Gas, ritornano le trivelle contro la crisi energetica
Stop dalla Russia: la nostra costa finisce tra gli obiettivi principali del governo Esiste già il piano che può sbloccare i nuovi progetti in mare e sulla terraferma
La crisi energetica riapre la questione delle trivelle in mare per l’estrazione del metano. Per l’Abruzzo, infatti, il Governo ha riservato un ruolo da protagonista contro la crisi energetica. A breve termine, per ridurre subito le bollette del gas attraverso il potenziamento dell’estrazione dai giacimenti già attivi. Ma anche a lungo termine, per ridurre la dipendenza dal gas russo sbloccando, con l’approvazione del piano Pitesai, le nuove concessioni.
Tra Abruzzo, Molise e Marche sono infatti oltre una trentina i siti già interessati da impianti di estrazione oppure con un progetto di realizzazione in corso.
SUBITO IL POTENZIAMENTO
La crisi energetica è mondiale ed è scoppiata già prima della guerra in Ucraina, che ne ha amplificato le conseguenze, anche alla luce del piano di sanzioni contro la Russia da cui l’Italia importa gran parte del metano. I costi sono già cresciuti del 300%. L’idea immediata del Governo è stata quindi quella di raddoppiare l’estrazione dai giacimenti nazionali, passando da 3 ad almeno 6 miliardi di metri cubi all’anno, per raggiungere almeno la quota del 10% del fabbisogno nazionale di 70 miliardi di metri cubi l’anno di metano.
Ma l’intenzione al momento sembra quella di potenziare nell’immediato soltanto i giacimenti già attivi, di cui l’Abruzzo è ricco lungo gran parte del tratto di mare su cui si affaccia, aumentandone il pompaggio di gas metano per recuperare almeno una parte dei quasi cento miliardi di metri cubi che si troverebbero ancora sotto all’Adriatico.
IL PITESAI PER IL FUTURO
Dopo lunghe polemiche e rinvii, però, a febbraio il Governo ha approvato il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee “Pitesai”, contenuto in un decreto del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani che di fatto sospende la moratoria del 2019, che interessa anche una quindicina di siti abruzzesi che quindi potrebbero ora sbloccarsi. Il Pitesai individua i punti del territorio nazionale in cui sarà possibile avviare la ricerca e la coltivazione di idrocarburi.
Il Pitesai è un progetto nato sotto il governo Conte I e che allora partì con l’obiettivo di inserire solo vincoli alla ricerca di idrocarburi. Il passo ulteriore spiegato da Cingolani riguarda invece la messa a punto di regole generali più rigide, criteri per la difesa dell’ambiente e per la protezione di aree naturali dove non sarà possibile fare attività di ricerca. Nessun nuovo via libera alle trivelle, quindi, con l’esclusione delle aree totalmente improduttive e la riduzione dei territori interessati proprio alle trivellazioni. Tra i vincoli principali anche il via libera a ricercare solo giacimenti di gas e non di petrolio, su terraferma e in mare.
Per quanto riguarda la terra ferma, l’area coinvolta dal Piano sarà pari al 42,5% del territorio nazionale. L’Abruzzo è tra le quindici e regioni interessate, insieme a Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana e Veneto. Potrebbero quindi sbloccarsi una cinquantina di permessi di ricerca per quasi 12mila chilometri quadrati di territorio, in parte in Abruzzo.
Per l’area marina, invece, si parla di una percentuale dell’11,5% delle zone aperte, e cioè quelle dove è concessa la ricerca e la coltivazione di idrocarburi. Tra queste c’è l’area dell’Adriatico tra le Marche e l’Abruzzo, oltre a quelle nel Canale di Sicilia e di fronte alla Puglia, nel golfo di Taranto e davanti a Venezia.
