IL TERZO ANNIVERSARIO
Federica: orfana di Stato si laurea su Rigopiano
La primogenita di Piero e Barbara Di Pietro, tra i 29 morti della valanga, martedì discute la tesi sulle irresponsabilità e le leggerezze che hanno portato al disastro
PESCARA. Federica Di Pietro l’aveva detto subito: «Sono un’orfana di Stato», sintetizzando, in quelle poche parole, Rigopiano e quello che la tragedia di tre anni fa ha portato a galla: il paradigma di un sistema Italia dove niente ha funzionato.
Lei che con la sorella Fabrizia, quel maledetto mercoledì di gennaio di tre anni fa, ha perso il padre Piero e la madre Barbara proprio alla vigilia della sua laurea in Giurisprudenza che tanto aspettavano i suoi, a luglio del 2017 ha ripreso i libri e si è rimessa a studiare per una seconda laurea. In Scienze politiche, come aveva promesso e rilanciato al padre in un giorno ormai lontano, durante una discussione sugli ultimi esami ancora da fare.
È su quei libri che Federica ha metabolizzato rabbia e dolore fino a farne una tesi, applicando il rigore scientifico agli atti del processo sui responsabili dei 29 morti di Rigopiano. E ne è venuto fuori il volume, con la copertina bianca come la neve, che Federica andrà a discutere a Roma. Ancora alla Sapienza e ancora a gennaio, il 21, nel giorno in cui i soccorritori tirarono fuori il corpo di sua madre Barbara, 50 anni compiuti il mese prima.
Il titolo: “I limiti del potere decisionale nella burocratizzazione della pubblica amministrazione: la tragedia di Rigopiano”.
Perché questo studio, che cosa cercavi?
Ho voluto indagare, da un punto di vista sociologico, su come avvengono le decisioni nella pubblica amministrazione e sui vizi, e i limiti, che derivano dal momento in cui vengono prese le decisioni. Leggendo gli atti del processo su Rigopiano, le intercettazioni tra politici, dirigenti e amministratori, si scoprono comportamenti ingiustificabili, di incapacità e incompetenza dirigenziale a cui si aggiunge la mancanza di compassione e di vicinanza a persone che stavano implorando aiuto a chi aveva il compito di aiutarle. Di salvarle.
Che cosa non ha funzionato, quali sono stati, e quali sono, i limiti della pubblica amministrazione?
I limiti del potere decisionale sono dovuti alla burocratizzazione del sistema italiano. Il vizio sta tutto lì, su chi decide e come decide. La burocratizzazione è fatta apposta per difendere se stessa: alla fine, così come è segmentato e diviso, il provvedimento amministrativo diventa più formale che sostanziale, rendendo difettosi i meccanismi della pubblica amministrazione. La burocratizzazione garantisce una sorta di deresponsabilità permanente. È fatta in modo che non si arrivi mai a chi ha responsabilità reale, e si finisce per ribaltare sempre su altri la colpa di eventuali omissioni o inerzie.
Però poi ci sono i singoli, l’etica e la coscienza di ciascuno.
E infatti è proprio questo il punto: l’etica della responsabilità. Le persone devono avere comunque l’etica della responsabilità, qualsiasi ruolo svolgano. Mio padre, che era funzionario della Tua, fino all’ultimo ha pensato al lavoro, spinto dal suo senso di responsabilità. Quel giorno era in ferie, eppure venti minuti prima della valanga, alle 16.30, ha inviato un sms all’assessore del nostro paese, a Loreto, per chiedergli di liberare un parcheggio, perché l’autobus di linea Pescara-Penne non riusciva a passare. Lui quella strada l’ha fatta liberare, ma per loro la strada non è stata liberata, li hanno fatti morire lì. Gli esempi di chi lavora con coscienza e responsabilità ci sono, mio padre è stato un esempio.
C’è un processo in corso. Come si colloca la tua tesi?
Nella mia tesi ho ripreso tutti i sociologi più importanti, compresi quelli che parlano di etica della responsabilità, e li ho applicati agli atti del processo. Ho cancellato nomi e ruoli, ma nella tesi ci sono le intercettazioni, le telefonate, le richieste di aiuto, quello che si diceva tra loro chi doveva intervenire, le foto di quell’emergenza. E quello che viene fuori è che non solo non ci hanno capito niente, ma che non c’è traccia, al di là di leggi e ruoli, di questa benedetta etica della responsabilità. Ma lo sottolineo, questo è uno studio sociologico, non ho voluto fare un’analisi normativa e non voglio sostituirmi al processo che è in corso, anche se comunque ci darà una verità processuale che non è la verità oggettiva.
Le posizioni dei politici sono state archiviate. Parliamo di gestione dell’emergenza, ma anche della prevenzione, della carta valanghe. Leggendo gli atti ti sarai fatta un’idea. Chi non ha fatto cosa?
La responsabilità della politica a mio avviso non si può escludere, perché tocca alla politica pianificare e impegnarsi a trovare risorse finanziarie per essere pronta nell’ordinario e ancor più quando c’è un’emergenza. Ma alla politica interessano i risultati immediati, quelli che durano il tempo di un mandato elettorale. E da parte dei tecnici c’è una condizione di sudditanza psicologica per cui il tecnico, sapendo che un determinato bisogno non rientra tra i risultati immediati che cerca il politico, nemmeno glielo sottopone.
La cosa che ti ha fatto più male leggendo le carte del processo?
Le carte mi hanno devastato. Mi ha devastato la leggerezza con cui sono state fatte le cose, con il pensiero che mio padre, invece, in quell’unico giorno di ferie, dieci minuti prima di morire si è preoccupato di far liberare una strada. Ma è stato proprio lui il motore della mia ricerca: non voglio fermarmi agli esempi negativi di tutte quelle persone che non hanno avuto la serietà e la responsabilità di fare il loro lavoro. L’auspicio di questo studio è che invece si moltiplichino gli esempi di uomini come mio padre, che pure ci sono.
A chi dedichi la tua tesi?
L’ultimo contatto che ho avuto con i miei genitori il 18 gennaio di tre anni fa è stato per la foto che mandai sul gruppo whatsapp di famiglia alle 16.30, venti minuti prima della loro fine, con la foto della copertina della tesi che dovevo discutere il 24, e che invece poi ho portato al loro funerale. Oggi questa tesi la dedico a loro, a mia madre e mio padre per avermi amata e per continuare ad amarmi, a Piero e Barbara per aver donato se stessi, a mia sorella per essere la metà con cui si ricompongono i nostri genitori, a Fabrizia per essere il mio cuore, ai nonni e alle nonne per il loro incessante amore, a tutta la mia famiglia, a tutti i miei fantastici amici, a tutti i fantastici amici di mamma e papà.
Ringraziamenti?
Sulla prima tesi non ho avuto il tempo di scriverli. Stavolta lo farò, ma dopo, a penna. Ho lasciato una decina di pagine in bianco.
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