I veleni della discarica di Bussi, parla una vedova "Voglio sapere perché mio marito è morto"

Il racconto di una donna di Popoli: "Fernando aveva lavorato per 18 anni alla Siac di Bussi. Per i medici è stata nefropatia da piombo, ma non so come si è ammalato"

POPOLI. «E’ una bomba? O non lo è? Io non lo so. Ma ormai è fatta e mio marito è morto a 52 anni. Che mi raccontava? Che faceva dei lavori da schifo». Nadia Tronca è rimasta vedova nel 2005, dall’anno in cui il marito Fernando Ciampa è morto in seguito a «nefropatia da piombo», com’era stato diagnosticato e per cui, dopo un lungo percorso, gli era stata riconosciuta la pensione di invalidità.

IL FATTO "Contaminata l'acqua destinata a 700mila persone"
Le analisi choc in versione integrale / Il videoreportage / Foto

Operaia di Popoli di 60 anni e mamma di due figli, Tronca non sa perché il marito, che per 18 anni ha lavorato alla Siac nello stabilimento di Bussi, a un tratto si è ammalato e ha perso la vita: «Perché è morto mio marito? Voglio saperlo, voglio chiarezza» dice la donna nei giorni in cui la discarica di Bussi sul Tirino, i 25 ettari di terreno contaminati, ha fatto per la seconda volta il giro della stampa nazionale come accadde nel 2007 quando la discarica dei veleni, sequestrata nel marzo dalla Forestale, si guadagnò l’etichetta della «più grande d’Europa».

Per quasi vent’anni Ciampa ha lavorato nello stabilimento di Bussi. «Mi raccontava che faceva dei lavori che non erano buoni», ricorda la donna che ha dovuto lottare insieme al sindacato per vedere riconosciuta quella pensione di invalidità per «nefropatia da piombo». «Non so perché mio marito si è ammalato», continua a ripetere, «e vorrei saperlo».

La relazione dell’Istituto superiore della sanità depositata dall’avvocatura dello Stato al processo in Corte d’Assise ha messo nero su bianco che nel 2007, secondo i consulenti che l’hanno redatta, «è stata distribuita acqua contaminata a 700 mila persone» e, in questi giorni, nei comuni della Provincia il sentimento prevalente è quello della rassegnazione.

Da un lato, c’è l’incredulità verso il polo chimico della Montedison che ha dato lavoro a generazioni di famiglie e dall’altro ci sono i veleni della discarica e le morti sospette: quelle che, per il momento, nessuno studio epidemiologico e medico ha potuto abbinare con certezza all’inquinamento, alle sostanze tossiche anche se, come hanno ricordato i medici in questi giorni, nella zona di Bussi i tumori sono aumentati.

La famiglia di Fernando Ciampa, così, è una delle tante a restare in sospeso, a non sapere con chiarezza perché un signore di 52 anni si ammala e muore.

«Il posto di lavoro non era buono: questo mi diceva mio marito», dice ancora la donna, «e l’inquinamento in questo zona non è una scoperta e sì, la gente ha paura perché non sa che cos’è accaduto con certezza, non sa perché alcune persone sono morte giovani».

Quello che invece Tronca ha impresso nella memoria è il lungo percorso per ottenere la pensione di invalidità, arrivata due anni prima della scomparsa del coniuge: «Perché i medici prendevano tutto sottogamba e solo facendo numerosi accertamenti abbiamo scoperto che la malattia di mio marito era dovuta al piombo, come possono dimostrare le cartelle cliniche. Poi, perché Fernando si sia ammalato io non lo so». (p. au.)

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