PESCARA
Il pescatore miracolato abbraccia i suoi salvatori
Commosso incontro in ospedale, domani Amodio potrà tornare a casa. "Ma ora ho bisogno di aiuto: senza la barca affondata, come farò a lavorare?"
PESCARA. È salvo per miracolo. È vivo e sta bene. Ma la sua barca, la San Gabriele quarto, è andata a fondo con tutte le sue cose: telefono cellulare, arredi, motori. Ha perso tutto Giovanni Amodio, il pescatore 35enne di Martinsicuro, naufragato nelle acque gelide dell'Adriatico intorno alla mezzanotte e 15, tra venerdì e sabato e ritrovato casualmente domenica pomeriggio da un gruppo di barcaioli in gita di piacere, nello specchio di mare antistante il porto turistico di Pescara.
L'armatore della piccola pesca oggi sarà dimesso dall'ospedale dove era stato ricoverato domenica intorno alle 18, subito dopo essere stato soccorso semiassiderato, per una sindrome da immersione con rabdomiliosi, un danneggiamento dei tessuti muscolari causato dalla prolungata immersione in acqua.
Ieri nella camera numero 8 al quarto piano del reparto di Otorino (dove è stato trasferito per sovraffollamento di Medicina) ha ricevuto la visita dei suoi salvatori, Giuseppe D'Addario, Paolo Lelli e Marco Februo, pescaresi, usciti in barca domenica per una battuta di pesca. Si sono abbracciati, si sono commossi. Si sono promessi amicizia eterna. Si rivedranno domani per una «mangiata di pesce». È nato un legame che non si sfalderà mai più. Perché certe esperienze ti segnano la vita. «A queste persone io devo la mia vita» ringrazia Amodio di cuore. E il «grazie» va anche al personale medico e infermieristico («Non mi hanno fatto mancare nulla») del dipartimento di Medicina, guidato da Paolo Di Berardino, e di Otorino, diretto da Claudio Caporale. Per 40 ore è rimasto in ammollo, il «più giovane lupo di mare della piccola pesca di Martinsicuro», come egli stesso rivela, lasciandosi trasportare dalla corrente quando era stanco o nuotando per circa 50 km fino a Pescara. Per un tempo infinito è rimasto ingabbiato nel suo salvagente rosso, l'unico oggetto che è riuscito a prendere prima di cadere in acqua, col rischio di essere risucchiato dagli abissi (a 70 metri di profondità) e rimanere impigliato in quelle stesse reti che si sono aggrovigliate alle eliche provocando l'incidente e l'inabissamento del natante, lontano qualche miglia dalla costa teramana.
«Non ho più nulla, ora. Devo ricominciare da zero» si è sfogato il pescatore dal suo letto d'ospedale. Tra le prime cose che farà, il marinaio, dopo aver dato un bacio al figlioletto Renato di sei anni («che mi ha detto: “Papà, io l'ho capito che tu sei andato a fondo con la barca”») sarà quella di andare a cercare la sua imbarcazione trascinata nel porto di Giulianova dai sommozzatori, che l'hanno ripescata al largo. «Sarà un rottame, senza motore e sballottolata di qua e di là. Avevo speso tutti i miei risparmi negli ultimi due anni per sistemarla. Ora, per qualche mese non potrò lavorare senza imbarcazione».
Lancia un Sos, Amodio. «Spero che qualcuno possa aiutarmi, mi occorrono almeno 20mila euro per rimettere a posto la barca e ricominciare». Lo dice quasi con vergogna, col nodo in gola e con l'orgoglio e la dignità di chi non è abituato a elemosinare niente. Di chi, solitamente, ce fa con le proprie forze. La prima promessa di aiuto arriva proprio da chi gli ha restituito la vita. «Certo che lo faremo», conferma Marco Februo, titolare della pizzeria Alice di via Venezia e proprietario della Ernesto II, l'imbarcazione che ha tirato a bordo il corpo intirizzito e disidratato di Amodio, che oggi uscirà dall'ospedale e tornerà a casa.
Ad attenderlo ci sarà mamma Daiana Cistola che ha pianto lungamente quando ha sentito la sua voce al telefono, quattro giorni fa; la moglie Rossana Bruglia, che gli ha detto «ti amo» e gli ha stretto le mani sul letto d'ospedale e il piccolo Renato, che «mi ha dato la forza per sopravvivere al freddo e alla sete. Pensavo a lui, volevo rivederlo e stringerlo a me. Ho avuto paura di non poterlo veder crescere, ho combattuto una battaglia e ce l'ho fatta». Riabbraccerà anche la sorella Giuseppina che vive a Salerno. Ora Amodio dovrà avere il coraggio di ricominciare con quella «barchetta, cinque metri e mezzo, da ricostruire, dove io sono comandante, motorista e mozzo», scherza. E poi una promessa alla famiglia: «La mia vita è in mare, ma cercherò di stare di più con loro».
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