I pm: «Sanitopoli, tutti a processo»
La procura chiede in aula il rinvio a giudizio per Del Turco e gli altri 33 imputati
PESCARA. Ogni accusa è confermata. Con una requisitoria durata quasi dieci ore in due udienze, la procura di Pescara ha chiesto il processo per Ottaviano Del Turco e gli altri 33 imputati di Sanitopoli (due le società), già messo nero su bianco nelle 79 pagine firmate il 18 febbraio scorso: «Chiediamo il rinvio a giudizio per tutti e per tutti i reati contestati» ha ribadito in aula il pool formato dal procuratore capo Nicola Trifuoggi e dai pm Giuseppe Bellelli e Giampiero Di Florio.
Alla conclusione di una nuova seduta-fiume, arrivata dopo le 18 di ieri, la pubblica accusa si è riservata un ultimo intervento di quindici minuti all'avvio della prossima udienza fissata per lunedì prossimo, 28 giugno. Ma solo per gli ultimi dettagli.
L'impianto costruito nei lunghi mesi di indagine affidati alla Guardia di finanza e ricostruito punto per punto in aula da Di Florio e Bellelli, infatti, è già stato illustrato secondo il disegno originario di fronte al gup Angelo Zaccagnini.
A partire dalle testimonianze di Vincenzo Maria Angelini, testimone-chiave e co-imputato nel maxi-processo la cui fine, secondo la procura, sarebbe iniziata proprio con le dichiarazioni rese ai magistrati, che gli avrebbero chiuso le porte della politica, precipitandolo verso il precipizio della bancarotta. Mentre l'ex governatore Del Turco, che in decine di interviste e dichiarazioni ha sempre negato ogni accusa, sarebbe stato il presidente della Regione che «rifiutava le riunioni pubbliche nei suoi uffici per poi ricevere gli imprenditori nella sua casa» è stato detto. Con un dettaglio ritenuto rilevante e ribadito durante la discussione: a confermare l'ormai celebre storia delle mele che sarebbero state consegnate ad Angelini da Del Turco a Collelongo dopo la presunta dazione delle tangenti non sarebbe stato solo l'ex re della sanità privata, ma anche l'autista dell'imprenditore: due pacchetti scambiati, secondo la ricostruzione, per impedire che qualcuno si accorgesse che Angelini, entrato a mani piene nell'abitazione ne era uscito a mani vuote.
Dieci ore di requisitoria per raccontare un sistema che avrebbe avvelenato la politica sanitaria della Regione, affidata a una classe dirigente a cui il pm Bellelli ha riservato (senza citarlo) il verso di un celebre brano di Fabrizio De Andrè (Canzone del maggio): «Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti», a indicare la responsabilità di una generazione di amministratori che adesso, nei suoi esponenti più rappresentativi, la procura vuole alla sbarra. A processo sulla base di quelle che, secondo i pm, sono accuse solide e circostanziate, fatti di reato per i quali viene chiesto al gup di disporre il rinvio a giudizio.
Dopo le ore burrascose di una settimana fa, quando il caso delle intercettazioni hard aveva fatto esplodere le polemiche, provocando l'abbandono dell'aula da parte dell'ex governatore e di uno dei suoi due avvocati, Giandomenico Caiazza (che difende Del Turco assieme a Giuliano Milia), ieri è stato il tempo di ripercorrere uno per uno i 58 capi di imputazione e le fonti di prova.
Tra i banchi, in mezzo agli avvocati, gli imputati che fin dall'inizio seguono il processo: l'ex governatore Giovanni Pace, sempre sorridente, ma con la bocca cucita, gli ex assessori Vito Domenici, Bernardo Mazzocca e Antonio Boschetti, l'ex manager della Asl di Chieti Luigi Conga, l'ex segretario di Mazzocca, Angelo Bucciarelli. Una parte dei componenti di quel gruppo di potere che, secondo l'accusa, avrebbe depredato le casse della sanità per consegnare denaro pubblico nelle mani di un imprenditore in cambio di 15 milioni di tangenti. Un fiume di denaro in gran parte scomparso: secondo la procura perché forse occultato in paradisi fiscali, ma in parte possibile da rintracciare anche nella proprietà di una serie di beni immobili riconducibili attraverso prestanome ad alcuni degli imputati.
