venivano immediatamente sostituiti e il meccanismo restava sempre integro. Le condanne più pesanti sono state quelle inflitte al pescarese Roberto Martelli (25 anni e mezzo di carcere), che si occupava di reperire la droga dall'Albania, ritenuto uno degli organizzatori dell'associazione insieme ai fratelli Gargivolo, Luca ed Enzo: il primo individuato come il "direttore" della rete di spaccio, il secondo il dominus di tutte le operazioni di narcotraffico che aveva appunto Martelli come suo alter ego; Italo Di Rocco, detto "Capezza", anche lui di Pescara (20 anni di reclusione); Guido Guarnieri, residente a Mosciano Sant'Angelo (13 anni e mezzo di carcere), detto "Il vecchio"; e poi 15 anni all'albanese Martin Haxhi, 12 anni, al connazionale Elton Hylviu, 13 anni al kossovaro Jeton Kukaj, 15 anni al bosniaco Sead Cufurovic. E poi tanti pescaresi fra i 45 condannati: Felice Bellotti detto "Capellone" (6 anni e 2 mesi); 6 anni e 3 mesi a Roberto Bellotti, Domenico Caposano, Grazietta Ceraso, Lauro Cetrullo, Paride D'Antonio, Davide Di Pietrantonio, Enrico Fanesi, Antonello, Danilo e Marino Parbone De Matteis, Alessandro e Gianluca Tavoletta, soltanto per elencare le condanne più pesanti alle quali si aggiungono i 7 anni e 2 mesi inflitti a Giuseppina Insolia, detta "Pina".
LE FRASI IN CODICE Gli imputati avevano poi un loro codice per evitare di compromettersi al telefono: «prendere un caffè» serviva per concordare un incontro per la consegna della droga; «l'età della ragazza» per indicare il quantitativo di stupefacente; «le rane» per indicare i cittadini italiani; «rompersi la gamba» per indicare l'arresto di un corriere; «acqua», intendendosi il serbatoio (di gasolio) dove occultare il narcotico e impedire il ritrovamento da parte della polizia.
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