Jennifer uccisa per il tablet L’assassino simulò le ferite 

Così i giudici di secondo grado hanno motivato la condanna di Troilo a 30 anni

PESCARA. «Nel caso di specie, posto che si è proceduto allo stato degli atti, con conseguente utilizzabilità ai fini della decisione di tutte le dichiarazioni rese dall'imputato ai fini della ricostruzione del fatto e delle sue circostanze, non può non rilevarsi che la riferibilità della condotta omicidiaria alla mancata restituzione del tablet è desumibile dalle dichiarazioni dello stesso imputato, sul punto reiterate e sostanzialmente concordanti».
17 COLTELLATE E' uno dei passaggi chiave dei motivi della sentenza di appello a carico di Davide Troilo, l'uomo accusato di aver ucciso con 17 coltellate la sua ex fidanzata convivente, Jennifer Sterlecchini, il 2 dicembre 2016 all'interno della sua abitazione: per lui la Corte d'Assise d'appello nel marzo scorso aveva confermato la condanna a 30 anni di reclusione, inflitta con il rito abbreviato.
Lo ha fatto rigettando proprio la richiesta avanzata nel ricorso dal difensore dell'imputato, l'avvocato Giancarlo De Marco, di esclusione dell'aggravante dei futili motivi, che avrebbe permesso di usufruire delle attenuanti generiche, evidenziando che «il movente ultimo dell'azione omicidaria, sebbene all'evidenza ricollegabile alla contestata "interruzione del rapporto sentimentale" è certamente da individuare nella lite intercorsa tra le parti per la mancata restituzione di un tablet da parte di Jennifer Sterlecchini a Davide Troilo».
E i giudici di appello aggiungono anche altro: «Le modalità di esecuzione del reato (inflizione alla vittima di ben 17 colpi di coltello), la dimostrata capacità dell'imputato di alterare le prove a suo carico al fine di simulare un'aggressione reciproca, financo autoinfliggendosi lesioni, e il precedente penale a suo carico per reati contro la persona, ostano alla concessione delle attenuanti generiche, pur tenendo conto degli elementi positivi di valutazione addotti in sede del gravame».
RELAZIONE DA TRONCARE Insomma, sono state le sue stesse dichiarazioni a incastrare definitivamente Troilo, secondo i giudici.
Ma al di là dei tecnicismi giuridici avanzati dalla difesa nel ricorso, resta un fatto oltremodo grave: un omicidio assurdo che i giudici ripercorrono nella sentenza, confermando nella sostanza quanto scritto dal giudice di primo grado. Jennifer aveva deciso di troncare quella relazione di convivenza ed era tornata a vivere con la madre. Quel drammatico giorno, con la stessa madre e un'amica, era andata a casa di Troilo per recuperare i suoi effetti personali.
Le tre donne fecero diversi viaggi per trasportare il tutto nella macchina e, quando madre e amica erano in strada, quella maledetta porta d'ingresso si chiuse e Jennifer rimase dentro con il suo assassino. Le due testimoni non poterono far altro che ascoltare impotenti le grida di aiuto della ragazza.
LA MESSINSCENA «Deve pertanto ritenersi che l'imputato», scrivono i giudici, «dopo aver chiuso la porta d'ingresso del proprio appartamento, avesse aggredito la Sterlecchini colpendola con un coltello da cucina («anche in zone vitali, alcune mortali»), si fosse quindi recato in bagno dove si era inferto dei leggeri colpi di coltello, e avesse poi fatto ritorno nella zona d'ingresso dell'abitazione, aperto la porta e distesosi accanto al corpo di Sterlecchini».
Questa fu, infatti, la tragica scena del delitto che si palesò ai testimoni una volta che riuscirono a entrare nell'appartamento.
Nessuno dei giudici, tra primo e secondo grado, ha mai ritenuto possibili le dichiarazioni dell'imputato sul fatto della reciproca aggressione per la mancata restituzione del tablet, né tantomeno il fatto che Jennifer volesse suicidarsi.
NIENTE PERIZIA PSICHIATRICA La Corte ha negato anche una nuova perizia psichiatrica su Troilo, confermando quasi in toto la prima sentenza a eccezione della esclusione delle statuizioni civili in favore della Regione Abruzzo, una delle parti civili nel processo. Accolta invece quella del Comune che nell'atto di costituzione aveva elencato i suoi obiettivi di politica sociale, la tutela dei diritti delle donne e la predisposizione di azioni di contrasto verso forme di violenza di genere, anche evidenziando il danno all'immagine dell'Ente. L'avvocato Giancarlo De Marco ha già annunciato il ricorso in Cassazione in quanto, a suo dire, ci sarebbero diversi elementi che non sarebbero stati presi in considerazione dalla Corte d'appello. «C'è stata anche una differente valutazione da parte di quello stesso collegio con un caso precedente che riguardava l'omicidio di un uomo. Certo che su questa vicenda un certo peso lo ha avuto anche il flusso mediatico: oggi uccidere una donna è molto più grave che uccidere un uomo».
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