Al centro di questo sistema malato ci sarebbe stata in due diverse fasi un'associazione per delinquere: la prima nata all'epoca del governo Pace, di cui avrebbero fatto parte con l'ex governatore di centrodestra anche l'ex presidente della Fira Giancarlo Masciarelli, Angelini, Domenici, Conga, Vincenzo Trozzi, Mario Romano, Pierluigi Cosenza, Pietro Anello, Antonio Boschetti, il deputato Sabatino Aracu, Giacomo Obletter; la seconda germinata all'interno della giunta di centrosinistra guidata da Del Turco: con lui Lamberto Quarta, Camillo Cesarone, Boschetti, Mazzocca, Bucciarelli, Cosenza, Francesco Di Stanislao e ancora Masciarelli. Dal 2003 al 2008 dunque, i vertici di due amministrazioni regionali si sarebbero passati la staffetta di un presunto malaffare che oggi costa agli imputati accuse gravissime: corruzione, concussione tentata e consumata, falso, truffa, abuso, riciclaggio di denaro. Un meccanismo in cui sarebbero stati consegnati illeggittimamente all'imprenditore privato almeno 33 milioni di euro, il valore della presunta truffa consumata ai danni della Regione nell'ambito della prima cartolarizzazione da 419 milioni, pagati per prestazioni sanitarie sulla base di crediti inesistenti. Denaro che il patron delle cliniche avrebbe ottenuto attraverso il sistema dell'autocertificazione e delle fatture fantasma, grazie a esponenti del centrodestra prima, poi coi buoni uffici del centrosinistra, che gestì la seconda cartolarizzazione da 328 milioni di euro, che aveva come oggetto la chiusura delle posizioni debitorie maturate sino alla fine del 2004. Tutto nella sostanziale assenza di controlli, perché le verifiche sarebbero state affidate a una commissione non idonea. In cambio, le tangenti: a Del Turco, al suo ex braccio destro Quarta e all'ex capogruppo Pd Cesarone, secondo i pm, Angelini avrebbe consegnato 5,5 milioni di euro, ad Aracu 980 mila euro, a Domenici 500 mila, a Pace 100 mila euro, a Conga oltre 6 milioni di euro. Una parte cospicua dei fondi delle cartolarizzazioni, 21 milioni, sarebbero stati occultati dall'ex manager della Humagest Gianluca Zelli (accusato di riciclaggio) in paesi off shore gonfiando le sponsorizzazioni a due team motociclistici (Abruzzo racing e Team Italia) per la partecipazione al motomondiale nel 2005 e nel 2006.
Alla conclusione di una nuova seduta-fiume, arrivata dopo le 18 di ieri, la pubblica accusa si è riservata un ultimo intervento di quindici minuti all'avvio della prossima udienza fissata per lunedì prossimo, 28 giugno. Ma solo per gli ultimi dettagli.
L'impianto costruito nei lunghi mesi di indagine affidati alla Guardia di finanza e ricostruito punto per punto in aula da Di Florio e Bellelli, infatti, è già stato illustrato secondo il disegno originario di fronte al gup Angelo Zaccagnini.
A partire dalle testimonianze di Vincenzo Maria Angelini, testimone-chiave e co-imputato nel maxi-processo la cui fine, secondo la procura, sarebbe iniziata proprio con le dichiarazioni rese ai magistrati, che gli avrebbero chiuso le porte della politica, precipitandolo verso il precipizio della bancarotta. Mentre l'ex governatore Del Turco, che in decine di interviste e dichiarazioni ha sempre negato ogni accusa, sarebbe stato il presidente della Regione che «rifiutava le riunioni pubbliche nei suoi uffici per poi ricevere gli imprenditori nella sua casa» è stato detto. Con un dettaglio ritenuto rilevante e ribadito durante la discussione: a confermare l'ormai celebre storia delle mele che sarebbero state consegnate ad Angelini da Del Turco a Collelongo dopo la presunta dazione delle tangenti non sarebbe stato solo l'ex re della sanità privata, ma anche l'autista dell'imprenditore: due pacchetti scambiati, secondo la ricostruzione, per impedire che qualcuno si accorgesse che Angelini, entrato a mani piene nell'abitazione ne era uscito a mani vuote.
