I giornali italiani «Un artista scolpito nella pietra»
PESCARA. I maggiori quotidiani italiani hanno reso omaggio ieri alla scomparsa di Pietro Cascella, lo scultore nato a Pescara nel 1921 e morto domenica a Pietrasanta, in provincia di Lucca, all’età di 87 anni. Scorrendo i titoli e gli articoli a firma di giornalisti e critici d’arte, da quelli del Corriere della Sera, alla Repubblica, La stampa e Il Giornale, l’impressione è quella di un artista già storicizzato di cui l’opera fondamentale è il Monumento ad Aushwitz terminato nel 1967, mentre quella che lo rese celebre al grande pubblico, ma più per il nome del committente, è il mausoleo per Silvio Berlusconi nel parco di Villa San Martino ad Arcore.
Giornalisti, critici d’arte e docenti, da Pierluigi Panza sul Corriere della Sera, a Vittorio Sgarbi sul Giornale, a Fabrizio D’Amico su Repubblica, hanno rintracciato il tratto, l’elemento distintivo di Pietro Cascella: la scelta del marmo e della pietra come materiale d’elezione, ma anche l’appartenenza all’antica dinastia dei Cascella e il carattere abruzzese delle sue opere. «Cascella, signore del marmo», ha titolato La Repubblica; «La sua arte era un corpo a corpo con la pietra», per Il Giornale; «Respiro monumentale di un’arte senza tempo», per La Stampa. Grandi sculture composte da massi che rimandano a un carattere primitivo, arcaico.
«Menhir della contemporaneità», ha scritto Domizia Carafòli sul Giornale diretto da Mario Giordano. «Dove si avverte la presenza sia del primitivismo del primo Novecento sia della lezione espressiva di Brancusi. Ma anche la dimensione monumentale che ha dominato nella scultura degli anni Trenta». E sulle vie del marmo, Raffaele De Grada sul Corriere della Sera, ne ha ricordato l’analoga passione di Michelangelo. «Cascella ama il monte Altissimo, dove Michelangelo andava a cercarsi il marmo. E a Michelangelo i due fratelli, Pietro e Andrea, guardano anche per la torsione dei corpi, delle forme e per il senso della monumentalità». Un ricordo personale è stato quello che ha firmato Vittorio Sgarbi sulle colonne del Giornale. Il critico ferrarese ha raccontato che stava progettando a Milano una mostra della moglie di Cascella, Cordelia von den Steinen.
E che proprio recentemente aveva sentito al telefono Pietro Cascella che lo aveva chiamato dall’ospedale. «Lo sentivo affaticato, lontano», scrive Sgarbi, «eppure desideroso di continuare la sua lunga ricerca in un continuo scontro con i falsi artisti, favoriti dalle mode e dall’indifferenza delle istituzioni». Più in basso, il parere del critico: «Cascella, che con il fratello Andrea, costituì uno dei riferimenti della moderna scultura italiana della capacità di esprimere la dimensione monumentale in forme nuove».
E prosegue ancora Sgarbi: «A Pietro importava interessarsi con i grandi temi della vita e della morte, nello spirito degli antichi, contro ogni decorazione, alla ricerca della verità». La dinastia dei Cascella, la fontana «La nave» di Pescara, il mito dell’Abruzzo forte e gentile, il richiamo a D’Annunzio: in tutti gli articoli è in evidenza l’abruzzesità dello scultore. La sua appartenenza alla scuola d’arte inaugurata da Basilio Cascella nel 1860, «un laboratorio dove si dipingeva, si scolpiva, si incideva, si stampava», è scritto sul Giornale, e in cui Pietro, figlio di Tommaso, «mosse i primi passi in mezzo ai torchi e ai rulli che passavano sulle pietre litografiche, vi apprese le conoscenze tecniche e soprattutto il gusto di fare arte, di produrre cose belle e di buona fattura».
Il richiamo all’Abruzzo, al suo carattere riscontrabile nelle opere di Cascella, è soprattutto nell’articolo di Fabrizio D’Amico su Repubblica. Il giornalista ha riportato le parole di Guido Ballo che accompagnarono la Biennale di Venezia del 1966 a cui Cascella partecipò. «Forme d’una chiarezza solare, che ricorda l’infanzia negli Abruzzi, tra le cose e la gente semplice: pietra, terra, acqua, farina e sempre la ruota del mulino primitivo». E ancora, sul Corriere della Sera, lo storico dell’arte Raffaele De Grada, parlando di Pietro e del fratello Andrea, anche lui scultore scomparso nel 1990, scrive: «I monti abruzzesi, le fornaci forgiano il loro carattere e anche i loro volti che sembrano scolpiti con l’accetta».
