«False vendite per salvare le case»
Il gip: Florindi finse di alienare gli immobili temendo richieste di danni
PESCARA. Vendite fittizie degli immobili di famiglia per mettere al sicuro i beni e «azzerare le possibilità di risarcimento danni», ma anche per ricavare dalle vittime delle presunte truffe ulteriore liquidità. Per l’accusa, era questo il sistema ideato da Lorenzo Florindi.
Il meccanismo avrebbe fatto parte della «colossale menzogna» - è la definizione del gip Maria Michela Di Fine - messa in piedi dall’ex promoter di Banca Mediolanum arrestato venerdì dagli agenti della guardia di finanza di Pescara coordinati dal colonnello Maurizio Favia: le accuse sono truffa, frode informatica, appropriazione indebita, rottura dei sigilli e abusivismo finanziario.
Una rete fatta di promesse di interessi da favola e investimenti vantaggiosi in cui sarebbe caduto anche un uomo politico di spicco del centrodestra: da lui l’ex promoter Mediolanum avrebbe ricevuto 75 mila euro da far fruttare: soldi spariti, al pari di quelli di altre 104 vittime.
Nella lista, anche un sacerdote, che avrebbe affidato al promotore finanziario 50 mila euro, ma anche un finanziere, avvocati e commercialisti, persone a cui Florindi avrebbe portato via da decine a centinaia di migliaia di euro, per un totale di oltre 10 milioni di euro. «Titoli, contanti, emolumenti economici, venivano gestiti attraverso una tecnica mirata a disorientare le vittime che, una volta affidato il capitale nella diretta disponibilità del Florindi e dei suoi stretti collaboratori» scrive il gip Di Fine, «e dopo avere ricevuto notizia sui resoconti asseritamente maturati, erano costretti ad attribuire credito pressoché incondizionato agli stessi, arrivando in tempi brevi a perdere il controllo del proprio dare-avere».
Nel marzo 2003, dopo che (a febbraio) la Mediolanum ha presentato il primo esposto per le presunte attività illecite del promotore finanziario, Florindi decide di vendere la sua abitazione di via Nazionale Adriatica nord a Pescara e quella dei genitori, in via Flumendosa, a Montesilvano. Lo fa con due operazioni che il gip - accogliendo l’ipotesi accusatoria del sostituto procuratore Anna Rita Mantini - definisce uno «specifico programma volto a dismettere i beni patrimoniali e ad azzerare le possibilità di risarcimento del danno dalle persone offese, ma altresì progetto finalizzato a conseguire, anche con operazioni che coinvolgevano i medesimi clienti vittime delle condotte illecite del Florindi, ulteriore liquidità attraverso l’impegno nominativo degli stessi soggetti truffati».
Il primo atto, ricostruisce l’ordinanza, è l’adozione del regime di separazione dei beni dalla moglie Francesca Consorte (anche lei indagata assieme ad altri quattro familiari e a tre collaboratori). Nella stessa data (27 marzo 2008) la casa passa di mano per 300 mila euro dal marito alla moglie. A fine luglio, l’abitazione viene venduta a due sorelle a un prezzo di poco superiore a un milione di euro. Ma per l’accusa, la vendita è «fittizia», come proverebbero, tra l’altro, due dettagli: la scoperta di un bonifico da 9.200 euro disposto il 25 settembre 2008 da Francesca Consorte nei confronti delle due acquirenti, con la causale «pagamento rata mutuo mese di settembre 2008». E il fatto che, appena dopo l’acquisto, l’immobile sarebbe stato ceduto in comodato gratuito alla stessa Consorte.
Allo stesso modo sarebbe stata fittizia la vendita dell’immobile dei genitori di Florindi, avvenuta il 16 luglio 2008, per 975 mila euro.
A raccontarlo al pm sono gli stessi acquirenti, due coniugi: «Ci veniva proposto di acquistare formalmente l’abitazione, con la contestuale richiesta di un mutuo ipotecario con il quale Lorenzo Florindi avrebbe risolto il suo momento di difficoltà economica, fermo restando che i medesimi (i genitori di Florindi) si impegnavano a versare 6.100 euro mensili, corrispondenti alla rata del mutuo». Il patto prevedeva che i venditori avrebbero continuato ad abitare nella casa con contratto di comodato e che si sarebbero reintestati l’immobile entro 5 anni. Insomma» concludono, «i Florindi, dopo averci fatto sottoscrivere un contratto fasullo, dopo avere incassato l’importo del mutuo, hanno persino indicato come mezzi di pagamento assegni già utilizzati per altri scopi».