Dieci ore di requisitoria per raccontare un sistema che avrebbe avvelenato la politica sanitaria della Regione, affidata a una classe dirigente a cui il pm Bellelli ha riservato (senza citarlo) il verso di un celebre brano di Fabrizio De Andrè (Canzone del maggio): «Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti», a indicare la responsabilità di una generazione di amministratori che adesso, nei suoi esponenti più rappresentativi, la procura vuole alla sbarra. A processo sulla base di quelle che, secondo i pm, sono accuse solide e circostanziate, fatti di reato per i quali viene chiesto al gup di disporre il rinvio a giudizio.
Dopo le ore burrascose di una settimana fa, quando il caso delle intercettazioni hard aveva fatto esplodere le polemiche, provocando l'abbandono dell'aula da parte dell'ex governatore e di uno dei suoi due avvocati, Giandomenico Caiazza (che difende Del Turco assieme a Giuliano Milia), ieri è stato il tempo di ripercorrere uno per uno i 58 capi di imputazione e le fonti di prova.
Tra i banchi, in mezzo agli avvocati, gli imputati che fin dall'inizio seguono il processo: l'ex governatore Giovanni Pace, sempre sorridente, ma con la bocca cucita, gli ex assessori Vito Domenici, Bernardo Mazzocca e Antonio Boschetti, l'ex manager della Asl di Chieti Luigi Conga, l'ex segretario di Mazzocca, Angelo Bucciarelli. Una parte dei componenti di quel gruppo di potere che, secondo l'accusa, avrebbe depredato le casse della sanità per consegnare denaro pubblico nelle mani di un imprenditore in cambio di 15 milioni di tangenti. Un fiume di denaro in gran parte scomparso: secondo la procura perché forse occultato in paradisi fiscali, ma in parte possibile da rintracciare anche nella proprietà di una serie di beni immobili riconducibili attraverso prestanome ad alcuni degli imputati.
Al centro di questo sistema malato ci sarebbe stata in due diverse fasi un'associazione per delinquere: la prima nata all'epoca del governo Pace, di cui avrebbero fatto parte con l'ex governatore di centrodestra anche l'ex presidente della Fira Giancarlo Masciarelli, Angelini, Domenici, Conga, Vincenzo Trozzi, Mario Romano, Pierluigi Cosenza, Pietro Anello, Antonio Boschetti, il deputato Sabatino Aracu, Giacomo Obletter; la seconda germinata all'interno della giunta di centrosinistra guidata da Del Turco: con lui Lamberto Quarta, Camillo Cesarone, Boschetti, Mazzocca, Bucciarelli, Cosenza, Francesco Di Stanislao e ancora Masciarelli. Dal 2003 al 2008 dunque, i vertici di due amministrazioni regionali si sarebbero passati la staffetta di un presunto malaffare che oggi costa agli imputati accuse gravissime: corruzione, concussione tentata e consumata, falso, truffa, abuso, riciclaggio di denaro. Un meccanismo in cui sarebbero stati consegnati illeggittimamente all'imprenditore privato almeno 33 milioni di euro, il valore della presunta truffa consumata ai danni della Regione nell'ambito della prima cartolarizzazione da 419 milioni, pagati per prestazioni sanitarie sulla base di crediti inesistenti. Denaro che il patron delle cliniche avrebbe ottenuto attraverso il sistema dell'autocertificazione e delle fatture fantasma, grazie a esponenti del centrodestra prima, poi coi buoni uffici del centrosinistra, che gestì la seconda cartolarizzazione da 328 milioni di euro, che aveva come oggetto la chiusura delle posizioni debitorie maturate sino alla fine del 2004. Tutto nella sostanziale assenza di controlli, perché le verifiche sarebbero state affidate a una commissione non idonea. In cambio, le tangenti: a Del Turco, al suo ex braccio destro Quarta e all'ex capogruppo Pd Cesarone, secondo i pm, Angelini avrebbe consegnato 5,5 milioni di euro, ad Aracu 980 mila euro, a Domenici 500 mila, a Pace 100 mila euro, a Conga oltre 6 milioni di euro. Una parte cospicua dei fondi delle cartolarizzazioni, 21 milioni, sarebbero stati occultati dall'ex manager della Humagest Gianluca Zelli (accusato di riciclaggio) in paesi off shore gonfiando le sponsorizzazioni a due team motociclistici (Abruzzo racing e Team Italia) per la partecipazione al motomondiale nel 2005 e nel 2006.
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