Gioielliere sequestrato da tre banditi

Pistola alla tempia del titolare, ma la commessa non apre la porta

PESCARA. Le hanno urlato «apri se no gli spariamo». Li ha visti puntare la pistola alla testa del suo titolare, ma non ha dato retta ai due rapinatori. E quella porta che li separava dal bottino non l'ha aperta. È stata Oriana Di Giacomo, una dipendente della gioielleria Mancini Gold a salvare il negozio dall'ennesima rapina. E a mettere in fuga i banditi che ieri mattina hanno tentato il colpo. Racconta un collega che il suo gesto è stato istintivo, che neppure lei sa spiegarsi quella reazione, ma che di certo la sua non è stata una mossa premeditata. Forse però con la memoria è tornata a 22 anni fa, a quella rapina subita sempre dai Mancini, che allora stavano in piazza Sacro cuore. Quella mattina di giugno in cui tre banditi vestiti da finanzieri chiusero lei e il padre dell'attuale proprietario in uno sgabuzzino e portarono via un miliardo di lire in gioielli. (vedi sotto)

I BANDITI NEL PORTONE Comincia tutto alle 7.45 di ieri mattina sul marciapiedi di via Trieste 88. Antonio Mancini, 49 anni, titolare della Mancini Gold sta andando a lavorare nella sua ditta che vende gioielli all'ingrosso e ha sede al secondo piano del palazzo, in un appartamento. Affacciato sulla strada, proprio sul portone aperto non si sa bene da chi, c'è un uomo. Mancini non ci fa caso ed entra come tutte le mattine nel palazzo. Fa pochi passi. Arrivato davanti all'ascensore si trova davanti due banditi con in mano le pistole. Hanno il volto coperto con occhiali da sole e cappellino. Puntano la pistola contro il gioielliere e gli fanno salire i due piani di scale che portano al negozio.

IL PALAZZO DESERTO Nessuno vede nè sente niente. E anche volendo nessuno potrebbe: a quell'ora il palazzo è deserto. Al primo piano ci sono due studi dentistici che aprono sempre dopo le nove, e la Blueranton. Al secondo piano, quello in cui ha sede Mancini Gold, non c'è nessuno. Le tre porte che affacciano sul ballatoio sono quelle di un appartamento disabitato. Fino a 3 anni fa c'era un istituto di vigilanza che risulta ancora sul campanello. Ma adesso la casa è vuota, in attesa di essere affittata. Anche dai piani superiori, e forse i banditi lo sapevano, non potevano arrivare brutte sorprese: gli avvocati dello studio al terzo piano non c'erano e l'appartamento al quarto è in fase di ristrutturazione, disabitato.

I MALVIVENTI ENTRANO Indisturbati i due banditi arrivano insieme a Mancini davanti all'ingresso della gioielleria, all'apparenza una normale porta da appartamento. Mancini suona, la dipendente lo vede dalla telecamera che inquadra un pezzetto di pianerottolo, ma non registra, e gli apre. Ma da quella porta non si arriva direttamente nella gioielleria. Dal ballatoio si entra solo in una piccolissima anticamera, grande al massimo due metri per due. E per entrare nella gioielleria vera e propria bisogna passare da altre due porte che stanno a distanza ravvicinatissima l'una dall'altra, una specie di bussola come quella delle banche fatta di vetri blindati e specchiati: da fuori non si vede quello che succede dentro, ma da dentro invece sì, almeno quando si passa la prima porta.

LA COMMESSA CAPISCE La dipendente, che è oltre la terza porta, apre la prima delle due vetrate blindate della bussola. Solo a quel punto si accorge che Antonio Mancini non è solo e che dietro di lui c'è un uomo che gli punta una pistola alla testa. La donna si blocca, e non apre l'ultima porta. I banditi non se l'aspettano, non sanno come reagire. Urlano: «Aprici se no gli spariamo». Lei non si muove. Tirano calci alla porta, ma non succede niente. Il rapinatore che aveva Mancini sotto tiro gli dà un colpo in testa con il calcio della pistola. E scappa insieme al suo complice.

RAPINATORI IN FUGA I rapinatori scendono di corsa le scale e salgono su una macchina. Un testimone che era nei paraggi vede passare una Ford Focus grigia. L'auto la ritrovano più tardi poco lontano, tra via Cesare Battisti e via Mazzini gli agenti della squadra Mobile della polizia coordinati da Dante Cosentino, che stanno indagando sulla tentata rapina. Era stata rubata il primo giugno ad Acilia, in provincia di Roma. Per gli investigatori i tre sono poi scappati a bordo di una macchina pulita su cui li aspettava un quarto complice.

L'IDENTIKIT L'unica descrizione dei rapinatori che gli investigatori hanno in mano è quella fornita da Antonio Mancini ieri mattina. Di certo c'è che i rapinatori parlavano italiano. O per lo meno, che uno dei due rapinatori che avevano il volto coperto, quello che ha parlato un po' di più, parlava in italiano senza nessun accento particolare. Mancini non ha saputo descrivere bene il rapinatore a volto scoperto che lo aspettava sull'uscio, perchè lo ha visto solo di sfuggita. Degli altri due ha saputo solo dire che uno era bassino.

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