Il poliziotto e la bambina nata due volte
Nicola Zupo da 17 anni sogna di ritrovare la neonata salvata da una discarica di Palermo
PESCARA. Per lui Natalia è rimasta la sua “piccolina”, una bambina di poche settimane con grandi occhi scuri che guarda il mondo con la fame di vita che hanno i sopravvissuti. Eppure questa notte, questa vigilia di Natale, saranno esattamente 17 anni da quando è nata.
La prima volta nel letto sporco e disfatto di una vecchia casa popolare della Zisa di Palermo, la seconda volta tra le braccia del vice commissario Nicola Zupo, salvata dai topi in una discarica di rifiuti cresciuta nel centro della città. Un anno dopo l’altro, da quel 24 dicembre 1992 - l’anno delle stragi di mafia - il capo della squadra Mobile di Pescara ha contato ogni Natale un compleanno, quello di una bambina invisibile rimasta per lui esattamente come la vide quell’ultimo giorno, prima di lasciare l’ospedale dopo la poppata, senza sapere che non l’avrebbe ritrovata il giorno dopo. Data in adozione, e per lui scomparsa. Cristallizzata nella memoria come accade all’immagine di tutti coloro che spariscono improvvisamente e senza ragione dal nostro orizzonte, lasciando il vuoto crudele dell’assenza.
E’ il senso di spaesamento che Ian McEwan racconta in uno dei suoi romanzi più belli e dolorosi “Bambini nel tempo”, la storia di un padre che perde di vista la figlia di tre anni al supermercato: non la ritroverà mai più, non saprà mai se è viva o morta, o quale sia il suo volto di ragazza, di donna. «Quella crescita fantasmatica, prodotto dalla sofferenza ossessiva, non era solo ineluttabile - poiché nulla poteva arrestare il portentoso cronometro - era necessaria. Se avesse cessato di fantasticare sul suo esistere ancora, sarebbe stato perduto» scrive McEwan del suo protagonista.
Racconta Zupo: «Ogni Natale soprattutto, ma mi accade molte volte durante l’anno, io penso a Natalia. In tutto questo tempo spesso ho immaginato di cercarla, per sapere come sta, perché vorrei riabbracciarla. Ma non ho il diritto di farlo, perché non so se i genitori le abbiano mai raccontato il modo in cui è venuta al mondo, una vicenda talmente brutta. Il suo diritto alla felicità è superiore al mio desiderio di vederla, ma se un giorno mi cercasse sarei contento». Di lei, nella sua vita, restano solo i ritagli dei giornali sotto il vetro di un quadro appeso in un angolo del suo ufficio, una videocassetta con decine di servizi tv e le vecchie foto del battesimo nella cattedrale millenaria affollata all’inverosimile, perché tutta la città volle partecipare al momento più toccante di un evento che aveva commosso l’Italia intera.
L’ALLARME. Quella sera di diciassette anni fa Nicola Zupo - responsabile dei 60 uomini della quarta squadra Volante - si trova in piazza della Marina assieme all’autista Marcello Pittaluga, sardo, di fronte a un’auto rubata che hanno appena ritrovato. A Palermo il giovane funzionario di polizia, all’epoca ventisettenne, è arrivato nel novembre di un anno prima, direttamente dall’Accademia di Roma. Sono le 22.30 quando la sala operativa avverte che all’ospedale Ingrassia è arrivata una donna di 28 anni con una forte emorragia quasi certamente provocata da un parto o un aborto. Con la ginecologa che l’ha visitata, la ragazza ha negato una gravidanza, raccontando solo di avere avuto forte mal di pancia e sanguinamento, ma è una storia che non convince il medico. Due volanti si dirigono poco dopo verso la casa della donna, nel quartiere degradato della Zisa.
