Il vigile del fuoco va trasferito: carcere protetto per la divisa
Zenone si prepara a lasciare San Donato: va rispettata la norma per i rappresentanti delle forze dell’ordine E il gip non crede a Longaretti che ritratta la prima versione: avevo bevuto qualche bicchiere di troppo
PESCARA. Il vigile del fuoco di Penne, il 51enne Gaetano Zenone, finito in carcere per spaccio di droga, verrà trasferito in un altro istituto di pena protetto (che potrebbero essere Chieti o Teramo), così come stabilisce la norma per i rappresentanti delle forze dell’ordine. Gli altri due coindagati, Valentino Longaretti, ritenuto il rifornitore di cocaina, e Antonio Marini, ex carabiniere in congedo, restano invece agli arresti domiciliari dopo la decisione del gip Mariacarla Sacco che prima di emettere la misura, aveva sottoposto i tre all’interrogatorio preventivo come vuole la nuova norma.
Per il giudice, quanto sostenuto da Longaretti (difeso da Luca Pellegrini) nel corso dell’interrogatorio è «assolutamente non credibile». Aveva infatti cercato di ribaltare una intercettazione ambientale con Zenone, nella quale si parlava senza mezzi termini di rifornimenti di cocaina, del costo elevato in quel momento e della sua scarsa qualità. Ma davanti al giudice ha cambiato completamente versione, affermando che «le proprie affermazioni erano frutto di pura invenzione, dovuta anche alla circostanza che quel giorno era un po’ sopra le righe», come scrive il gip Sacco, «a causa di “qualche bicchiere di troppo” da lui bevuto. I riferimenti chiari ed univocamente riferibili allo spaccio di sostanza stupefacente, contenuti nella conversazione, rendono assolutamente non credibili le dichiarazioni rese da Longaretti».
Zenone (difeso dall’avvocato Luca Torino Rodriguez che assiste anche Marini), gravato da pesanti e specifiche accuse di spaccio a seguito dell’intensa attività di indagine condotta dai carabinieri di Penne diretti dal capitano Alfio Rapisarda sotto il coordinamento del pm Andrea Papalia, ha cercato invece di fornire una spiegazione (ritenuta anche questa poco credibile dal giudice che comunque ha emesso la misura) alquanto edulcorata: la cocaina veniva consumata fra amici ed acquistata per comodità soltanto da uno di loro. Insomma, un «consumo di gruppo».
Ma i militari, nel corso delle indagini, hanno eseguito appostamenti, intercettazioni, fermato acquirenti dopo l’acquisto della droga da Zenone: tutte attività che hanno puntualmente confermato il ruolo di spacciatore del vigile del fuoco che andava peraltro avanti da anni. Spaccio che a volte è avvenuto anche durante il servizio e nei pressi della caserma di Penne, oltre che nella tenuta agricola del padre, a Farindola, dove si recavano puntualmente gli acquirenti. Nella sua richiesta di arresti il pm Papalia era stato chiaro: «Il luogo, le modalità e le circostanze dei numerosi fatti-reato contestati, il fatto che tutti gli indagati per i quali si chiede la misura svolgono in modo continuativo le illecite attività contestate e siano adusi ad operare a vario livello nel mercato degli stupefacenti, evidenziando anche una certa professionalità in tale settore, sono tutti elementi denotanti una particolare dimestichezza con l'attività di spaccio di droga, certamente tale da far ritenere altamente probabile la reiterazioni di analoghi comportamenti». Questo anche in riferimento al fatto che «il suo precedente arresto in flagranza, non sembra abbia avuto reale efficacia deterrente».
Per il giudice, quanto sostenuto da Longaretti (difeso da Luca Pellegrini) nel corso dell’interrogatorio è «assolutamente non credibile». Aveva infatti cercato di ribaltare una intercettazione ambientale con Zenone, nella quale si parlava senza mezzi termini di rifornimenti di cocaina, del costo elevato in quel momento e della sua scarsa qualità. Ma davanti al giudice ha cambiato completamente versione, affermando che «le proprie affermazioni erano frutto di pura invenzione, dovuta anche alla circostanza che quel giorno era un po’ sopra le righe», come scrive il gip Sacco, «a causa di “qualche bicchiere di troppo” da lui bevuto. I riferimenti chiari ed univocamente riferibili allo spaccio di sostanza stupefacente, contenuti nella conversazione, rendono assolutamente non credibili le dichiarazioni rese da Longaretti».
Zenone (difeso dall’avvocato Luca Torino Rodriguez che assiste anche Marini), gravato da pesanti e specifiche accuse di spaccio a seguito dell’intensa attività di indagine condotta dai carabinieri di Penne diretti dal capitano Alfio Rapisarda sotto il coordinamento del pm Andrea Papalia, ha cercato invece di fornire una spiegazione (ritenuta anche questa poco credibile dal giudice che comunque ha emesso la misura) alquanto edulcorata: la cocaina veniva consumata fra amici ed acquistata per comodità soltanto da uno di loro. Insomma, un «consumo di gruppo».
Ma i militari, nel corso delle indagini, hanno eseguito appostamenti, intercettazioni, fermato acquirenti dopo l’acquisto della droga da Zenone: tutte attività che hanno puntualmente confermato il ruolo di spacciatore del vigile del fuoco che andava peraltro avanti da anni. Spaccio che a volte è avvenuto anche durante il servizio e nei pressi della caserma di Penne, oltre che nella tenuta agricola del padre, a Farindola, dove si recavano puntualmente gli acquirenti. Nella sua richiesta di arresti il pm Papalia era stato chiaro: «Il luogo, le modalità e le circostanze dei numerosi fatti-reato contestati, il fatto che tutti gli indagati per i quali si chiede la misura svolgono in modo continuativo le illecite attività contestate e siano adusi ad operare a vario livello nel mercato degli stupefacenti, evidenziando anche una certa professionalità in tale settore, sono tutti elementi denotanti una particolare dimestichezza con l'attività di spaccio di droga, certamente tale da far ritenere altamente probabile la reiterazioni di analoghi comportamenti». Questo anche in riferimento al fatto che «il suo precedente arresto in flagranza, non sembra abbia avuto reale efficacia deterrente».