Il giudice: Roland ha ucciso Aliona con lucidità, per lui era un oggetto 

L’omicidio di Francavilla. La 33enne fu colpita con 11 coltellate a settembre 2019, morì 45 giorni dopo Riconosciuti i futili motivi: «Preciso movente punitivo, innescato dalla forte gelosia dopo i suoi rifiuti»

FRANCAVILLA . È un assassino che ha agito «in maniera lucida»: per lui la vittima era «un oggetto». Ecco perché, secondo la Corte d’assise di Chieti, Roland Bushi, l’albanese di 29 anni che ha massacrato con undici coltellate la trentatreenne moldava Aliona Oleinic, merita l’ergastolo. A svelarlo sono le motivazioni della sentenza sul delitto di Francavilla al Mare: la donna morì il 18 ottobre del 2019, all’ospedale Gemelli di Roma, 45 giorni dopo l’aggressione consumata all’esterno della sua abitazione.
L’AGGRESSIONE «Può ritenersi accertato», scrive la Corte (presidente Guido Campli, giudice estensore Maurizio Sacco), «che l’imputato, morbosamente infatuato di Aliona e non ricambiato in alcun modo, fortemente ingelosito dall’incontro avuto da quest’ultima la sera del 2 settembre con un altro uomo e fortemente arrabbiato tanto per il rifiuto della ragazza di rendergli spiegazioni quanto per il suo invito a lasciarla stare, si sia recato la mattina dopo nell’abitazione della vittima e, dopo aver scavalcato la recinzione armato di coltello ed essere entrato nel cortile dell’abitazione stessa, abbia infierito su Aliona colpendola con undici coltellate in parti vitali ovvero all’altezza del torace e dell’addome, in modo da causarne, sia pure a distanza di tempo, la morte».
L’AGGRAVANTE Secondo i giudici, c’è l’aggravante dei futili motivi: «L’azione di Bushi è stata certamente assistita da un preciso movente punitivo, innescato dalla forte gelosia provata in ragione del fatto che la vittima, la quale aveva sino a quel momento costantemente respinto tutti i suoi tentativi di instaurare una relazione sentimentale, nonostante la sua insistenza ossessiva, era uscita la sera prima con un altro uomo. In particolare, si evincono dai messaggi telefonici un morboso sentimento possessivo nei confronti della ragazza, nonostante lei si fosse sottratta a tutti i suoi approcci, e la rabbia provata in relazione a quello che l’uomo ha considerato un vero e proprio tradimento, espressa non solo con ingiurie nei confronti di Aliona, con un improvviso cambio di tono dei messaggi inviati la notte del 3 settembre rispetto ai precedenti, ma anche con ripetute minacce di morte, con le quali ha chiuso la serie di messaggi. La gelosia manifestata da Bushi integra una spinta a delinquere futile in relazione al delitto di omicidio, ponendosi come una condizione di pure abnormità in cui il comportamento tenuto dalla vittima, considerata alla stregua di un oggetto, e consistito nell’uscire e nell’intrattenersi con un’altra persona è stato percepito come un atto di insubordinazione da punire secondo una logica aberrante. Il motivo che ha spinto l’imputato ad agire appare così del tutto sproporzionato rispetto al fatto commesso».
«NON HA DISTURBI» La Corte d’assise teatina non condivide la tesi difensiva secondo cui, al momento del fatto, Bushi non aveva la piena capacità di intendere e di volere. «Occorre considerare come l’imputato, in maniera lucida, dopo che, negli ultimi messaggi inviati alla vittima, aveva ricevuto il definitivo rifiuto di quest’ultima a ogni tentativo di avvicinamento, si sia portato nella sua abitazione munendosi preventivamente di un’arma da taglio, arrestando la sua furia solo una volta che la ragazza è finita distesa al suolo con profonde ferite all’addome». Peraltro, il primo carabiniere intervenuto sul posto «ha ricordato di aver trovato l’imputato in fondo al cortile, in piedi, con aria rassegnata, e che lo stesso, senza far resistenza, ha immediatamente ammesso le sue responsabilità e ha chiesto di essere arrestato. Il testimone non ha fatto riferimento né ha descritto alcuno stato confusionale di Bushi, che sembrava, al contrario, essere pienamente in sé».
REATI ANCHE IN CARCERE Negli atti del processo risultano allegate alcune relazioni provenienti dalla casa circondariale di Viterbo «che segnalano diverse infrazioni del regolamento carcerario da parte di Bushi, il quale, in un’occasione, ha fatto entrare all’interno della cella un cellulare di cui si è servito per le comunicazioni con i parenti e che ha anche prestato a un altro detenuto». In un’altra circostanza, invece, «è stato sorpreso nella sua cella a predisporre quanto necessario per la realizzazione di sostanze alcoliche artigianali». Bushi non è nuovo a questi comportamenti: in una nota che arriva sempre dal carcere è evidenziato come, di recente, il condannato si sia «contraddistinto per aver dato vita a un sodalizio con altri detenuti della medesima etnia al fine di rimarcare la supremazia all’interno della sezione. Le condotte descritte appaiono in evidente contraddizione con l’esistenza di un disturbo della personalità o di altra patologia neuropsichiatrica». L’avvocato Antonello D’Aloisio, difensore di Bushi, si prepara a presentare ricorso in appello.
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