Giornalisti, critici d’arte e docenti, da Pierluigi Panza sul Corriere della Sera, a Vittorio Sgarbi sul Giornale, a Fabrizio D’Amico su Repubblica, hanno rintracciato il tratto, l’elemento distintivo di Pietro Cascella: la scelta del marmo e della pietra come materiale d’elezione, ma anche l’appartenenza all’antica dinastia dei Cascella e il carattere abruzzese delle sue opere. «Cascella, signore del marmo», ha titolato La Repubblica; «La sua arte era un corpo a corpo con la pietra», per Il Giornale; «Respiro monumentale di un’arte senza tempo», per La Stampa. Grandi sculture composte da massi che rimandano a un carattere primitivo, arcaico.
«Menhir della contemporaneità», ha scritto Domizia Carafòli sul Giornale diretto da Mario Giordano. «Dove si avverte la presenza sia del primitivismo del primo Novecento sia della lezione espressiva di Brancusi. Ma anche la dimensione monumentale che ha dominato nella scultura degli anni Trenta». E sulle vie del marmo, Raffaele De Grada sul Corriere della Sera, ne ha ricordato l’analoga passione di Michelangelo. «Cascella ama il monte Altissimo, dove Michelangelo andava a cercarsi il marmo. E a Michelangelo i due fratelli, Pietro e Andrea, guardano anche per la torsione dei corpi, delle forme e per il senso della monumentalità». Un ricordo personale è stato quello che ha firmato Vittorio Sgarbi sulle colonne del Giornale. Il critico ferrarese ha raccontato che stava progettando a Milano una mostra della moglie di Cascella, Cordelia von den Steinen.
E che proprio recentemente aveva sentito al telefono Pietro Cascella che lo aveva chiamato dall’ospedale. «Lo sentivo affaticato, lontano», scrive Sgarbi, «eppure desideroso di continuare la sua lunga ricerca in un continuo scontro con i falsi artisti, favoriti dalle mode e dall’indifferenza delle istituzioni». Più in basso, il parere del critico: «Cascella, che con il fratello Andrea, costituì uno dei riferimenti della moderna scultura italiana della capacità di esprimere la dimensione monumentale in forme nuove».
E prosegue ancora Sgarbi: «A Pietro importava interessarsi con i grandi temi della vita e della morte, nello spirito degli antichi, contro ogni decorazione, alla ricerca della verità». La dinastia dei Cascella, la fontana «La nave» di Pescara, il mito dell’Abruzzo forte e gentile, il richiamo a D’Annunzio: in tutti gli articoli è in evidenza l’abruzzesità dello scultore. La sua appartenenza alla scuola d’arte inaugurata da Basilio Cascella nel 1860, «un laboratorio dove si dipingeva, si scolpiva, si incideva, si stampava», è scritto sul Giornale, e in cui Pietro, figlio di Tommaso, «mosse i primi passi in mezzo ai torchi e ai rulli che passavano sulle pietre litografiche, vi apprese le conoscenze tecniche e soprattutto il gusto di fare arte, di produrre cose belle e di buona fattura».
Il richiamo all’Abruzzo, al suo carattere riscontrabile nelle opere di Cascella, è soprattutto nell’articolo di Fabrizio D’Amico su Repubblica. Il giornalista ha riportato le parole di Guido Ballo che accompagnarono la Biennale di Venezia del 1966 a cui Cascella partecipò. «Forme d’una chiarezza solare, che ricorda l’infanzia negli Abruzzi, tra le cose e la gente semplice: pietra, terra, acqua, farina e sempre la ruota del mulino primitivo». E ancora, sul Corriere della Sera, lo storico dell’arte Raffaele De Grada, parlando di Pietro e del fratello Andrea, anche lui scultore scomparso nel 1990, scrive: «I monti abruzzesi, le fornaci forgiano il loro carattere e anche i loro volti che sembrano scolpiti con l’accetta».