I NOSTRI BANCHIERI E I NOSTRI BANCARI
Giovedì 31 ottobre è stato un giorno da ricordare per le banche e i bancari di questa regione: mentre a Teramo si definivano gli ultimi dettagli per il passaggio del nostro maggior istituto, la Tercas, alla Popolare di Bari, in tutto l’Abruzzo gli sportelli restavano chiusi per lo sciopero di una categoria che un tempo era fatta di privilegiati, mentre oggi vede davanti a sé un futuro assai incerto. I due eventi sono solo apparentemente slegati tra di loro, dato che con la vendita di quella che fu la gloriosa cassa di risparmio teramana (e della controllata pescarese Caripe) si chiude un processo che ha visto la cessione di quasi il 90% del nostro sistema creditizio: restano indipendenti solo Carichieti e alcune banchette di credito cooperativo, dopo che l’emiliana Bper si è aggiudicata Carispaq, Banca di Lanciano-Sulmona e Serfina e Banca Intesa al nord ha rastrellato quel che c’era da rastrellare.
Tutti gli acquirenti, baresi inclusi, non mancano di promettere grande attenzione al territorio: prestiti alle imprese, assistenza ai risparmiatori... ma nessuno può dire se la stessa attenzione sarà riservata anche ai dipendenti, che in Abruzzo sono oltre quattro mila, più l’indotto. Il mondo delle banche, come si diceva, è soggetto a una trasformazione epocale, che sta mettendo in discussione l’assetto attuale. L’effetto concentrico della crisi economica e del passaggio al digitale di molte operazioni (i bonifici e consimili ormai si effettuano prevalentemente on line) sta rendendo in parte superflua l’esistenza di una rete di agenzie che nei decenni scorsi era cresciuta oltre ogni ragionevolezza, invadendo ogni angolo di centri storici e periferie. Lo sciopero di giovedì è legato proprio a questo: l’ABI, l’associazione dei banchieri, ha disdettato il contratto in essere, ritenendolo non più sostenibile con i magri tempi che corrono. Nell’aria ci sono tagli, chiusure di sportelli in perdita e altre misure che hanno portato tranquilli ragionieri a scendere in piazza urlanti contro «la scellerata arroganza dei banchieri».
E qui arriviamo al domandone finale: come si comporteranno gli azionisti che vengono da lontano con i loro dipendenti abruzzesi? Purtroppo la storia insegna che quando si devono prendere misure dolorose, si cerca di evitare di farlo in casa propria. L’esperienza dell’industria è lì a dimostrarlo, purtroppo, e molte fabbriche locali, filiali di grandi gruppi del Nord, lo stanno imparando a spese proprie. Spero di sbagliarmi, ma temo che il conto delle dissennate operazioni finanziarie che ci hanno portato, da ultimo, a perdere anche Tercas-Caripe, non lo pagheranno i protagonisti di quelle disavventure, premiati anzi con ricche liquidazioni, ma i ben più modesti bancari, che con uno stipendiuccio devono mantenere una famiglia. Vedremo. Per ora, buona domenica.
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