Al suo arrivo, il vice commissario Zupo trova di fronte alla casa il fratello, che impedisce ai poliziotti di entrare: «Con gli sbirri non ci parlo», si oppone. «Ma siccome in flagranza di reato la legge consente ogni tipo di accertamento», ricorda Zupo, «entrammo, e ci trovammo in uno stanzone sporco, con un angolo cottura in fondo, a destra un letto singolo dove dormiva la madre, che aveva problemi mentali, e più in là un letto matrimoniale: le lenzuola erano sporche di sangue, c’era una piccola forbice insanguinata, e gocce rosse che partivano dal letto e finivano nel bagno». «Considerate le dimensioni della placenta, il bimbo non può avere meno di sette mesi» ha avvertito poco prima il medico. Il fratello, messo sotto pressione, alla fine fa le prime ammissioni, finché si tradisce: «Della bambina non so niente». Ma il motore della sua macchina è caldo: è stato lui ad accompagnare la sorella in ospedale. «Capimmo che si erano sbarazzati della neonata». L’uomo alla fine conferma: l’ho messa in una borsa blu e l’ho lanciata fuori, ma non so dove.
LA RICERCA. Vengono richiamati in servizio anticipato tutti gli uomini del turno successivo, che scatta a mezzanotte. «Era Natale, erano a casa con le famiglie: mi maledissero». I due chilometri di percorso tra la casa e l’ospedale, che si snodano lungo tre diverse strade, vengono divisi tra le pattuglie. In viale della Regione Siciliana, all’incrocio con via degli Emiri, c’è un cantiere abbandonato da anni che la gente usa come discarica, è un sottopasso mai finito dove la strada sprofonda per cinque metri. E’ in questo fossato che si concentrano le ricerche del vice commissario e dei suoi: scendono alla luce delle torce, camminando sui cumuli di immondizia, tra i ratti. «A un certo punto sentii il pianto di un neonato, illuminai e vidi una scena raccapricciante: un borsone blu, con la scritta Alitalia, coperto dai topi, corsi, li presi a calci per scacciarli.
Aprii e dentro c’era la bimba, viva, con il cordone ombelicale reciso un’ora prima». La neonata viene portata in ospedale, è sana, ha solo un po’ di ittero. Pesa 2 chili e 700 grammi. La madre, una donna con un grave disagio mentale, e il fratello vengono arrestati. E la piccola salvata dai rifiuti diventa la mascotte della squadra Volante. Sono i poliziotti a darle il nome: Natalia, venuta al mondo due volte la notte della Natività. «Cominciammo a fare i turni per accudirla, si era affezionata soprattutto a me e a Pittaluga, senza di noi non mangiava», racconta il dirigente della Mobile. «Andavo in ospedale più volte al giorno. Ci insegnarono a darle il biberon, a cambiarla. Facemmo la colletta per il corredino mentre il caso diventava nazionale e da tutta Italia piovevano richieste di adozione e regali».
LA FESTA. Il 7 febbraio 1993, Natalia Fortunata viene battezzata dal cardinale Salvatore Pappalardo nella cattedrale, le navate sono stracolme, il centro è bloccato dalla folla accorsa a salutare il piccolo miracolo di Natale dopo l’orrore della stagione del sangue, segnata dal martirio di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e delle loro scorte. «Oggi è il giorno della luce» dice Pappalardo «Natalia ha offerto a Palermo, città delle tenebre, un’occasione di riscatto». Commossi ed emozionati, sull’altare ci sono i padrini della bimba, i vice commissari Nicola Zupo e Angela Spatola, che tengono la bimba amorevolmente tra le braccia. «Siamo consapevoli di assumerci davanti a Dio oggi questa responsabilità e ci impegniamo a collaborare in seguito con la famiglia a cui questa piccola bambina sarà affidata», recita Zupo nella preghiera che ha scritto per la sua Natalia. Ma non gli viene concesso di mantenere quella promessa.
