I familiari delle vittime: la città è assente
La denuncia del medico Cinque: «Grosso dolore vedere attorno a noi tanto menefreghismo»
L’AQUILA. Loro ci sono. I familiari delle vittime. Col loro carico di indicibile – e pertanto irriferibile – dolore. Ma gli altri no. Al processone, insomma, «manca la città». Il medico Massimo Cinque, che ha perduto moglie e due figli nel sisma, uscendo dall’aula della Corte d’Appello rende pubblica la sua denuncia. «Provo un grosso dolore nel vedere il menefreghismo di una città intera per quello che è successo all’Aquila, colpita a 360 gradi dalla tragedia. Tanto la gente dice “a me non è toccato, che me ne frega”, ma non è così. Chi dice il destino, chi il fato...ma non è possibile che ci sia un’assenza totale della città che doveva essere tutta qua. Io l’ho già detto al primo grado. È una vergogna essere assenti di fronte a un evento che ha devastato e ha segnato per sempre la storia della nostra città. I 309 non ci sono più, quindi c’è chi pensa che “tanto a me non è toccato”. Questo ragionamento è sbagliatissimo. L’Italia è il paese della buona stella. “Tanto a me non capita mai”. Ma vi assicuro che, quando capita, ti taglia il fiato, le gambe e quando ti succede ti manca il fiato. Ti manca tutto».
Sfila via in silenzio Vincenzo Vittorini, medico e consigliere comunale, parte civile nel processo. Guarda sorridente i giovani studenti liceali interessati al processo Antonietta Centofanti, portavoce del comitato familiari delle vittime della Casa dello studente. Ci sono anche altri familiari delle persone scomparse, come il vigile urbano Aldo Scimia, che nel sisma ha perso la madre, la psicologa e psicoterapeuta Ilaria Carosi, sorella di Claudia. E tanti altri.
«Credo che non ci siano dubbi sul fatto che gli imputati abbiano rassicurato», riprende il dottor Cinque, «e che la gente si sia fidata ciecamente di loro. Va valutato, poi, il famoso rapporto Barberi che nessuno conosceva. Così, come succede sempre in Italia, ci sono dei faldoni che nessuno si legge, mentre questo studio era di un’importanza vitale per conoscere gli edifici a rischio. Edifici che sono crollati anche perché costruiti male. I processi sono dolorosi ma vanno fatti. Riaprono ferite mai richiuse. L’unico motore è quello di lottare, ciascuno di noi, contro il lassismo e il menefreghismo a tutti i livelli. Per lasciare alle future generazioni non solo una situazione di tranquillità, ma soprattutto l’amore per il rispetto delle regole. E il coraggio della denuncia di quello che non va».(e.n.)
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