Il sopravvissuto Cavallito in aula per ripercorrere l’agguato al bar 

Domani l’udienza più attesa sul caso del delitto Albi: sarà interrogato l’ex calciatore che si è salvato Il miracolato supertestimone dell’accusa: ha già raccontato di aver riconosciuto la voce dell’assassino

PESCARA. Il processo davanti ai giudici della Corte d’Assise di Chieti per l’omicidio dell’architetto pescarese Walter Albi e il ferimento di Luca Cavallito, fatti per i quali sul banco degli imputati siedono il presunto killer, Mimmo Nobile, il presunto mandante, il calabrese Natale Ursino, e il fiancheggiatore di quest’ultimo, Maurizio Longo, entra nel vivo. Quella di domani diventa l’udienza più importante di tutto il processo perché, in qualità di testimone dell’accusa (rappresentata dal procuratore Giuseppe Bellelli e dal sostituto Andrea Di Giovanni), verrà ascoltato l’ex calciatore Luca Cavallito: il sopravvissuto a quell’agguato mortale del 1° agosto del 2022 nel bar del Parco a Pescara, dove un killer esplose otto colpi di pistola all’indirizzo di Albi e Cavallito che erano in attesa di incontrare Ursino che non arrivò mai. Cavallito è il fulcro del processo: è il supertestimone, quello che, mentre il killer gli sparava, ha riconosciuto la sua voce che diceva: «Questo è per te e per gli infami come te». Cavallito avrebbe riconosciuto la voce di Mimmo Nobile, suo amico che con lui aveva peraltro un debito di 150mila euro.
Al di là di quella testimonianza, che naturalmente non è poca cosa, altre prove schiaccianti non ve ne sono a carico di Nobile: né tracce biologiche sui reperti ritrovati da polizia e carabinieri nelle sterpaglie di via del Pantano (moto, scarpe, castello della pistola, caricatore e casco), né altre prove che mettano in relazione il suo ingaggio da parte del calabrese Ursino (conosciuto dalle vittime come trafficante di droga), mandante del mancato duplice omicidio voluto per uno sgarro che l’uomo vicino alla ’ndrangheta avrebbe ricevuto da Albi e da Cavallito, che glielo aveva fatto conoscere, in relazione ad una traversata transoceanica per trasportare con la barca di Albi un latitante e forse una partita di droga in Australia. Da subito, quando ancora ricoverato in ospedale con la faccia colpita da un proiettile e quindi impossibilitato a parlare, Cavallito, con l’aiuto delle lettere dell’alfabeto, indicò agli inquirenti il nome di chi sparò: Mimmo Nobile. E le indagini si indirizzarono subito su di un unico versante. E domani, sul banco dei testimoni, Cavallito dovrà pararsi dal fuoco incrociato della difesa di Nobile (gli avvocati Massimo Galasso e Luigi Peluso), nonché dal legale di Ursino, Cesare Placanica, che già nell’ultima udienza ha fatto capire quale sarà l’aria: «Vorrei precisare», ha detto l’avvocato quando sono stati ricordati i testi dell’udienza di domani, «che Cavallito non è un testimone, ma un imputato di un delitto connesso, con tutte le conseguenze previste dalla legge sulla attendibilità. Vediamo cosa dirà». Il riferimento è al fatto che nei suoi lunghi interrogatori (supportato dai suoi legali, Ernesto Torino Rodriguez e Sara D’Incecco), nel raccontare le vicende che lo collegavano a Ursino, fu costretto ad autoaccusarsi di traffico internazionale di droga per un recupero di 150 chili di cocaina proveniente dall’Ecuador andato a vuoto: circostanza che sarebbe alla base del debito che Cavallito avrebbe contratto con Ursino e che poi ebbe una evoluzione terminata con l'agguato mortale al bar del Parco.
Tante saranno le domande cui Cavallito dovrà rispondere dopo aver confermato le sue dichiarazioni contro Nobile rispondendo ai magistrati che sostengono l’accusa. E questo anche perché la difesa del presunto killer cercherà di dimostrare che il giorno del delitto e all'ora della sparatoria Nobile si trovava alla festa di Sant’Andrea. Dunque, per questo motivo la deposizione di Cavallito diventa un passaggio chiave del processo, dal quale potrebbe anche dipendere l’esito dello stesso, nonostante l’accusa abbia finora cercato di ricostruire minuziosamente i rapporti tra gli imputati e portare a conoscenza della Corte le questioni tecniche legate alle chat, alle celle telefoniche e soprattutto alla pistola usata dal killer. La stessa arma che Nobile e Longo sottrassero a una guardia giurata all’interno del Centro Agroalimentare di Cepagatti durante la rapina per la quale i due sono già stati condannati. Un processo dunque difficile per tutti, accusa e difesa.