I parenti: sentenza storica ma non ci può confortare
Le reazioni di genitori, parenti e amici alla lettura del verdetto in aula Grazia Centofanti: «Avrei voluto essere da un’altra parte con mio figlio»
L’AQUILA. «Sentenza o non sentenza, io mio fratello non lo rivedrò più. Ma questa condanna è un importante gesto di civiltà per questo Paese. È una sentenza storica». Liliana Centofanti è la giovane sorella di Davide. La notte del 6 aprile 2009 non uscì vivo dalle macerie della Casa dello studente, simbolo triste del terremoto aquilano.
Bruna, composta, risponde con calma ai microfoni dei giornalisti che quasi l’assediano, proprio mentre l’aula del Tribunale incomincia a svuotarsi, dopo la sentenza di condanna pronunciata dal giudice Giuseppe Grieco.
«La responsabilità morale dell’Università è molto alta», dice Liliana, «l’ateneo non ha fatto niente. E, invece, la Casa dello studente doveva essere chiusa». Non si sono mossi dai loro posti, in fondo all’aula del tribunale di Bazzano, nemmeno per prendere un caffè i parenti dei ragazzi vittime del crollo della casa degli universitari, in via XX Settembre. Immobili, per tutto il tempo in cui è durata la camera di consiglio nella quale il giudice ha preso la sua decisione. Poi, al suono del “campanello”, sono saltati in piedi abbracciandosi. E anche dopo la sentenza, per alcuni di loro alzarsi da quella sedia è stato un gesto difficile. Lo è stato per la mamma di Davide, Grazia Centofanti che in lacrime si lascia andare a uno sfogo: «Una sentenza che mi aspettavo, ma che non mi dà sollievo. Avrei voluto essere da un'altra parte, adesso, con mio figlio», dice tra i singhiozzi. «Mi fa comunque piacere», aggiunge, «perché è una sentenza che servirà agli altri. Spero che serva agli altri». Non si dà pace, invece, Silvana Cialente. È la zia di Francesco Maria Esposito. In verità ci sono tutte le zie di Francesco ad aspettare la sentenza, anche Ida e Antonella, per fare forza alla mamma, Annamaria, che resta in silenzio: «Non me la sento di parlare», dice con un filo di voce, e va via. «Quelli che non sono stati condannati avevano comunque il dovere di andare lì e cacciare quegli otto ragazzi da una casa che si sapeva che sarebbe crollata», tuona Silvana, ricordando che «gli studenti più di una volta avevano denunciato le criticità della struttura». Poco più in là Luca D’Innocenzo, presidente dell’Adsu al’epoca del sisma, assolto, con la voce tremolante commenta: «Capisco i parenti delle vittime, ma un ente non ha gli strumenti non può improvvisamente decidere che si chiude una struttura». E promette che solleciterà «una riflessione politica su tutte le agibilità».
Soddisfatta l’avvocato Wania della Vigna, che difende quattro ragazzi superstiti. «Volevamo giustizia. E giustizia è avvenuta», dice. «Adesso sappiamo perché quei poveri ragazzi sono deceduti. Non è stato l'elemento naturale a cagionare la tragedia», aggiunge, «ma la mano dell'uomo». Della Vigna chiama in causa, infine, la Regione Abruzzo: «Sarà mia cura intraprendere un procedimento civile contro la Regione per la restituzione del risarcimento del danno». Alle 19 il pm Fabio Picuti si è già dileguato. Giusto il tempo di dire ai cronisti: «L'ho chiesta io questa condanna, non avevo dubbi che sarebbe avvenuta. Ero convinto di quello che ho chiesto».
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