CORONAVIRUS

Il sindaco contagiato: «Esco dall’ospedale e torno ad occuparmi della mia gente» 

Il racconto di Piccari, primo cittadino di Montefino e medico a Castiglione: «Un percorso ad ostacoli, ma si guarisce» 

ATRI. Ci vorrà tempo per scambiare questa fine con un nuovo inizio, ma ci sono gesti che per sempre racconteranno chi siamo. «Domani probabilmente mi dimettono dall’ospedale, posso tornare dalla mia gente e dai miei pazienti»: Ernesto Piccari è il sindaco di Montefino, uno dei comuni teramani della zona rossa della Val Fino, ma soprattutto è medico di base a Castiglione Messer Raimondo, il centro della vallata con il più alto numero di vittime (otto).
Fino all’ultimo è rimasto in ambulatorio, poi quando è comparsa la febbre si è messo in isolamento a casa continuando a fare il medico e il sindaco. Perché esiste la giusta distanza anche dalla paura. Lo ha fatto fino a che non è stato necessario andare in ospedale perché contagiato dal Covid. Ma anche lì il cellulare non ha mai smesso di squillare e lui ha sempre risposto. «Perché il rapporto con i pazienti non si interrompe mai» ti dice dal suo letto dell’ospedale di Atri. Anche se a partire da una data l’esistenza vira, assume un’altra prospettiva, cambia la percezione delle cose. E la differenza è fatta di poco, di un “niente” difficile da dimenticare. «E’ stata dura ma il peggio è passato. È passato per me, passerà per gli altri. E un percorso ad ostacoli ma si esce» ti dice al telefono.
E in un tempo sospeso che sembra non finire mai quella che arriva è una manciata di parole che ferma l’attimo e il respiro di chi ascolta. Senza dimenticare, senza far finta di non vedere. «Noi medici di base abbiamo pagato e paghiamo un tributo altissimo in questo momento», continua, «perché non posso non pensare a tutti i miei colleghi italiani che non ci sono più, che hanno pagato con la vita l’essere medico. Siamo stati e siamo in trincea, ma questa guerra si può vincere. Nella mia zona tre colleghi positivi a testimoniare come i medici di base sono stati i primi presidi sul territorio, medici in prima linea, sempre vicini ai pazienti. I rischi? Siamo medici. E poi chi poteva immaginare che un piccolo paese lontano dai grossi centri, dal via vai continuo di persone che arrivano da fuori potesse essere un focolaio? Sicuramente da questa emergenza sanitaria, soprattutto nei modi di diffusione, si dovrà imparare tanto. Ma ora dobbiamo guardare al presente e al futuro perché la gente è terrorizzata e addolorata. Penso a tutti quelli che hanno perso i loro cari senza poterli vedere per una ultima volta, senza poterli accompagnare al cimitero».


Il dolore è materia delicata, ci sono molti modi per raccontarlo, per conservare la memoria. «Molti deceduti di Castiglione erano miei pazienti», continua, «ho parlato con i familiari perché le parole servono».
Servono con uno sguardo nonostante tutto positivo. «Bisogna esserlo in questo momento», continua, «bisogna pensare che si esce, con un percorso ad ostacoli, ma sicuramente si esce. Posso dire che ora, in fondo al tunnel, si comincia a vedere una piccola luce. Lo dico come amministratore, come medico, come paziente, come uomo».
Piccari, 61 anni, è in ospedale da nove giorni. «All’inizio devo dire che non è stato facile », dice, «ma giorno per giorno è andata meglio. Un ringraziamento particolare a tutto il personale medico e infermieristico, e non solo, dell’ospedale di Atri che in questi giorni di grande emergenza dimostra tutta la sua grande preparazione e professionalità. Inutili dire che lavorano a ritmi inimmaginabili. Sono davvero esemplari in questa dedizione che è veramente assoluta per tutti i ricoverati».
Così come non smette di ringraziare i suoi pazienti che in questi giorni di ricovero lo hanno chiamato per informarsi, per salutarlo, per incoraggiarlo. «Sono state davvero tante», aggiunge, «sa, i medici d base hanno un rapporto particolare con le persone che seguono per lunghi periodi. C’è fiducia, c’è confidenza, c’è tutto. Così come voglio ringraziare i miei concittadini che non hanno fatto mancare la loro vicinanza con una telefonata, un messaggio. A loro, a tutti loro, dico che ce la faremo, che vinceremo. Anzi che abbiamo già vinto anche se ora è difficile crederlo». Il primo traguardo è quello dell’uscita dall’ospedale. «Mi hanno detto che domani mi mandano a casa», conclude, «certo inizialmente dovrò rimanere per qualche giorno nella mia abitazione, ma potrò sentire i miei pazienti, potrò occuparmene anche se a distanza. Di loro e della mia gente, del mio paese che ora ho lasciato nelle buone mani dei miei colleghi amministratori». Perché ci sono parole e gesti che per sempre racconteranno chi siamo. Al di là di ogni cosa e di ogni momento.
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