Insulti, calci e pugni sulla riviera La rissa finisce con cinque assolti 

Senza colpevoli la notte di botte tra due rom e i buttafuori di un locale a causa dell’ingresso negato  Nel processo è stato impossibile stabilire con chiarezza come sono andati i fatti: cadono le accuse

PESCARA. Tutti assolti i cinque imputati finiti sotto processo per una rissa che si verificò nell’estate del 2019 davanti alla discoteca Tortuga: due di etnia rom, Vincenzo e Rocco Spinelli, e tre buttafuori che lavoravano nel noto locale della riviera, El Hadii Ndiaye (detto Mustafà), Sawhe Ba Papa e l’italiano Michele Merafina (difesi dagli avvocati Daniele D’Orazio, Gianluca Travaglini, Maria Teresa Di Donato e Claudia Spinelli). L’assoluzione è stata decisa dal collegio presieduto da Maria Michela Di Fine.
L’istruttoria dibattimentale, con l’escussione dei vari testi portati dalla difesa e con l’esame di due degli imputati, è stata decisiva per arrivare all’assoluzione, richiesta peraltro dallo stesso pm, Luca Sciarretta, al termine della sua requisitoria. E questo perché non è stato possibile arrivare ad una prova certa di come si fossero effettivamente svolti i fatti quella notte davanti alla discoteca. Tutti erano accusati di rissa, mentre i tre buttafuori anche delle lesioni personali ad uno dei due Spinelli. Questi ultimi si presentarono davanti al locale della riviera per entrare (erano da poco passate le due di notte), ma vennero respinti in quanto non c’era più posto. Un rifiuto che fece scattare le proteste che, nel giro di pochi secondi si trasformarono in calci e pugni. Per fortuna nelle vicinanze c’erano delle pattuglie di carabinieri e polizia che intervennero subito evitando il peggio. La pubblica accusa aveva peraltro scritto nell’imputazione che la rissa sarebbe «scaturita da ragioni di discriminazione razziale». Insomma, i senegalesi avrebbero impedito l’ingresso in quanto rom: ma, durante il processo, è emerso che dentro la discoteca c’erano molti altri rom quindi non si trattava di discriminazione razziale, ma solo di questioni legate alla sicurezza. Anzi, i senegalesi avevano dichiarato il contrario: «Mi hanno detto di tutto», ha spiegato uno degli imputati, «“negro”, parolacce di tutti i tipi, “ti ammazzo” e via dicendo, ma ormai quelle cose le devi accettare, noi non abbiamo risposto nulla».
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