Il coatto di Pecora dello chef Barnabei
Il piatto dei pastori che da secoli rappresenta l’Abruzzo , proposto dal ristorante Osteria degli Ulivi di Montorio, ha un costo per 4 persone di 25 euro
ENZO BARNABEI chef del ristorante Osteria degli Ulivi di Montorio (TE)
MONTORIO AL VOMANO Montorio al Vomano, porta del Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Cosa può rappresentare meglio un’area protetta dell’Abruzzo interno se non la pecora? Nel cuore del plurisecolare e fiero centro teramano, ricco di arte e rinomato per le sue prelibatezze, dal “mazzarellone” (versione macro della mazzarella teramana) ai dolci squisiti, ecco un interprete perfetto per un antico piatto della tradizione agropastorale.
Autore di una cucina raffinata ma vivificata dall’ispirazione alla tradizione, Enzo Barnabei è chef e titolare dell’Osteria degli Ulivi, attività mandata avanti insieme alla moglie Maria Gabriella Testa. Montoriesi veraci e tenaci, Enzo e Maria Gabriella non si scoraggiarono quando il 6 aprile 2009 il terremoto danneggiò gravemente il ristorante, creato nel settembre 2000 in un incantevole rustico tra gli uliveti di contrada Torrito, all’inizio della strada che da Montorio conduce a Isola e Castelli. Tempo sette mesi e l’Osteria degli Ulivi rinacque in centro, in un moderno ed elegante locale di proprietà. «Il casale non era più agibile. Ci siamo attivati immediatamente per trovare una nuova sistemazione, altrimenti perdevamo tutti i treni» spiega Enzo Barnabei.
Lui è creativo, si occupa delle carni, dei vini, della sala; lei tradizionalista (ma saggiamente sottolinea che «la fantasia degli antichi va sorretta dal continuo aggiornamento della tecnica»), eclettica, dotata di una bella manualità per dolci, pane, pasta. Nel menu dell’Osteria degli Ulivi, che annovera tra l’altro la gallotta (il tacchino alla canzanese) in versione entrée, i paccheri con guanciale ricotta secca e pistacchi (reinterpretazione della gricia matriciana in bianco), il coscio di agnello disossato cotto a bassa temperatura, spicca come omaggio alla tradizione il succulento coatto di pecora.
Il termine “coatto” è una derivazione dal latino “coactus”: ristretto. Questo robusto e ghiotto secondo piatto è infatti uno stracotto, un brasato di coscio di pecora, reso più godibile dallo chef Barnabei rispetto all’antica ricetta pastorale grazie alla disossatura («Di regola lo stracotto di pecora o castrato si cucinava con tutte le ossa») e spezzettatura, e all’eliminazione della preliminare fase della bollitura. «Difficile trovare il vero castrato qui da noi. L’animale ha bisogno di due anni e mezzo di crescita prima della macellazione. Il pecoraio dovrebbe metterlo in vendita a un prezzo troppo alto, perciò alla fine se lo mangia lui. Invece in Lombardia, nel Bergamasco, ne allevano tanti perché hanno un’alta richiesta dai musulmani, che non vogliono l’animale femmina. La pecora che uso io è un prodotto esclusivamente della nostra zona, proveniente dai piccoli allevamenti del Parco».
Enzo Barnabei non sbollenta la carne come nella preparazione tradizionale, e impiega pochi grassi: scelte facilitate da una pentola particolare, la Cocotte di Staub, una casseruola in ghisa del peso di 4-5 chili, acquistata 12 anni fa dall’azienda alsaziana: «È una pentola pensata dal grande cuoco francese Paul Bocuse per brasati e stracotti. La parte inferiore del coperchio bucherellata aiuta a creare umidità e mantenere morbida la carne, che così necessita di pochi liquidi e pochi grassi. Ma a casa si può anche usare una pentola di coccio».
La perfetta riuscita del piatto dipende pure da altri piccoli ma decisivi accorgimenti: «Non metto mai gli odori separatamente, per evitare che a fine cottura diventi difficile toglierli. In un mazzetto lego rosmarino, salvia, maggiorana, timo, alloro, erbe classiche della nostra montagna più il mirto, che non è autoctono ma conferisce al piatto un ottimo sapore e un magnifico profumo. Fuori dal mazzetto guarnito l’aglio. Solo aglio rosso di Sulmona, più delicato rispetto agli altri tipi di aglio sul mercato, provenienti da Cina e Argentina». Essenziale anche il brodo vegetale, per donare gusto intenso alla carne: «Cosa c’è di meglio del classico brodo vegetale delle mamme?».
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