LA SCOMPARSA. «Un giorno qualunque, poco dopo il battesimo, andai in ospedale come sempre a trovarla, ma lei non c’era più. I medici mi dissero che era stata adottata. Andai al tribunale dei minori, solo perché dessero il mio nome ai genitori, perché potessero contattarmi se volevano, ma si rifiutarono di farlo. L’unica concessione che mi fecero fu quella di prendere la collanina che avevo comprato per il battesimo e si impegnarono a consegnargliela». Diciassette anni dopo, la luce di quel miracolo di Natale continua a brillare nel cuore del poliziotto che oggi guida la polizia giudiziaria di Pescara. E’ nostalgia, è tenerezza mista a dolore. Un unico filo, assieme a quello tenace della memoria, continua a legarlo alla bambina di Palermo: quella collana d’oro, a cui è appesa una medaglietta. Sopra c’è scritto: “A Natalia, che sia l’auspicio di una nuova vita”. E’ sottile, ma è il filo che consente di tenere viva la speranza che un giorno la bambina e il suo salvatore possano ritrovarsi
La prima volta nel letto sporco e disfatto di una vecchia casa popolare della Zisa di Palermo, la seconda volta tra le braccia del vice commissario Nicola Zupo, salvata dai topi in una discarica di rifiuti cresciuta nel centro della città. Un anno dopo l’altro, da quel 24 dicembre 1992 - l’anno delle stragi di mafia - il capo della squadra Mobile di Pescara ha contato ogni Natale un compleanno, quello di una bambina invisibile rimasta per lui esattamente come la vide quell’ultimo giorno, prima di lasciare l’ospedale dopo la poppata, senza sapere che non l’avrebbe ritrovata il giorno dopo. Data in adozione, e per lui scomparsa. Cristallizzata nella memoria come accade all’immagine di tutti coloro che spariscono improvvisamente e senza ragione dal nostro orizzonte, lasciando il vuoto crudele dell’assenza.
E’ il senso di spaesamento che Ian McEwan racconta in uno dei suoi romanzi più belli e dolorosi “Bambini nel tempo”, la storia di un padre che perde di vista la figlia di tre anni al supermercato: non la ritroverà mai più, non saprà mai se è viva o morta, o quale sia il suo volto di ragazza, di donna. «Quella crescita fantasmatica, prodotto dalla sofferenza ossessiva, non era solo ineluttabile - poiché nulla poteva arrestare il portentoso cronometro - era necessaria. Se avesse cessato di fantasticare sul suo esistere ancora, sarebbe stato perduto» scrive McEwan del suo protagonista.
Racconta Zupo: «Ogni Natale soprattutto, ma mi accade molte volte durante l’anno, io penso a Natalia. In tutto questo tempo spesso ho immaginato di cercarla, per sapere come sta, perché vorrei riabbracciarla. Ma non ho il diritto di farlo, perché non so se i genitori le abbiano mai raccontato il modo in cui è venuta al mondo, una vicenda talmente brutta. Il suo diritto alla felicità è superiore al mio desiderio di vederla, ma se un giorno mi cercasse sarei contento». Di lei, nella sua vita, restano solo i ritagli dei giornali sotto il vetro di un quadro appeso in un angolo del suo ufficio, una videocassetta con decine di servizi tv e le vecchie foto del battesimo nella cattedrale millenaria affollata all’inverosimile, perché tutta la città volle partecipare al momento più toccante di un evento che aveva commosso l’Italia intera.
L’ALLARME. Quella sera di diciassette anni fa Nicola Zupo - responsabile dei 60 uomini della quarta squadra Volante - si trova in piazza della Marina assieme all’autista Marcello Pittaluga, sardo, di fronte a un’auto rubata che hanno appena ritrovato. A Palermo il giovane funzionario di polizia, all’epoca ventisettenne, è arrivato nel novembre di un anno prima, direttamente dall’Accademia di Roma. Sono le 22.30 quando la sala operativa avverte che all’ospedale Ingrassia è arrivata una donna di 28 anni con una forte emorragia quasi certamente provocata da un parto o un aborto. Con la ginecologa che l’ha visitata, la ragazza ha negato una gravidanza, raccontando solo di avere avuto forte mal di pancia e sanguinamento, ma è una storia che non convince il medico. Due volanti si dirigono poco dopo verso la casa della donna, nel quartiere degradato della Zisa.
Al suo arrivo, il vice commissario Zupo trova di fronte alla casa il fratello, che impedisce ai poliziotti di entrare: «Con gli sbirri non ci parlo», si oppone. «Ma siccome in flagranza di reato la legge consente ogni tipo di accertamento», ricorda Zupo, «entrammo, e ci trovammo in uno stanzone sporco, con un angolo cottura in fondo, a destra un letto singolo dove dormiva la madre, che aveva problemi mentali, e più in là un letto matrimoniale: le lenzuola erano sporche di sangue, c’era una piccola forbice insanguinata, e gocce rosse che partivano dal letto e finivano nel bagno». «Considerate le dimensioni della placenta, il bimbo non può avere meno di sette mesi» ha avvertito poco prima il medico. Il fratello, messo sotto pressione, alla fine fa le prime ammissioni, finché si tradisce: «Della bambina non so niente». Ma il motore della sua macchina è caldo: è stato lui ad accompagnare la sorella in ospedale. «Capimmo che si erano sbarazzati della neonata». L’uomo alla fine conferma: l’ho messa in una borsa blu e l’ho lanciata fuori, ma non so dove.
