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Il biografo di Trump: «Ho messo il rossetto sulle labbra di un maiale»

Se dietro ogni mostro c'è un dottor Frankenstein, chi c'è dietro Donald Trump? Il "mostro" di queste elezioni americane, decisamente il “miglior cattivo che si potesse immaginare” per usare le parole...

Se dietro ogni mostro c'è un dottor Frankenstein, chi c'è dietro Donald Trump? Il "mostro" di queste elezioni americane, decisamente il “miglior cattivo che si potesse immaginare” per usare le parole di Slavoj Žižek.

C'è un libro e un autore, un ghostwriter come si dice in gergo, una persona cioè che il libro lo scrive ma non lo firma, lasciando al più celebre personaggio l'onore del nome in copertina. Nel 1987 esce in America ”Trump: L'arte di fare affari” (Sperling&Kupfer): in parte autobiografia in parte consigli di business dell'allora quarantenne imprenditore di New York. Il libro è subito un bestseller e compie un miracolo: trasforma un “figlio di papà” dall'ambiguo talento per gli affari in un eroe americano. Ammanta il nome Trump di un'aura di fiducia pionieristica e sogno vincente. Il libro torna adesso alla cronaca. In un discorso inaugurale Trump infatti ha affermato: «L'America ha bisogno di un leader capace di scrivere “L'arte di fare affari”». La replica è arrivata in un tweet: «Grazie per avermi suggerito di correre alla presidenza, dal momento che io l'ho scritto» firmato Tony Schwartz. Il dottor Frankestein, l'uomo che per primo ha creato il mostro e il mito Donald Trump, rompe decenni di silenzio.

Tony Schwartz non aveva mai desiderato fare il ghostwriter, tanto meno di Trump. Ma aveva scritto su di lui un articolo molto critico per il "New York Magazine" e l'imprenditore gli aveva mandato un biglietto di ringraziamento. Scioccato Schwartz ne aveva chiesto il motivo. «Tutti sembrano aver letto quel pezzo» aveva risposto Trump, ossessionato dalla pubblicità e dai riflettori. E l'aveva voluto come autore della propria biografia. La biografia di un trentottenne! Schwartz esitò: l'impresa non gli piaceva ma aveva bisogno di soldi, propose un accordo costosissimo che fu accettato. Oggi dice: «Mi sembra di aver messo il rossetto sulle labbra di un maiale, e rimpiango di averlo reso molto più seducente di quello che è. Scrivessi oggi lo stesso libro lo intitolerei “Il sociopatico”».

Schwartz visse 18 mesi in simbiosi con Trump annotando telefonate e abitudini, diventando uno degli uomini che lo conosce meglio. Non bastava una semplice intervista? Ci provò, ma era impossibile. Il perché è importante: Trump non ascoltava le domande, non sapeva costruire una narrazione di sé. La sua soglia di attenzione era bassissima. «È incapace di pensiero riflessivo, non riesce a concentrarsi su un argomento per più di qualche secondo. È affabile con i giornalisti, ma le sue risposte sono superficiali, le conoscenze approssimative. Agisce d'istinto. Per questo preferisce apparire in televisione».

È bastato un libro a costruire il mito di Trump? Forse no. Ma di sicu. ro il candidato che non legge un libro è consapevole del potere mitopoietico delle storie e lo usa a piene mani. Trump asseconda il gioco democratico che lo vuole come il cattivo di queste elezioni, e lui lo è davvero, sempre più mostruoso in ogni dichiarazioni. Su questo conta la smaliziata e colta campagna democratica per radunare un consenso che vacilla attorno a una candidata dai lati oscuri. I cattivi delle storie finiscono male, anche il mostro di Frankenstein scompare nel buio, ma siamo sicuri che in un'America in crisi, populista e piena di rancore verso la classe politica e l'establishment al potere, sarà questo il finale della storia elettorale? ©RIPRODUZIONE RISERVATA