Il meccanismo avrebbe fatto parte della «colossale menzogna» - è la definizione del gip Maria Michela Di Fine - messa in piedi dall’ex promoter di Banca Mediolanum arrestato venerdì dagli agenti della guardia di finanza di Pescara coordinati dal colonnello Maurizio Favia: le accuse sono truffa, frode informatica, appropriazione indebita, rottura dei sigilli e abusivismo finanziario.
Una rete fatta di promesse di interessi da favola e investimenti vantaggiosi in cui sarebbe caduto anche un uomo politico di spicco del centrodestra: da lui l’ex promoter Mediolanum avrebbe ricevuto 75 mila euro da far fruttare: soldi spariti, al pari di quelli di altre 104 vittime.
Nella lista, anche un sacerdote, che avrebbe affidato al promotore finanziario 50 mila euro, ma anche un finanziere, avvocati e commercialisti, persone a cui Florindi avrebbe portato via da decine a centinaia di migliaia di euro, per un totale di oltre 10 milioni di euro. «Titoli, contanti, emolumenti economici, venivano gestiti attraverso una tecnica mirata a disorientare le vittime che, una volta affidato il capitale nella diretta disponibilità del Florindi e dei suoi stretti collaboratori» scrive il gip Di Fine, «e dopo avere ricevuto notizia sui resoconti asseritamente maturati, erano costretti ad attribuire credito pressoché incondizionato agli stessi, arrivando in tempi brevi a perdere il controllo del proprio dare-avere».
Nel marzo 2003, dopo che (a febbraio) la Mediolanum ha presentato il primo esposto per le presunte attività illecite del promotore finanziario, Florindi decide di vendere la sua abitazione di via Nazionale Adriatica nord a Pescara e quella dei genitori, in via Flumendosa, a Montesilvano. Lo fa con due operazioni che il gip - accogliendo l’ipotesi accusatoria del sostituto procuratore Anna Rita Mantini - definisce uno «specifico programma volto a dismettere i beni patrimoniali e ad azzerare le possibilità di risarcimento del danno dalle persone offese, ma altresì progetto finalizzato a conseguire, anche con operazioni che coinvolgevano i medesimi clienti vittime delle condotte illecite del Florindi, ulteriore liquidità attraverso l’impegno nominativo degli stessi soggetti truffati».
Il primo atto, ricostruisce l’ordinanza, è l’adozione del regime di separazione dei beni dalla moglie Francesca Consorte (anche lei indagata assieme ad altri quattro familiari e a tre collaboratori). Nella stessa data (27 marzo 2008) la casa passa di mano per 300 mila euro dal marito alla moglie. A fine luglio, l’abitazione viene venduta a due sorelle a un prezzo di poco superiore a un milione di euro. Ma per l’accusa, la vendita è «fittizia», come proverebbero, tra l’altro, due dettagli: la scoperta di un bonifico da 9.200 euro disposto il 25 settembre 2008 da Francesca Consorte nei confronti delle due acquirenti, con la causale «pagamento rata mutuo mese di settembre 2008». E il fatto che, appena dopo l’acquisto, l’immobile sarebbe stato ceduto in comodato gratuito alla stessa Consorte.
Allo stesso modo sarebbe stata fittizia la vendita dell’immobile dei genitori di Florindi, avvenuta il 16 luglio 2008, per 975 mila euro.
A raccontarlo al pm sono gli stessi acquirenti, due coniugi: «Ci veniva proposto di acquistare formalmente l’abitazione, con la contestuale richiesta di un mutuo ipotecario con il quale Lorenzo Florindi avrebbe risolto il suo momento di difficoltà economica, fermo restando che i medesimi (i genitori di Florindi) si impegnavano a versare 6.100 euro mensili, corrispondenti alla rata del mutuo». Il patto prevedeva che i venditori avrebbero continuato ad abitare nella casa con contratto di comodato e che si sarebbero reintestati l’immobile entro 5 anni. Insomma» concludono, «i Florindi, dopo averci fatto sottoscrivere un contratto fasullo, dopo avere incassato l’importo del mutuo, hanno persino indicato come mezzi di pagamento assegni già utilizzati per altri scopi».