LA RICERCA. Vengono richiamati in servizio anticipato tutti gli uomini del turno successivo, che scatta a mezzanotte. «Era Natale, erano a casa con le famiglie: mi maledissero». I due chilometri di percorso tra la casa e l’ospedale, che si snodano lungo tre diverse strade, vengono divisi tra le pattuglie. In viale della Regione Siciliana, all’incrocio con via degli Emiri, c’è un cantiere abbandonato da anni che la gente usa come discarica, è un sottopasso mai finito dove la strada sprofonda per cinque metri. E’ in questo fossato che si concentrano le ricerche del vice commissario e dei suoi: scendono alla luce delle torce, camminando sui cumuli di immondizia, tra i ratti. «A un certo punto sentii il pianto di un neonato, illuminai e vidi una scena raccapricciante: un borsone blu, con la scritta Alitalia, coperto dai topi, corsi, li presi a calci per scacciarli.
Aprii e dentro c’era la bimba, viva, con il cordone ombelicale reciso un’ora prima». La neonata viene portata in ospedale, è sana, ha solo un po’ di ittero. Pesa 2 chili e 700 grammi. La madre, una donna con un grave disagio mentale, e il fratello vengono arrestati. E la piccola salvata dai rifiuti diventa la mascotte della squadra Volante. Sono i poliziotti a darle il nome: Natalia, venuta al mondo due volte la notte della Natività. «Cominciammo a fare i turni per accudirla, si era affezionata soprattutto a me e a Pittaluga, senza di noi non mangiava», racconta il dirigente della Mobile. «Andavo in ospedale più volte al giorno. Ci insegnarono a darle il biberon, a cambiarla. Facemmo la colletta per il corredino mentre il caso diventava nazionale e da tutta Italia piovevano richieste di adozione e regali».
LA FESTA. Il 7 febbraio 1993, Natalia Fortunata viene battezzata dal cardinale Salvatore Pappalardo nella cattedrale, le navate sono stracolme, il centro è bloccato dalla folla accorsa a salutare il piccolo miracolo di Natale dopo l’orrore della stagione del sangue, segnata dal martirio di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e delle loro scorte. «Oggi è il giorno della luce» dice Pappalardo «Natalia ha offerto a Palermo, città delle tenebre, un’occasione di riscatto». Commossi ed emozionati, sull’altare ci sono i padrini della bimba, i vice commissari Nicola Zupo e Angela Spatola, che tengono la bimba amorevolmente tra le braccia. «Siamo consapevoli di assumerci davanti a Dio oggi questa responsabilità e ci impegniamo a collaborare in seguito con la famiglia a cui questa piccola bambina sarà affidata», recita Zupo nella preghiera che ha scritto per la sua Natalia. Ma non gli viene concesso di mantenere quella promessa.
LA SCOMPARSA. «Un giorno qualunque, poco dopo il battesimo, andai in ospedale come sempre a trovarla, ma lei non c’era più. I medici mi dissero che era stata adottata. Andai al tribunale dei minori, solo perché dessero il mio nome ai genitori, perché potessero contattarmi se volevano, ma si rifiutarono di farlo. L’unica concessione che mi fecero fu quella di prendere la collanina che avevo comprato per il battesimo e si impegnarono a consegnargliela». Diciassette anni dopo, la luce di quel miracolo di Natale continua a brillare nel cuore del poliziotto che oggi guida la polizia giudiziaria di Pescara. E’ nostalgia, è tenerezza mista a dolore. Un unico filo, assieme a quello tenace della memoria, continua a legarlo alla bambina di Palermo: quella collana d’oro, a cui è appesa una medaglietta. Sopra c’è scritto: “A Natalia, che sia l’auspicio di una nuova vita”. E’ sottile, ma è il filo che consente di tenere viva la speranza che un giorno la bambina e il suo salvatore possano ritrovarsi