I SITI verso lo sblocco
Nel dettaglio, quindi, sono una quindicina i progetti in Abruzzo che potrebbero sbloccarsi definitivamente a causa della crisi energetica, nonostante il fronte contrario di associazioni e istituzioni locali. In particolare quelli di estrazione al largo di Ortona, Francavilla, della costa dei Trabocchi, di Martinsicuro e Roseto degli Abruzzi, e sulla terraferma nella Val Fino, a Montorio al Vomano, in Val Vibrata, a Pineto, nella Marsica, nella valle del Cavaliere, nella valle Roveto, nella val Pescara e a Lanciano.
Tra Abruzzo, Molise e Marche sono infatti oltre una trentina i siti già interessati da impianti di estrazione oppure con un progetto di realizzazione in corso.
SUBITO IL POTENZIAMENTO
La crisi energetica è mondiale ed è scoppiata già prima della guerra in Ucraina, che ne ha amplificato le conseguenze, anche alla luce del piano di sanzioni contro la Russia da cui l’Italia importa gran parte del metano. I costi sono già cresciuti del 300%. L’idea immediata del Governo è stata quindi quella di raddoppiare l’estrazione dai giacimenti nazionali, passando da 3 ad almeno 6 miliardi di metri cubi all’anno, per raggiungere almeno la quota del 10% del fabbisogno nazionale di 70 miliardi di metri cubi l’anno di metano.
Ma l’intenzione al momento sembra quella di potenziare nell’immediato soltanto i giacimenti già attivi, di cui l’Abruzzo è ricco lungo gran parte del tratto di mare su cui si affaccia, aumentandone il pompaggio di gas metano per recuperare almeno una parte dei quasi cento miliardi di metri cubi che si troverebbero ancora sotto all’Adriatico.
IL PITESAI PER IL FUTURO
Dopo lunghe polemiche e rinvii, però, a febbraio il Governo ha approvato il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee “Pitesai”, contenuto in un decreto del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani che di fatto sospende la moratoria del 2019, che interessa anche una quindicina di siti abruzzesi che quindi potrebbero ora sbloccarsi. Il Pitesai individua i punti del territorio nazionale in cui sarà possibile avviare la ricerca e la coltivazione di idrocarburi.
Il Pitesai è un progetto nato sotto il governo Conte I e che allora partì con l’obiettivo di inserire solo vincoli alla ricerca di idrocarburi. Il passo ulteriore spiegato da Cingolani riguarda invece la messa a punto di regole generali più rigide, criteri per la difesa dell’ambiente e per la protezione di aree naturali dove non sarà possibile fare attività di ricerca. Nessun nuovo via libera alle trivelle, quindi, con l’esclusione delle aree totalmente improduttive e la riduzione dei territori interessati proprio alle trivellazioni. Tra i vincoli principali anche il via libera a ricercare solo giacimenti di gas e non di petrolio, su terraferma e in mare.
Per quanto riguarda la terra ferma, l’area coinvolta dal Piano sarà pari al 42,5% del territorio nazionale. L’Abruzzo è tra le quindici e regioni interessate, insieme a Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana e Veneto. Potrebbero quindi sbloccarsi una cinquantina di permessi di ricerca per quasi 12mila chilometri quadrati di territorio, in parte in Abruzzo.
Per l’area marina, invece, si parla di una percentuale dell’11,5% delle zone aperte, e cioè quelle dove è concessa la ricerca e la coltivazione di idrocarburi. Tra queste c’è l’area dell’Adriatico tra le Marche e l’Abruzzo, oltre a quelle nel Canale di Sicilia e di fronte alla Puglia, nel golfo di Taranto e davanti a Venezia.
I SITI verso lo sblocco
Nel dettaglio, quindi, sono una quindicina i progetti in Abruzzo che potrebbero sbloccarsi definitivamente a causa della crisi energetica, nonostante il fronte contrario di associazioni e istituzioni locali. In particolare quelli di estrazione al largo di Ortona, Francavilla, della costa dei Trabocchi, di Martinsicuro e Roseto degli Abruzzi, e sulla terraferma nella Val Fino, a Montorio al Vomano, in Val Vibrata, a Pineto, nella Marsica, nella valle del Cavaliere, nella valle Roveto, nella val Pescara e a Lanciano.