Impianti fermi, pagano in quattro

Costati 41 miliardi di lire ma chiusi, dirigenti condannati a risarcire

PESCARA. Sono stati costruiti «per ovviare alla crisi idrica» con una spesa di 40 miliardi di lire ma i due potabilizzatori, realizzati lungo il fiume Pescara in località San Martino a Chieti, «non sono mai entrati in funzione»: il primo, da un miliardo e 650 milioni di lire, «versa in completo stato di abbandono»; il secondo, 20 milioni di euro, «non potrà essere attivato perché» rendere potabile l'acqua del fiume Pescara è impossibile. Lo ha stabilito il tribunale della Corte dei conti che ha condannato quattro ex dirigenti di Regione Abruzzo e Aca a un risarcimento danni di 35 mila euro.

I SOLDI SPRECATI La sentenza della Corte dei conti definisce la storia dei potabilizzatori «emblematica della cattiva gestione dei fondi pubblici per di più in una regione assai bisognosa di di infrastrutture». Una vicenda, dice la Corte dei conti, segnata da «comportamenti inerti e negligenti, vuoi all'interno dell'ufficio regionale di Prevenzione collettiva, vuoi all'esterno» e sfociata in un «gravissimo spreco di risorse pubbliche in assenza di risultati» per i cittadini. Un monumento allo spreco, cominciato nel 1990 e terminato nel 2006 dopo una cascata di soldi pubblici. Peccato che i potabilizzatori non sono mai stati utilizzati perché l'autorizzazione alla derivazione dell'acqua non è arrivata: durante i 16 anni necessari alla costruzione dei potabilizzatori, non si è tenuto conto di un dettaglio e cioè che l'acqua del Pescara non può essere resa potabile. Lo ha accertato anche l'ultima informativa della forestale dell'11 marzo 2010: «Le acque del Pescara non sono idonee a essere impiegate per un trattamento di potabilizzazione».

I DIRIGENTI REGIONALI Nel mirino, ci sono tre ex dirigenti regionali: Giovanni Carusi di Porto Sant'Elpidio per cinquemila euro (in carica dal 2001 al 2002), Giuseppe Bucciarelli di Isola del Gran Sasso per 10 mila (in carica per sei mesi nel 2002) e Domenica Pacifico di Pescara per 15 mila (in carica dal 2003 al 2007). Secondo la sentenza, i dirigenti «si sono limitati, nel migliore dei casi, a un burocratico invio di una o due lettere rimanendo in attesa senza farsi carico di un problema essenziale per la comunità». Per la Corte dei conti, i dirigenti si sono trincerati «dietro burocratiche questioni di competenza senza che si prendesse realmente a cuore il problema e si portasse a compimento la pratica e ciò nonostante i pressanti inviti dell'Aca». Secondo la Corte dei conti, sarebbero dovuti intervenire: «È noto che vi sono numerosi istituti nel procedimento amministrativo con finalità acceleratorie (tra cui una conferenza di servizi) che avrebbero potuto essere adottati».

L'EX DIRETTRICE ACA A Maria Rosa Di Carlo, ex direttore generale dell'Aca, residente a Silvi, viene addebitato «lo stato di degrado» di uno dei potabilizzatori (detto Pot 100) per la mancata manutenzione: «Di Carlo, quale architetto, avrebbe dovuto approntare e indirizzare un piano di manutenzione di un impianto che, sia pure fermo da anni, era costato alla collettività svariati miliardi di lire e che, nel periodo in cui rivestiva la qualifica, avrebbe potuto ancora essere recuperato». Invece, il verbale del sopralluogo svolto nel 2008 dal corpo forestale di Pescara, diretto da Guido Conti, parla di un impianto «circondato da vegetazione infestante e sprovvisto di chiusure per evitare atti vandalici». Il risarcimento chiesto a Di Carlo, in carica dal 1997 al 1999, è di cinquemila euro.

L'ASSOLUZIONE Con la sentenza, è stato assolto Sergio Franci, dirigente dell'ufficio Gestione acquedotti del primo dipartimento Lavori pubblici della Regione Abruzzo, residente a Pescara: secondo l'accusa Franci, ingegnere capo dei lavori, avrebbe dovuto attivarsi dopo il collaudo dei potabilizzatori «perché le amministrazioni competenti portassero a compimento le fasi successive per impedire che l'opera rimanesse inutilizzata». Per la procura, non l'ha fatto ma, secondo il tribunale, «l'operato dell'ingegnere non può spingersi sino alla sorveglianza sul buon esito del finanziamento» ma si ferma al collaudo che «ha sottolineato anche che i lavori sono stati svolti con regolarità». Del resto, fa notare la Corte dei conti, i potabilizzatori avrebbero potuto entrare in funzione esclusivamente con l'afflusso delle acque del fiume, studiate e classificate dalla Regione. Ma questo passaggio non è avvenuto e anche il collaudo è stato svolto «a freddo»: soltanto con uno sguardo alle opere inutili.

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