Esplosione in corso Umberto: "A Montesilvano c’è il pizzo ma col mio bar non c’entra"

Parla il proprietario del locale distrutto dall’esplosione: "Mai minacciato, non ho paura della gentaglia. Rogo partito da un macchinario"

MONTESILVANO. «Si sa che a Montesilvano gira il pizzo, ma mi sono sempre detto che se qualcuno mi minacciasse o mi chiedesse qualcosa io andrei subito a denunciarlo. Non ho paura di quella gentaglia, perché credo nelle forze dell’ordine, mi sento protetto». Massimo Di Fulvio, 38 anni, dal 2007 è il titolare del bar Max di corso Umberto, distrutto dall’esplosione che alle cinque di domenica mattina ha buttato giù dal letto decine di residenti. Un evento che Di Fulvio non si aspettava, al punto che quando domenica mattina si è precipitato sul posto, da San Giovanni Teatino, dove vive, ha avuto un malore: «La pressione mi è schizzata a 200, non ci ho capito più niente quando l’ambulanza mi ha portato in ospedale». Eppure, il giorno dopo Di Fulvio racconta quegli attimi drammatici (non è assicurato) con la serenità di chi, nonostante l’episodio sia comunque sospetto, non ha nulla da temere o da nascondere. «I vigili del fuoco stanno valutando la natura dolosa dell’incendio ma», ribadendo quanto già ricostruito e verificato dai carabinieri della compagnia di Montesilvano diretti dal capitano Enzo Marinelli, «non ci sono segni di effrazione sulla porta e poi c’è stata una vera implosione».

Un’implosione che ha ridotto in frantumi, con il bar, anche il sogno di Di Fulvio che vent’anni fa, poco più che un ragazzino, era andato a studiare da barman negli Stati Uniti. Tanto che racconta: «Vedere il bar ridotto così è stato un trauma, soffro di pressione bassa e invece ho avuto uno sbalzo pazzesco, forse è stato un principio di infarto. Perché di fronte a quel macello mi sono passate dentro tante cose». A cominciare dalla scelta, fatta qualche anno fa, di lasciare il posto fisso, prima da carabiniere («dovevo andare fuori ma non me la sono sentita di lasciare la famiglia») e poi come guardia giurata, per l’ambizione di mettersi in proprio: «In quel bar distrutto non c’erano solo i miei sacrifici, ma anche quelli dei miei genitori che mi hanno aiutato tanto, e il non sapere che cosa mi aspetta» . Ma qual è la sua idea su quello che è successo? «I vigili del fuoco sono convinti che sia doloso, ma dalle telecasmere del punto Snai di fronte al bar si vede che c’è stata proprio un'implosione, si vede dentro una fiammata grande e poi lo scoppio, non è successo il contrario, nel senso che non è stata una bomba, un’esplosione, a causare le fiamme. Probabilmente», sostiene il commerciante, «c’è stato un surriscaldamento dovuto ai macchinari, considerando che la macchina del caffè ha la caldaia che rimane accesa a oltre cento gradi anche di notte. E il locale stesso è molto molto caldo. Oltretutto», va avanti, «è tutto disintegrato proprio intorno alla macchina del caffè che ha uno squarcio enorme. È possibile che sia partito tutto da lì». Sarebbe questa, anche, l’ipotesi più accreditata secondo i carabinieri che hanno comunque raccolto una serie di reperti che i Ris di Roma esamineranno per verificare se ci siano tracce di combustibile o di liquido infiammabile che possano far pensare al dolo. Di contro, il pm ha comunque incaricato un consulente tecnico per verificare se dietro la deflagrazione ci sia proprio il malfunzionamento delle attrezzature custodite all’interno del locale. Nel frattempo resta lo sconforto di un piccolo imprenditore che con le sue sole forze dovrà rimettersi in piedi comunque: «Questo bar è tutta la mia vita, perché senza questo non ho altro. Devo ripartire e lo farò, vedremo come. La cosa che mi fa piacere è che in queste ore ho ricevuto centinaia di messsagi da parte dei clienti e di tanta gente di Montesilvano dove lavoro da tanti anni».

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