Il prefetto chiede scusa ai parenti delle vittime
Provolo incontra il sopravvissuto Matrone e gli dice: «Nessuna denuncia» Ma tra i familiari restano rabbia e delusione: «È l’ennesimo scaricabarile»
PESCARA. «Ci ha chiesto scusa, ma la colpa, ci ha detto il prefetto, andatela a cercare da qualche altra parte. Io ho fatto tutto quello che potevo e anche di più». Giampaolo Matrone, come gli altri tre delegati del Comitato familiari vittime di Rigopiano, esce deluso dalla Prefettura dopo quasi due ore di colloquio con il prefetto Francesco Provolo. Ad aspettarli, con striscioni e cartelloni di solidarietà a Matrone, e di condanna a Provolo per la segnalazione in Procura del sopravvissuto, ci sono molti dei familiari delle 29 vittime del 18 gennaio. Sono arrivati dall’Umbria, dalle Marche e da tutto l’Abruzzo per offrire la propria vicinanza al sopravvissuto, vedovo e invalido dopo 62 ore sotto le macerie, finito nella nota riservata che il prefetto ha inviato in Procura per l’incursione del 19 ottobre nell’ufficio della funzionaria che respinse l’allarme di quel 18 gennaio.
Nessuna denuncia. «Non mi azzarderei mai a denunciarla», ha precisato il prefetto a Matrone, «quella nota è un atto dovuto, una prassi d’ufficio dopo la richiesta che mi è arrivata dall’assemblea dei dipendenti. Non farò mai un’azione contro di voi, sto per andare via da Pescara, raccontate ciò che volete, io ho le carte e le telefonate che ricostruiscono come i soccorsi siano partiti in tempo. Ma lì», ha rimarcato Provolo, «c’era un muro di neve». E quanto al mancato intervento degli elicotteri, di cui la delegazione gli ha chiesto conto, Provolo ha spiegato che quel giorno non si potevano alzare in osservanza alla normativa prevista in quelle particolari circostanze meteo.
Rabbia e sdegno. Ma in piazza Italia ieri mattina, i parenti delle 29 vittime sono arrivati, anche, nella speranza di sentire dopo quasi dieci mesi dalla tragedia che li ha colpiti, «la vicinanza umana, l’inizio di un dialogo che invece non c’è stato». Come commentano alla fine di quell’incontro Matrone, Gianluca Tanda, Mario Tinari e Marco Foresta a tutti gli altri del Comitato. «Il prefetto non si è calato nei panni dell’uomo, del cittadino, del padre», ha riferito Matrone, «ha fatto il funzionario anche oggi, e questa è la cosa più brutta da mandare giù, più di quella di sentirsi dire, come mi aspettavo, che la colpa non era sua, e che aveva la coscienza a posto. E che se sono salvo è stato anche grazie a lui». Applaude pieno di rabbia e sarcasmo, Alessio Feniello, papà di Stefano, mentre Nicola Colangeli, di Farindola, che sotto la valanga ha perso la figlia Marinella, «li hanno fatti morire come topi, per nove chilometri di strada da pulire. La sera del 17 gennaio la strada era pulita, perché non hanno continuato anche la notte, perché non hanno utilizzato i mezzi della Provincia?». Domande senza risposta, come le lacrime delle mamme che ancora una volta sono lì con la foto del proprio figlio racchiusa nel ciondolo appeso al collo, o nella gigantografia che si stringono al petto. «Se il prefetto è veramente convinto di quello che dice», commenta Paola Ferretti, mamma di Emanuele Bonifazi, 31 anni, marchigiano di Pioraco, «deve avere il coraggio di venirlo a dire davanti a tutti noi. Fino alla fine chiederemo giustizia, l’essere qui anche oggi, è il segno della nostra determinazione».
Scaricabarile. «Abbiamo chiesto spiegazioni sulla macchina dei soccorsi, su quando e come era partita», spiega Marco Foresta, «e il prefetto ci ha detto che i soccorsi sono partiti in tempo, ma che hanno trovato un muro di neve, “Che potevamo fare di più?” ci ha chiesto». «Arrivare alle 11 piuttosto che aspettare la valanga delle 5» ha rimarcato Matrone, «ma Provolo», riferisce il pasticcere di Monterotondo, «ha risposto di aver ricevuto la mail dell’albergo solo a mezzogiorno del 18 in cui dipendenti e ospiti chiedevano, sì, di andare via, ma che la paura era solo per le scosse. «La verità», ha concluso Foresta, «è che da chiunque andiamo ci dicono che hanno la coscienza pulita. È uno scaricabarile».
La mano giusta. «Mi dia la mano buona». Così, riferisce Matrone, si è sentito dire il sopravvissuto con la mano destra rimasta invalida quando ieri mattina l’ha tesa al prefetto Provolo. «Io do sempre la destra, da uomo si dà la mano destra”, gli ha risposto Matrone mentre, riferisce, «mi uscivano le lacrime. Mi sono sentito umiliato e offeso. Ci sono rimasto veramente male. Ma non ci sto più a subire tutto questo».
Nessuna denuncia. «Non mi azzarderei mai a denunciarla», ha precisato il prefetto a Matrone, «quella nota è un atto dovuto, una prassi d’ufficio dopo la richiesta che mi è arrivata dall’assemblea dei dipendenti. Non farò mai un’azione contro di voi, sto per andare via da Pescara, raccontate ciò che volete, io ho le carte e le telefonate che ricostruiscono come i soccorsi siano partiti in tempo. Ma lì», ha rimarcato Provolo, «c’era un muro di neve». E quanto al mancato intervento degli elicotteri, di cui la delegazione gli ha chiesto conto, Provolo ha spiegato che quel giorno non si potevano alzare in osservanza alla normativa prevista in quelle particolari circostanze meteo.
Rabbia e sdegno. Ma in piazza Italia ieri mattina, i parenti delle 29 vittime sono arrivati, anche, nella speranza di sentire dopo quasi dieci mesi dalla tragedia che li ha colpiti, «la vicinanza umana, l’inizio di un dialogo che invece non c’è stato». Come commentano alla fine di quell’incontro Matrone, Gianluca Tanda, Mario Tinari e Marco Foresta a tutti gli altri del Comitato. «Il prefetto non si è calato nei panni dell’uomo, del cittadino, del padre», ha riferito Matrone, «ha fatto il funzionario anche oggi, e questa è la cosa più brutta da mandare giù, più di quella di sentirsi dire, come mi aspettavo, che la colpa non era sua, e che aveva la coscienza a posto. E che se sono salvo è stato anche grazie a lui». Applaude pieno di rabbia e sarcasmo, Alessio Feniello, papà di Stefano, mentre Nicola Colangeli, di Farindola, che sotto la valanga ha perso la figlia Marinella, «li hanno fatti morire come topi, per nove chilometri di strada da pulire. La sera del 17 gennaio la strada era pulita, perché non hanno continuato anche la notte, perché non hanno utilizzato i mezzi della Provincia?». Domande senza risposta, come le lacrime delle mamme che ancora una volta sono lì con la foto del proprio figlio racchiusa nel ciondolo appeso al collo, o nella gigantografia che si stringono al petto. «Se il prefetto è veramente convinto di quello che dice», commenta Paola Ferretti, mamma di Emanuele Bonifazi, 31 anni, marchigiano di Pioraco, «deve avere il coraggio di venirlo a dire davanti a tutti noi. Fino alla fine chiederemo giustizia, l’essere qui anche oggi, è il segno della nostra determinazione».
Scaricabarile. «Abbiamo chiesto spiegazioni sulla macchina dei soccorsi, su quando e come era partita», spiega Marco Foresta, «e il prefetto ci ha detto che i soccorsi sono partiti in tempo, ma che hanno trovato un muro di neve, “Che potevamo fare di più?” ci ha chiesto». «Arrivare alle 11 piuttosto che aspettare la valanga delle 5» ha rimarcato Matrone, «ma Provolo», riferisce il pasticcere di Monterotondo, «ha risposto di aver ricevuto la mail dell’albergo solo a mezzogiorno del 18 in cui dipendenti e ospiti chiedevano, sì, di andare via, ma che la paura era solo per le scosse. «La verità», ha concluso Foresta, «è che da chiunque andiamo ci dicono che hanno la coscienza pulita. È uno scaricabarile».
La mano giusta. «Mi dia la mano buona». Così, riferisce Matrone, si è sentito dire il sopravvissuto con la mano destra rimasta invalida quando ieri mattina l’ha tesa al prefetto Provolo. «Io do sempre la destra, da uomo si dà la mano destra”, gli ha risposto Matrone mentre, riferisce, «mi uscivano le lacrime. Mi sono sentito umiliato e offeso. Ci sono rimasto veramente male. Ma non ci sto più a subire tutto questo».